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lunedì 12 ottobre 2009

San Donnino oltre la tradizione


Prima della provvidenziale scoperta di Louis Pasteur l'antica scienza medica non disponeva di rimedi efficaci da contrapporre alla rabbia, la temibile malattia che, come è noto, viene trasmessa all'uomo dal morso di animali infetti. Si può pertanto comprendere come, nei non infrequenti casi di idrofobia, gli ammalati anziché affidarsi alle cure dei medici preferissero ricorrere direttamente all'intercessione di San Donnino. Era infatti opinione diffusa che il santo taumaturgo di Lombardia e Toscana (così viene definito il nostro patrono nelle antiche immagini devozionali) potesse garantire una sicura guarigione, sconfiggendo, con la santità del suo martirio, il "crudele morbo", causa di gravi sofferenze e dall'esito quasi sempre letale.
 Lo confermano una tradizione quasi millenaria e, soprattutto, le numerose testimonianze puntualmente registrate presso gli antichi santuari. Di questa antica pratica si ha memoria anche nei diari e nelle lettere di alcuni illustri viaggiatori di passaggio a Borgo, come Madame De Stael (1766-1817) che, in una lettera a Vincenzo Monti, riferisce di essere stata testimone oculare di un episodio in cui le persone afflitte dal morbo si sarebbero recate in chiesa per ricevere la benedizione del prete.

San Donnino e la medicina antirabbica

La "medicina" antirabbica di san Donnino, di cui si fa cenno anche nei trattati medici come il celebre "Discorsiii sopra Dioscoride" del senese Andrea Mattioli (1544), era abitualmente praticata presso la chiesa di Borgo e nelle numerose altre chiese e oratori a lui dedicati nel nord e centro Italia. Essa consisteva in un rito per molti aspetti simile all'esorcismo, nel corso del quale il sacerdote porgeva all'ammalato, che spesso si dimenava in preda a terribili convulsioni, il calice o coppa di San Donnino contenente vino e acqua benedetti. Il calice o coppa di san Donnino, attualmente esposto presso il Museo del Duomo, reca incastonato nel pomo un dente del santo (in significativa contrapposizione con il dente che ha procurato la malattia) ed è ritenuto dagli studiosi uno splendido esemplare di oreficeria renana della fine del sec. XII. Una tradizione leggendaria fa risalire l'origine del prezioso calice addirittura all'imperatore Carlo Magno che, secondo il Passionario Fiorentino, l'avrebbe personalmente donato alla chiesa di San Donnino.
L'usanza di dare da bere agli ammalati il vino e l'acqua benedetti è documentata in particolare a Pisa, Verrucchio e a Bergamo, precisamente nella chiesa di san Michele al Pozzo Bianco, uno dei luoghi di più antica tradizione per il culto del nostro patrono e della sua infallibile medicina. Tra le varie immagini di san Donnino che si conservano nella storica chiesa bergamasca proponiamo all'attenzione dei nostri lettori l'eccezionale dipinto del primo Seicento attribuito a Leandro da Ponte detto il Bassano. Il santo martire vi è raffigurato nel pieno dei suoi poteri di guarigione, intento a soccorrere un ammalato. E' un san Donnino che indossa abiti di alto rango, come d'altra parte si richiede a un funzionario imperiale, ma in una versione decisamente attualizzata e con una muta di magnifici cani al guinzaglio: non più il soldato romano con la lorica e i gambali, come è sempre stato rappresentato nella sua città, ma un giovane elegantemente vestito e dai tratti aristocratici. Egli si rivolge con fare sicuro al povero supplicante, mentre l'avvenuto prodigio di guarigione (da notare il cane ringhioso, simbolo del maligno, alle spalle dell'uomo miracolato) è reso manifesto dall'atteggiamento di San Giovanni Battista, che alza le braccia verso il cielo in segno di preghiera e di ringraziamento.

Quei due rilievi nella Cripta della Cattedrale

Per quanto riguarda la Cattedrale di Fidenza, che da sempre custodisce i resti del martire e che costituisce il principale punto. di irradiazione del culto, non si conoscono invece immagini scolpite o dipinte che mostrano il santo patrono nell'esercizio della sua funzione antirabbica. L'unica eccezione è data da due piccoli, quasi sconosciuti, rilievi incastonati nello sguancio della finestrella al centro dell'abside della cripta.
Da un lato, vediamo un uomo aggredito da un cane ringhioso e dall'altro lo stesso malcapitato che prega in ginocchio dinanzi a una immagine del santo patrono. Si tratta tuttavia di una testimonianza molto tarda, in quanto le sculture risalgono (come la finestra) agli inizi dello scorso secolo, essendo state realizzate durante uno degli ultimi rifacimenti dell'interno della cripta.
Ancor più interessante dal punto di vista iconografico e documentario è una rara immagine tratta da una litografia ottocentesca, a sua volta derivata da altre più antiche stampe, incise a partire dal Seicento. 
Tra le colonne della cripta, davanti all'altare del santo, vediamo un sacerdote vestito con la cotta e la stola liturgica che si appresta a dar da bere il vino e l'acqua benedetti a un ammalato assistito dai familiari. "Gente arrabbiata si risana bevendo nel Calice nel cui piede è incastonato un dente del Santo": così è succintamente descritta questa suggestiva rappresentazione che riassume idealmente tutti i miracoli di guarigione che avvenivano quasi quotidianamente sulla tomba del martire fidentino.
La "medicina" del santo era dunque ampiamente riconosciuta e finì per abbracciare ogni situazione critica, come testimoniano le duecentesche sculture della facciata. In particolare i rilievi del portale di sinistra che celebrano la storia e le prerogative della chiesa di Borgo, con Papa Adriano Il che conferisce mitria e pastorale all'Arciprete e l'imperatore Carlo Magno, cui si deve la generosa donazione dei boschi di Fornio. Nella rappresentazione stilizzata della Chiesa di San Donnino compare infatti la figura di un malato (aegrotus) che si inchina in segno di supplica inaugurando così, come in una sorta di ex voto, la lunga sequela dei miracoli attestati dalle Passiones e dalle antiche Vite del Santo.
Il potere intercessorio attribuito a san Donnino, ritenuto uno dei santi ausiliatori (insieme agli altri patroni “antirabbici” tra cui san Vito e a sant'Uberto) e oggetto di grande venerazione nell'Occidente cristiano durante tutto l'arco del Medioevo, era tale per cui vi si faceva ricorso anche per prevenire i mali e soprattutto per scongiurare il pericolo di siccità, guerre, pestilenze, fame, calamità naturali.

La donna gravida e il crollo del ponte

Non deve pertanto sorprendere che il martire Donnino. invocato nei secoli quale taumaturgo e patrono della comunità fidentina, mostrasse una particolare premura verso la fase delicata dell'esistenza umana: la gravidanza e i primi mesi di vita del bambino, soggetto questo certamente non estraneo alle sculture romaniche della facciata. Prendiamo come esempio il capitello di sinistra del protiro mediano, dedicato alla vita della Vergine. della Vergine. Qui l'ignoto scultore ci offre, con la visita a santa Elisabetta, una rappresentazione molto realistica della gravidanza divina di Maria. Il grembo della Vergine appare rigonfio, come di rado si riscontra nei testi figurativi dell'epoca medioevale: un'appariscente sottolineatura, che richiama il tema fondamentale dell'Incarnazione e che va forse intesa anche come risposta alle eresie del tempo.
Ma sulla facciata istoriata del nostro Duomo l'iconografia della vita nascente riaffiora anche fuori dal contesto biblico, proprio nel ciclo di san Donnino, che si basa come principale fonte letteraria sulla Passio Parmense redatta nell'XI secolo.
Dopo la miracolosa guarigione dello storpio che, grazie all'intercessione del santo, vede ritornare il cavallo che gli era stato rubato mentre si trovava in chiesa a pregare, l'ultimo episodio (che chiude la straordinaria sequenza dei rilievi dedicati al martire) gravita attorno alla figura di una donna incinta. La donna, "mulier gravida", come recita l'iscrizione, è coinvolta insieme a molti altri nell'improvviso cedimento del ponte sullo Stirone, avvenuto mentre si stava svolgendo, tra la chiesa di san Dalmazio e il Duomo, una solenne processione per celebrare il secondo ritrovamento delle reliquie del santo martire.
Come si può vedere, la scena caotica è incentrata sulla figura della donna prossima al parto.
Imperturbabile nella sua rigida compostezza, quasi un'antica dea della fertilità, con la sua figura di madre essa sovrasta le rovine del ponte e mostra chiaramente di non aver subito alcun danno dal disastroso incidente.
Il riconoscimento del miracolo della "mulier gravida" scampata dal crollo del ponte tende ad assimilare simbolicamente lo stadio iniziale della vita umana al periglioso attraversamento di un fiume, ma soprattutto sembra voler sottolineare con la forza delle immagini un atteggiamento di grande attenzione nei confronti della donna e della vita prenatale da parte della Chiesa fidentina. Il racconto, fissato sulla pietra, dimostra infatti come anticamente in Borgo San Donnino il ricorso al martire venisse incoraggiato anche a protezione della vita nascente e non solo in o rapporto al suo indiscusso potere antirabbico.

Guglielmo Ponzi

Il Risveglio 9 ottobre 2009

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