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mercoledì 18 dicembre 2013

Il Presepe più vero

Il presepe in una foto scattata nella Basilica 
di Sant'Ambrogio da Sonia Previati di Milano - dicembre 2013

Pubblichiamo qui sotto un brano del lungo articolo di Mirella Capretti dedicato al Presepe di Wietzendorf che, nel Natale 1944, gli internati italiani di una baracca dell'Oflager 83 hanno realizzato clandestinamente. Tra di loro il nostro concittadino Ettore Ponzi. 



Il Presepe costruito da Tullio Battaglia, Ettore Ponzi e altri militari italiani internati nel lager di Wietzendorf con materiali poveri è conservato ed esposto a Milano presso la Basilica di di Sant’Ambrogio. 
Si deve poi a Don Sandro Bottigella la realizzazione del filmato proiettato a Roma presso la "Casa della memoria e della storia"  nell'ambito dell'evento Senza Natale venerdì 18 dicembre 2009. Il filmato, che entra nel presepe ricostruendone le fasi di realizzazione e rivivendone il messaggio, è stato proiettato anche a Fidenza, in occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio 2010. L'evento era organizzato dalla scuola media Pietro Zani di Fidenza. 


Un Presepe originale, ovvero una pagina di fede scritta in campo di concentramento

Il Presepe

Per gli uomini del campo tedesco, ridotti al silenzio, con ferite nel cuore e nel corpo, la speranza di ritornare diveniva sempre più flebile ed il dolore per gli affetti famigliari persi e la Patria lontana si faceva sempre più struggente, ma bisognava continuare a vivere con dignità e l’unico aiuto poteva venire solo dalla Fede. Così il colonnello Pietro Testa, per combattere il senso di disperazione che stava crescendo tra gli internati, pensando al Natale vicino, diede un ordine speciale ai suoi compagni di sventura: “Un presepe in ogni stube”.
Impastando il fango, unica cosa che era in abbondanza, si fece un presepe in ogni baracca, ma in quella di Ponzi, il sottotenente Tullio Battaglia di Milano, un tipo estroso, pensò a qualcosa di originale coinvolgendo tutti con un piccolo contributo-dono-rinuncia.
La speranza che alberga comunque nell’uomo allo stremo delle forze, anche se sembra inconsistente, può far emergere una grande forza di volontà. Così tra il 3 novembre e il 23 dicembre tutti i reclusi furono occupati a realizzare le statuine-pupazzo, un’impresa quasi impossibile in quelle condizioni, ma sostenuta da un forte desiderio e, sicuramente, dalla preghiera intima di ogni soldato.
Bisognava arrangiarsi con quello che si trovava nel campo, di sera e di notte, in silenzio e al freddo di -10°, sempre di nascosto, con l’orecchio attento ai passi dei nazisti nei severi frequenti controlli quotidiani.
Per fare luce ciascun soldato rinunciò a 1 grammo dei 15 di margarina della razione quotidiana e con uno stoppino messo in una lattina si riuscì a illuminare il lavoro, forse visto più con la mente che con gli occhi.
Con grave rischio per la vita, sempre di notte, Battaglia andò a rubare pezzi di filo spinato dai reticolati per fare lo scheletro delle figure, alte 35 cm, dopo aver tolto le spine con le dita.
Le teste, le mani e piedi vennero intagliati rozzamente in alcune assicelle dei letti a castello (tavolette di 70 cm x 30 rubate nei punti meno visibili), con un coltellino scout a doppia lama. Venne usato anche un punteruolo, una forbicina, alcuni aghi e un cardine di porta a guisa di martello, tutto materiale sfuggito alle ispezioni.



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