domenica 29 aprile 2012

Tre opere di G. B. Tagliasacchi conservate nella Cattedrale di Fidenza


Nell'ambito del mio studio "Dipinti provenienti dalla soppressione napoleonica a Fidenza" ospitato nell'ultimo numero di "Aurea Parma" (anno XCIV,fasc.I, gen.-apr.2010) considero anche i tre importanti quadri conservati nella sagrestia grande della Cattedrale di Fidenza, inventariati sotto il nome di Giovan Battista Tagliasacchi (Borgo San Donnino, 1696 ~ Castelbosco Piacentino, 1737), quali oli su tela raffiguranti rispettivamente S.Giovanni Battista 132X168 cm c.a), S. Giustina (86 X 72 cm c.a)e S. Placido (81 X 75 cm c.a).Un documento inedito, da me rintracciato all'Archivio di Stato di Parma, redatto agli inizi dell'Ottocento dal pittore fidentino Carlo Angelo Dal Verme mi ha permesso di circostanziare l'ubicazione originaria delle tre opere, di accertare chi di fatto rappresenti la figura della santa, come di confermare l'assegnazione al Tagliasacchi, e così grazie anche agli inventari dei conventi soppressi. 
Chiamato quale esperto per il riconoscimento dei quadri in occasione della soppressione del convento delle monache benedettine di Borgo San Donnino (1810) Dal Verme fu tenuto ad esprimersi su quelli migliori. Egli allora fece riferimento ai tre dipinti della Cattedrale, che rilevava nel convento delle Benedettine, così indicati nel documento scritto di proprio pugno:
"S. Gio. Battista a sedere nel deserto indicante il Salvatore/ S.ta Flavia con coltello nella gola,ed Angeli/ S. Placido Idem. Tre opere di Gio. Battista Tagliasacchi Fidentino". I tre dipinti appaiono attualmente pubblicati su Internet, come componenti del museo diocesano, disponibili alla fruizione collettiva. Si ricorda che la mensa vescovile di Fidenza tra i quarantatré quadri che possedeva nel secolo diciannovesimo, conservava San Placido e sua sorella dello stesso Tagliasacchi (A. Aimi, 2003, p.113).
L'uno rappresenta S. Giovanni Battista seduto accanto ad una pecora, le gambe incrociate, la mano destra indicante Gesù che appare sullo sfondo, in piedi in un paesaggio desertico, entro un alone di luce. Ai piedi del santo sono poste una ciotola e una verga terminante a forma di croce. 
Quello che è indicato come S. Giustina è stato identificato correttamente come S. Flavia. E' pendant dell'altro raffigurante S. Placido. Presenta la santa, a mezza figura, entro un ampio e svolazzante mantello, gli occhi rivolti al cielo, un coltello conficcato in gola. Alle sue spalle stanno due angeli con la palma del martirio e una corona di rose. S. Placido è presentato calvo, vestito di nero, con un coltello che gli trapassa la gola, gli occhi al cielo; lo circondano angeli con la palma del martirio. 
L'inventario delle soppressioni del 1810 appurava la loro presenza nella "Galleria vicino alla Grande Entrata" del convento delle monache benedettine, locale da cui prese avvio la registrazione, come parte di un arredo comprendente anche altri quadri. La chiesa e il convento delle Benedettine, di antichissima fondazione, originariamente sotto il titolo dei SS. Giovanni Battista ed Evangelista, occupavano l'area dell'ex Palazzo dei SS. Giovanni e delle ex carceri mandamentali. Soppresso il monastero, l'annessa chiesa, adibita a parrocchia fino al 1785, fu poco dopo chiusa al culto e demolita. 
Il convento fu in gran parte distrutto in occasione della costruzione della nuova Casa del Fascio. Fu risparmiata la sola parte all'epoca già adibita a carcere mandamentale. Rese note da Dario Soresina (1979) con l'attribuzione al Tagliasacchi, le opere ottengono in seguito, da parte di certa critica, diversa valutazione, così che la prima è indicata come ascrivibile a Luca Casana (prima metà del Settecento) vicina al Martirio di S. Giovanni Battista nella Parrocchiale di Siccomonte; la seconda della scuola del Tagliasacchi; la terza senz'altro del Tagliasacchi (Cirillo-Godi, 1984, p. 27). Taciute nello studio che ha accompagnato la mostra dedicata all'artista borghigiano del 1987, non sono fatte rientrare nel catalogo del maestro in un recente approfondimento (Gubitta, 2007). 
L'attribuzione delle tre al Tagliasacchi sembra accettabile, suffragata dal giudizio dell'esperto settecentesco, da considerarsi profondo conoscitore dell'arte del conterraneo.
Dal Verme collezionò disegni del Tagliasacchi; alcuni frammenti si conservano nel Manoscritto Parmense 3709 presso la Biblioteca Palatina di Parma. Figura di primo piano nell'ambiente artistico parmense ed emiliano del primo Settecento, Tagliasacchi, allievo del Dal Sole a Bologna, assurse ai fastigi della fama già durante la vita, per la sua opera pittorica, svolta quasi esclusivamente nel Parmense e nel Piacentino. Zani lo ricordò come "Pittore di storia tanto sacra, che profana", "Pittorritratti sta", "Disegnatore", qualificandolo "celebre". 
Si è notato prossimo al modello del S. Giovanni, quello che dà corpo allo stesso santo in un disegno di Antonio Bresciani (Piacenza, 1720 - 1817) che si accompagna ad altro con una Maddalena, segnato "Tagliasacchi Inv. Pin.", scritta che denuncia la paternità dell'idea, la cui destinazione pittorica non è nota. La tela con il S. Giovanni, non apprezzabile appieno per l'ingiallimento della vernice protettiva diffuso su tutta la superficie, si aggiunge al catalogo dell'artista fidentino, databile al terzo decennio del secolo XVIII.
Pare innegabile che essa abbracci l'intervento del maestro nell'ideazione generale, che si palesa di pieno effetto. La fisionomia del volto del Battista, di tipo allungato, spigoloso ma dolce, con naso sottile, si avvicina a quella presentata dal San Fedele da Sigmaringen del 1730 (Fidenza, chiesa dei Cappuccini) e con tale modulo concorda anche la figura femminile al centro del gruppo, a destra, nella Rebecca al Pozzo, una di due grisaille di collezione privata milanese. 
Dello stesso periodo sono i due pendants, espressivi di un fare pittorico più disinvolto, preziosa testimonianza di un'applicazione d'interessi. La S. Flavia tradisce una chiara influenza dell'arte del già ricordato Ignazio Stern, apprezzato artista, che pur soggiornando a Roma, lasciò numerose opere nelle chiese del Ducato, datate o databili fra il 1722 e il 1725: la figura della santa nel suo articolarsi espanso e fluttuante, raccolta in una fisionomia languidamente sfatta, interpreta la tipologia di repertorio per le Vergini del maestro tedesco, come si apprende nell'Assunta e Santi di Zibello e nelle Immacolate di Busseto e Borgonovo. 
La figura di s. Placido si confronta bene con quella di santo nella Madonna con Bambino e Santi rintracciata in Francia, firmata e datata 1737 e con quella di S. Benedetto nella Incoronazione della Vergine presso collezione privata, opera attribuita, come già osservato da Latimbri (2007 
Angela Leandri (Pubblicato sul settimanale diocesano il Risveglio del 28 maggio 2010)

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