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sabato 12 luglio 2014

"Pesciolini nella rete" di Franco Bifani


'A livella

A volte, mi sorge il sospetto che Dio abbia escogitato il finale della morte, per farsi perdonare della vitaccia che ci ha imposto. Ma qualcuno, a sua volta, scrisse che la morte è un mostro che caccia dal teatro della vita uno spettatore attento, prima ancora del finale, che egli ardentemente attendeva e che infinitamente lo interessava. 
Leggiamo gli annunci mortuari, sui quotidiani e sui manifesti, crocifissi sui muri cittadini, per scaramanzia, mentre ci tocchiamo ripetutamente: è morto lui, io sono ancora vivo, grazie(?) a Dio! Mors tua, vita mea. Muoiono gli altri; io non sono un altro, quindi, non dovrei morire. Ma, come disse John Donne, non chiediamoci mai per chi suona la campana, perché essa suona anche per noi.
La morte sta anniscosta in ne l'orloggi; e gnisuno po' dì: domani ancora sentirò batte er mezzoggiorno d'oggi”. S. Francesco ne tesseva le lodi; ma lui era un santo di massimo calibro, io, invece, meschinello, non riesco a persuadermi, morire è sempre tremendo.
Si dice che il sonno sia l'immagine della pallida e gelida morte: meglio, comunque, un lungo riposo ristoratore, seguito da un sereno risveglio. Non omnis moriar- Non morirò del tutto; ma che cosa mai rimarrebbe, di me, di grazia?
Però, mi sto avvicinando ad un'età in cui comincio a temere non tanto la morte, quanto la vecchiaia, che mi priva di tante cose, giorno dopo giorno, lasciandomi solo desideri irrealizzabili e dolori di ogni tipo. 
Eppure, mai vorrei morire, mi ritrovo ancora artificiere di uno spettacolo psico-pirotecnico di fantasie, in una rapida e continua esplosione di idee, che non vorrei mai interrompere. 
Omnes una manet nox- Ci attende tutti un'unica notte; Omnes eodem cogimur- Siamo spinti tutti verso un unico traguardo; lo aveva confermato anche il conte Leopardi, per bocca di un pastore errante dell'Asia. 
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”; preferisco che distolga da me il suo sguardo.
L'ora della dipartita è ignota e ce la raffiguriamo sempre in uno spazio ed in un tempo vaghi e lontani, verso l'Infinito; ci vogliamo ostinatamente convincere che non giungerà mai, almeno per noi, anche se, nel contempo, mettiamo in atto vani riti apotropaici di toccamento. I medici della Schola Salernitana ci avevano avvertito: Contra vim mortis non est medicamen in hortis- Contro la morte, non ci sono medicine che tengano.
Essa è il lato oscuro non della Luna, ma della vita, e non è nemmeno frequentata da Ufo e da alieni.
Verso il finale de “La morte di Ivan Ilic”, costui, sentendosi morire, si ripeteva un sillogismo di Kiezewetter: Caio è un uomo, gli uomini sono mortali, quindi anche Caio lo è. Applicato a Caio, il ragionamento filava liscio, rivolto ad Ivan, proprio era inaccettabile.
Infine, se proprio si volesse morire per qualcuno o per qualche cosa, si vorrebbe, perlomeno, che lo si sapesse. 
Siamo pesciolini nella rete di un pescatore sadico, che ci tiene, per lungo o breve tempo, sott'acqua; e noi sguazziamo, felici ed illusi, finché quello non decide, di punto in bianco, di tirarci su. La morte si sconta vivendo; ma preferisco scontarla, che non sperimentarla. Memento mori, è vero; ed allora mi consolo, citando Nerone: Qualis artifex pereo! Quale artista perisce in me...
In ricordo dell'Ottimo e Massimo Totò, od anche Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio.
Franco Bifani


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