domenica 1 gennaio 2012

Colloquio con gli autori del volume "Notte e alba di una Cattedrale"




Ho incontrato Umberto Primo Censi e Gianandrea Allegri ponendo loro alcune domande e raccogliendo le loro risposte in merito al loro studio in via di pubblicazione e che sarà presentato mercoledì 4 gennaio presso il Ridotto del Teatro G. Magnani di Fidenza. L'articolo del settimanale "Il Risveglio" riporta nella forma dell'intervista questo colloquio che poi, per comodità di lettura, ho trascritto più sotto in questa stessa pagina.
Nel lasciarli ho posto la domanda più provocatoria: come pensate venga accolta la vostra proposta?
Allegri ha risposto in modo dotto e nel contempo cauto con queste parole che rimando a memoria: Habent sua fata libelli” è la frase di Terenziano Mauro, un grammatico latino del. III sec. d. C. Nel caso specifico l’ho adattata e interpretata in questo modo: Tutti i libri (indipendentemente dal loro valore intrinseco) sono, in tempi più o meno lunghi, destinati all’oblio, quelli storici di solito invecchiano e muoiono prima.

Censi ha invece preferito sbilanciarsi di più e ne è uscita questa risposta:
"Premesso che ognuno da quello che ha, se tu ti riferisci all’ambito storico una ricerca può essere sostanzialmente valutata in base a tre parametri: l’adeguatezza della coordinazione storiografica in funzione all’oggetto, la correttezza nell’impiego del metodo storico-critico e la serenità, che solo il distacco permette di raggiungere. 
Siamo abbastanza tranquilli su tutti questi versanti. Ovviamente non esistono antidoti che impediscano di commettere errori e omissioni, lo studio e la cura li attenuano solo un poco; occorre possedere l’umiltà e l’onestà intellettuale di metterli in conto preventivamente e di ammetterli quando vengono rilevati da altri.
Se invece ti riferisci ai circoli fidentini alla domanda dovrebbe rispondere Mino, che conosce meglio il clima culturale e politico. 
Nessuno ci ha commissionato il lavoro e non abbiamo né chiesto, né avuto nulla, ci bastano le parole di chi ha poi fatto in modo che il libro venisse pubblicato. Comunque, quale che sia l’accoglienza, guardiamo avanti; volgendoci indietro si può rimanere di sale, come la moglie di Lot."



Il testo dell'intervista pubblicata sul settimanale "Il Risveglio" del 23 dicembre u.s.


Ponzi: Perché un lavoro su Borgo a 4 mani?
Censi: Talora due teste sono meglio di una perché si rischia meno, bisogna però essere affiatati, flessibili, possedere non certo lo stesso background, ma un substrato culturale compatibile e possibilmente complementare.
Allegri: La storia medievale è una passione che condividevamo con Carlo Soliani, prima che si ammalasse. Carlo aveva identificato il ceppo aristocratico di Ugo Alamanno, signore di molti castelli e terre, che dominò il territorio borghigiano per buona parte dell’XI secolo. La sua proposta non è stata da tutti accolta e c’è ancora chi sostiene che ad egemonizzarlo furono gli Obertenghi.

Ponzi: Il vostro lavoro però riguarda la Chiesa non la feudalità.
Allegri: Sì, ma un tempo Chiesa e istituzioni politiche, potere civile e autorità religiosa, cultura e organizzazione socio-economica costituivano un mixing indissolubile e più si retrocede nel tempo più diventa difficile scinderli. Ora è diverso, ma sarebbe anacronistico proiettare sul passato l’ombra del presente, volendo farli interagire è più logico seguire il percorso inverso.
Censi: Sono d’accordo, tuttavia l’identità culturale di Borgo è in gran parte cristiana ed ecclesiastica. Gli storici che l’hanno individuata avevano sotto gli occhi la Cattedrale e il nome di san Donnino nelle orecchie; il titolo di città a Borgo fu riconosciuto da Clemente VIII con l’elevazione a vescovato nel 1601, il tutto era stato preparato con la trasformazione della Pieve in Collegiata più di 4 secoli prima. Questi sono fatti; come è un fatto il “successo editoriale strepitoso” delle “passioni” di san Donnino, favorito dalla fortunata ubicazione viaria e dal transito dei pellegrini. Anche gli storici di Borgo li hanno giustamente rimarcati, ma, e questo è il dato un po’ curioso, non si sono serviti delle coordinate della Storia della Chiesa per inquadrarli e interpretarli.

Ponzi: Da dove siete partiti?
Allegri: Siamo partiti da quanto sapevamo, che non era poco, poiché i percorsi medievali della pianura parmense li pratichiamo da più di 35 anni. Se ne cominciò a discutere per caso, poi Umberto mi diceva che alcuni temi erano già stati trattati da altri proponendo soluzioni non sempre concordi. L’interesse lievitava man mano che trovavamo in quei dibattiti spazi e argomenti per inserirci. Allora siamo risaliti alle fonti, abbiamo letto e riletto i documenti, verificato le confini, insomma dovevamo vederci ogni sera e non solo la sera.
Censi: Per lungo tempo non abbiamo pensato alla pubblicazione, ma solo a divertirci. Spero tuttavia che il lavoro sia accolto come serio, perché le discussioni sullo schema, sulle letture, sulla schedatura dei contributi, le approssimazioni successive, le correzioni di prospettiva sono durate oltre tre anni. La pazienza della scrittura, l’apparato delle note e gli inserti cartografici sono invece frutto di propensioni individuali. Più a monte ci sono le convinzioni, ma noi abbiamo seguito la regola aurea di separare i fatti dai desideri, tralasciando “i giudizi di valore”. Le idee di Andrea sono rigorosamente laiche e inossidabili, le mie meno, ma, a parte qualche sorrisetto, l’accusa d’integralismo non me l’ha mai rivolta. Il bello di questa storia è che, a parte le concezioni diverse, sull’interpretazione dei fatti siamo giunti, nel 95% dei casi, alle stesse conclusioni e questo, per il lettore, dovrebbe costituire una garanzia.

Ponzi:. E dove siete giunti?
Allegri: Siamo giunti a concludere che l’antica storiografia locale ha tentato un po’ abusivamente d’associare Fidenza-Borgo S. Donnino a personaggi celeberrimi: Costantino, Agilulfo, Teodolinda, s. Gregorio Magno, Carlo Magno. Quei nomi altisonanti però distraggono valore più che aggiungerne. Sarebbe stato più efficace e rispettoso dei documenti accertare che il successo indiscusso di Borgo è dovuto ai Borghigiano stessi per l’intraprendenza, la capacità di risorgere e rialzarsi dopo distruzioni e rovesci. In breve: basta riconoscere loro il titolo di self-made men. Estendendo la ricerca abbiamo anche capito che, pur evidenziando singolarità, Borgo non costituisce un unicum o un fenomeno incomparabile. Tra medioevo ed età moderna altri centri nell’Italia settentrionale, con un passato che presenta non poche analogie, vennero decorati prima da leggende, poi con le insegne episcopali e il titolo di civitas. Risulta quindi utile effettuare raffronti, per esempio con Casale Monferrato, Borgo San Dalmazzo, Guastalla e Carpi.
Censi: Ci siamo anche resi conto che alcuni storici hanno raffigurato Borgo San Donnino in modo un po’ “urbano-centrico” cancellandone i connotati rurali nell’alto medioevo e isolandolo dal contesto territoriale. Dai documenti di quei secoli, definiti “bui”, affiora più puntiforme la storia delle campagne. Il borghigiano rispecchia un angolo di firmamento molto dinamico, trapunto di celle e corti, castelli, villaggi e borgate, monasterioli, ospizi e chiese circondati da grappoli di casupole e casolari sparsi, uniti da un intreccio di viottoli che costituivano un tessuto connettivo congiunto strettamente alle città. Anche lo “stato nascente” della Cattedrale mostra l’incompletezza di quella interpretazione: se le cattedrali medievali furono “figlie delle messi”, sono stati anche i tanti uomini, di cui le carte riportano nomi e provenienza, immigrati da terre vicine e lontane a espandere i coltivi, sostenere la crescita del borghigiano e, in modo mediato, anche il cantiere della Cattedrale.

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