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sabato 18 ottobre 2014

"Fu davvero il “Padre spirituale” della città di Fidenza"

Nella cappella del Seminario Vescovile
il 30 settembre 2014, giorno del suo compleanno.
Pubblico qui sotto il testo dell'omelia di S.E. Rev.ma Mons. Carlo Mazza, Vescovo di Fidenza, pronunciata nella "Santa Messa di Commiato di Mons. Lino Cassi".

Ne consiglio tuttavia la lettura direttamente dal sito web della Diocesi da dove il testo è stato tratto, la migliore veste grafica ne facilità infatti la lettura ed evidenzia meglio alcuni passaggi. 
Io posso solo aggiungere una immagine e questa citazione dal Vangelo secondo Matteo che ci consegnò alla meditazione questa stessa estate dell'anno 2014.

                                         Venite a me,
                                                   voi tutti che siete stanchi e oppressi
                                                   e io vi darò ristoro.
                                         Prendete il mio giogo su di voi,
                                                   e imparate da me,
                                                   poiché sono mite e umile di cuore
                                                   e troverete ristoro
                                                   per la vostra vita.
                                         Il mio giogo infatti è dolce
                                                   e il mio peso leggero


17 ottobre 2014 

Santa Messa di Commiato
di Mons. Lino Cassi

[Ap 21, 1-5.6b-7; Sal 121; Mt 11, 25-30]

Come un soffio di vento leggero, l’anima bella e pura di Mons. Lino Cassi ha lasciato la terra verso il cielo. Il passaggio alla Casa del Padre è avvenuto dopo poche ore dalla celebrazione della Santa Eucaristia e nella folgorante Memoria di Santa Teresa D’Avila. Così sulle ali del Risorto e della Santa mistica spagnola, ha colmato l’ultimo tratto della vita, varcando la soglia del Paradiso portato dagli angeli e accolto dai suoi amati genitori.
Don Lino mi appare così. Dapprima dedicato al servizio di formatore di giovani, poi nel ministero pastorale nella parrocchia di San Michele, e da ultimo nella diaconia della sofferenza, purificato da una malattia implacabile e trasfigurato da un male terribile e lento, vissuto nella discrezione rigorosa dello spirito, ora vive finalmente nella tenerezza del Padre, appagato nel suo desiderio di comunione con l’Eterno, tanto invocato, tanto ricercato e ora pienamente a Lui congiunto nello splendore della sua gloria.

Uomo di Dio
Di lui, unanime si leva dal popolo, affidato al suo cuore, il riconoscimento di “uomo di Dio”, di un uomo e di un sacerdote “grande”, particolarmente investito di una riconosciuta autorità spirituale. Questa definizione di “uomo di Dio” è sostanziale e tocca l’identità più segreta di don Lino. Uscita da un grato elogio popolare, la definizione rivela la bellezza incontaminata del suo spirito e l’essenza primigenia della sua vocazione di ministro di Dio.
Chi è l’“uomo di Dio”? L’intuito misterioso dei fedeli non teme di esprimere una verità così impegnativa che si coglieva con immediatezza nell’accostare la persona di don Lino e che svela il segreto del suo essere uomo completamente dedicato a Dio. E la convinzione dei fedeli non incorre nell’errore perché quell’impressione si era ormai tanto consolidata e confermata nel tempo dall’esperienza, dalla conoscenza e dalla frequentazione assidua di don Lino.
L’uomo di Dio è colui che ha incontrato Dio, l’ha contemplato e vissuto nelle profondità del cuore, lasciandosi da lui convertire, plasmare, trasfigurare. In realtà Dio si è fatto in don Lino trasparenza, quasi sensibile visibilità, attraverso quel diuturno lavorio interiore per il quale l’anima viene purificata dai peccati, è abitata dalla luce della grazia, è innalzata fino alle vette della perfezione.
Don Lino ha attraversato il mare della vita, teso in una ricerca costante di Dio, affidandosi totalmente alla sua volontà, accogliendo su di sé la sfida della fede e la suprema prova dell’obbedienza nella pura fede in Dio. Per questo Dio l’ha colmato del suo amore, donandogli il dono speciale della pace interiore, al di là delle traversie della vita e del travaglio delle cose umane.
Dunque don Lino è stato un “uomo di Dio”, un sacerdote integro e puro, libero dalla seduzione della mondanità, ornato di luce superiore, tanto da divenire nel tempo un autentico testimone dell’Invisibile, perché ha scrutato e amato il “mistero” di Dio e l’ha accolto nella sua persona, meditando, lodando, confessando la sua imperscrutabile Maestà.

Amico dei “piccoli”
Un “uomo di Dio” non può non coltivare l’amore verso i poveri, che sono coloro che contano nulla agli occhi degli uomini, mentre sono i prediletti di Dio. E non può non essere l’ “amico dei piccoli” chi ha compreso la parola di Gesù che “i loro angeli vedono sempre la faccia del Padre che è nei cieli” (Mt 18, 10).
Proprio al riguardo di questa predilezione, qualcosa di travolgente accadde nell’intima coscienza di don Lino, nel percorso della sua maturità sacerdotale, quando incontrò il Movimento di “Fede e Luce” che rispondeva esattamente alla sua sensibilità e al suo carisma interiore, di essere tutto dedicato ai piccoli e agli ultimi.
Quell’incontro provvidenziale fu per lui, già amico degli “abbandonati” dalla coscienza pubblica, una vera “conversione” o meglio un autentico “ritrovamento” di sé, che gradualmente è sfociato in una novità spirituale capace di dare una svolta radicale alla sua coscienza e così dare credito evangelico alla sua vita: un sigillo 
esistenziale che mai più svanirà.
Il suo decisivo incontro con il movimento di “Fede e Luce” fu dunque la tappa discriminante della sua vicenda umana, cristiana e sacerdotale. L’“incontro” contribuì a definire don Lino più se stesso, accrescendo in lui quell’amore, a lungo coltivato, per un Gesù incarnato nell’umanità dei peccatori e profeta degli ultimi e dei poveri.
E qui forse si rivela la pienezza della sua vocazione di cristiano e di sacerdote, che non fu dettata da vacuo sentimento emotivo e passionale, ma da una ferma e lucida illuminazione dello Spirito e da una decisione interiore di scelta di vita.
La scoperta del valore sacramentale dei “piccoli”, come categoria privilegiata del vangelo di Gesù e la conseguente predicazione e pratica di vita, condusse don Lino a volgersi a loro nella condizione della loro apparente inutilità secondo il giudizio del mondo, e alle loro famiglie, costituendo la pratica solidale del principio della “comunità dei salvati”, saliti sulla barca della Chiesa, radunati, accolti e amati in virtù non solo della loro disabilità, ma soprattutto per essere loro il tempio vivo dove Dio si nasconde e opera.
Perciò è sotto la luce della debolezza e della piccolezza, ritrovate come dinamismi fondamentali di verità e di rivelazione della volontà amorosa di Dio, che in don Lino prende consistenza il detto di Gesù. 
“Chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18, 4).
Questa scelta qualificò la sua vita sacerdotale e la visse come limpida vocazione, come forma di alleanza con Dio, come sicurezza della sua azione pastorale, come autentica sequela di Gesù. Così l’amico degli ultimi divenne àncora di salvezza di molti e speranza per tutti.

Padre e maestro di spirito
Con la conversione ai piccoli, Don Lino amò più ancora la Scrittura. 
Egli se ne innamorò sulla scia del Concilio, e la frequentò come luogo di fede e di verità, come spazio di incontro con il Signore, come rivelazione di una storia d’amore che Dio ha intrecciato con l’intera umanità. Questa attitudine a leggere la Parola ispirata allargò il suo cuore e coltivò il suo spirito. Il cuore divenne grande come il mondo e lo spirito fu liberato da ogni vincolo o schema ideologico e moralistico.
La sua acutissima e illuminante capacità di meditare e interpretare le Scritture pose le basi di una invidiabile libertà di spirito che gli permise di amare tutti senza discriminazione, di essere padre nella fede, di comprendere le malvagità e le nequizie degli uomini alla luce stessa di Dio, cioè alla luce della misericordia, e nel contempo di costruire una, si direbbe, teologia della storia, idonea a dare ragione credente alla figura del Figlio di Dio crocifisso e risorto, in cui tutto converge e tutto acquista senso definitivo, come vertice di verità e di grazia a gloria del Padre.
Così imparò la lezione dell’essere sacrificato per i fratelli più sfortunati, di anteporre loro a qualsiasi altra ambizione, di cedere il passo a ciò che è debole e rifiutato, a ciò che è “scarto” della società, per essere identificato a Gesù, ultimo degli ultimo, servo deoi servi.
Il graduale suo inabissamento nel mistero di salvezza, gli svelò il progetto di Dio sul mondo e sull’esistenza umana redenta dal sacrificio pasquale di Gesù e orientata al suo compimento nel destino di gloria del Risorto. Di qui nasce quella sua propensione all’umile nascondimento di sé e a quella meditazione contemplativa del mistero di Gesù Crocifisso, sempre così profonda e raffinata, non sterilmente astratta ma realisticamente coinvolta nella tragica vicenda umana.
L’acquisto di una visione biblica della vita e della storia, coniugata con la coscienza inquieta dell’uomo contemporaneo, maturò in don Lino il dono soprannaturale del giudizio e del discernimento e lo guidò a porsi come vero padre tutto a servizio delle persone di ogni posizione sociale, divenendo così un ricercato “maestro di spirito”.

Conformato a Cristo mite e umile
Per tutta la vita meditò la figura di Cristo, sofferente, povero e debole, ma soprattutto “mite e umile di cuore”, tanto da conformarsi a lui e divenire tutt’uno con lui. In questo diuturno impegno sviluppò una potente e salda vita interiore, un silenzio del cuore nel quale ascoltare e comprendere la voce del Signore, custodirla con amore geloso ed esclusivo nel segreto dello spirito, e nel medesimo tempo ascoltare la voce degli umili e dei rifiutati.
Assumendo gradualmente la sua malattia come segno di purificazione, di espiazione, di rivelazione della volontà di Dio, divenne quel fratello in umanità così tipicamente espresso nella scelta radicale dei “piccoli”, elaborando una “teologia della piccolezza” che tanto affascinò e che tanti accolsero come paradigma di vita, o meglio come segno di speranza in un mondo lacerato dalla disperazione, dal disincanto e dallo smarrimento, e sovente esasperato dal culto del successo e della gloria.
Perso il padre in giovane età sotto la barbarie dei bombardamenti, divenne ancor più “figlio unico di madre vedova”, vivendo nella povertà dignitosa. C’è da riflettere sulle conseguenze di quel tragico evento sulla sua esistenza. Vide con gli occhi dell’adolescente e dell’uomo in divenire la rovina di un’umanità innocente, svilita dalla sia pure apparente vittoria del male sui giusti, empiamente abbattuti dall’immane iniquità della guerra, sempre incomprensibile e sempre sottoposta al giudizio del Dio buono e misericordioso.
Poi la malattia compì in lui l’opera della redenzione, come in un setaccio dal quale si salva chi resiste affidandosi alla divina provvidenza, e ritrova la mano di Dio in un’esperienza di notte spirituale incombente e disperante. Don Lino invece ebbe il dono della serenità e della pace, sostenne i lunghi giorni e le insidiose fragilità del buio esistenziale, sempre accompagnato e assistito da persone fidate e ricche di benevolenza e di gratitudine.
In realtà la sua anima si conformò a Cristo, accogliendo la strada della sofferenza, e così poté essere testimone luminoso del come essere fedeli a Dio nel tempo della prova. Quante persone hanno potuto apprezzare e prendere esempio da questa bella testimonianza e quante ne sono rimaste edificate, perché vi è una paternità nella sofferenza ed un’esemplarità nella discrezione umile e severa.

Padre spirituale della Città
Come professore di teologia in Seminario e Assistente della FUCI, don Lino ebbe modo di esprimere le sue altissime doti intellettuali, morali e spirituali, la sua naturale attitudine alla formazione delle giovani generazioni, la sua perspicacia nel discernimento degli spiriti, la sua sapiente capacità di consiglio, con un magistero lucido, illuminato e mirato al bene delle persone.
Schivo e riservato, sapeva accogliere gli interlocutori nel colloquio personale, con un sorriso appena accennato, con una paternità solida e ferma, stando in ascolto profondo delle anime, accompagnando la paziente costruzione dell’unità e della verità nel rispetto della libertà interiore.
Così dilatò il suo ministero oltre i confini parrocchiali di San Michele per diventare sicuro riferimento per la Città. Fu davvero il “Padre spirituale” della città di Fidenza, disponibile a qualsiasi ora ad accogliere confidenze e gridi di disperazione, come richieste di consigli e di pareri sapienti.
Ci sentiamo tutti debitori di don Lino. Tutti conserviamo motivi per esprimere a lui la nostra riconoscenza. Bene ha fatto l’Amministrazione Comunale del Sindaco Cantini di onorarlo come “cittadino benemerito”. 
Egli fu un uomo illustre, apprezzò più l’umiltà che l’ambizione, coltivò la sua eccellente intelligenza con amore, si dilettò nell’arte del disegno e della poesia, ma soprattutto brillò nella testimonianza di sacerdote di Dio e nella finezza spirituale. Amò i piccoli e spezzò per loro il pane della vita, che è Gesù Cristo, e con loro condivise la gioia di vivere al primo posto pur essendo ultimi.

Elogio di un “padre”
Per questo la Chiesa di Fidenza non dimenticherà questo sacerdote, seminatore della Parola e amico dei poveri, generatore di speranza. Il presbiterio fidentino è grato al Signore per il dono di don Lino che lo considera vero maestro e padre nel cammino della fedeltà al Signore. 
Sia sempre per noi la lampada accesa nella notte per non smarrire la via verso la salvezza.

Grazie, don Lino!

                                                                           + Carlo, Vescovo

1 commento:

  1. Nel mio piccolo vorrei ricordarlo con una consuetudine che, da qualche tempo, si ripeteva ogni settimana sul tuo blog, dopo la sua omelìa.
    Gnì cum me, vüätar tütti ca sì strâch e ängäriè: me äv farò arsurèr. Mötîv äl coll èl me žu, imparè da me, parché me sum chiêt e bon äd cör e cum me cätarì arsôr. Parché èl me žu l’é mîa pò tânt pês, e ‘l me sâch l’é älzêr ‘me ‘na fäloppa.

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