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lunedì 3 giugno 2013

Realtà quotidiana e finzione filmica


Cinismo, volgarità e fetido decadentismo, ecco ciò che abbonda nel film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, un grido di dolore per la generale assuefazione etica e l'indifferenza morale. In esso la finzione è spesso superata dalla corrispondente realtà sociale e topografica. Questo è il brodo di coltura in cui galleggiano i personaggi del film, perfetti interpreti di gran parte della società italica attuale.
Assistere allo spettacolo della capitale e dei suoi vizi, risulta ancora più forte nel contrasto tra la tradizionale tendenza nordica all'ordine e l’ordinaria inclinazione al disordine, che ridonda specie tra partenopei e romani.
Locandina La grande bellezzaNel film imperano l'assoluta mancanza di valori, la perenne ostentazione di ricchezza fine a se stessa e la cronica cialtroneria dei nuovi potenti d'Italia.
Qualche tempo ed ecco ricomparire, nella realtà dei nostri giorni, al processo che la riguarda, la “suorina” delle feste di Arcore, Nicole Minetti, indagata per induzione alla prostituzione, anche minorile. Prima ancora, abbiamo potuto ascoltare le confessioni di purezza virginale della famigerata Ruby, tutta casa e lavoro.
Anche in questo caso, senza entrare nel merito del processo, basta riascoltare le intercettazioni telefoniche delle varie invitate alle feste galanti del capo del Governo, per carpirne il livello infimo di disumanità, di sconcezze e volgarità senza limiti.
L'Italietta contemporanea continua, cinicamente, a sguazzare nella propria mediocrità quotidiana, senza il minimo barlume di redenzione. Il lumicino della speranza salvifica, lontano lontano, laggiù, nelle oscure foreste delle fiabe dei Grimm, si è spento per sempre. L'istinto di sopravvivenza, puramente fisica, al merito, alla cultura, alla competenza professionale, preferisce ed antepone la facile strada, lastricata di banconote, non di rose, del sotterfugio, dell'intrigo, degli inciuci, del sottobanco, la vendita al migliore offerente del proprio corpo e della propria dignità; alla vita modesta, ma decorosa, lo schifo di una laida esistenza, dove l’onestà è sempre più un esercizio inutile ed un valore aggiunto dannoso. Sullo stagno immobile dell'immobilismo, prospera la vacuità di un ambiente, conformato sui peggiori vizii di una borghesia da due soldi bucati, tra intellettualoidi che si esprimono in cripto-linguaggi di nicchia o in politichese stretto, radical-chic che giocano ad interpretare il ruolo del marxista da parata e da vetrina, religiosi cui nemmeno l'abito dona l'aspetto di monaci.
pagina successiva →A proposito, invece, dell'assoluta mancanza di carità e di amore per il prossimo, mi è venuto alla mente il libro di H.G.Wells, “La macchina del tempo”, con le sue trasposizioni filmiche. Nell'anno 802.701, un crononauta, viaggiando su una macchina temporale, rinveniva, sul nostro pianeta, una razza di poveri omini, tutti giovanissimi, sprofondati in una completa atarassia ed apatia, dediti a cibarsi ed a passare il tempo cazzeggiando, qua e là: un po’ come i nostri attuali bamboccioni di famiglia. Il cibo era loro fornito dai mostruosi Morlock, umani, come loro, ma da millenni abitanti nelle viscere della Terra, che si cibavano delle carni dei poveri Eloi. Non si nota una certa somiglianza tra costoro e certi nostri mafiosi, parlamentari e  imprenditori, con loro collusi, e faccendieri varii? Ebbene, nel tempo presente, e non nell'802.701, siamo su questa strada, del totale disinteresse degli Eloi per quanto e chi ci circonda, accada quel che accada. Questa indifferenza esprime una mancanza di interesse e di partecipazione emotiva verso il mondo esterno e rappresenta, io credo, il prodotto di un narcisismo esasperato, indotto da un'educazione familiare eccessivamente permissiva e giustificativa di ogni azione, per cui, ad essere investito di interesse, è solo il soggetto Io, in forme di egocentrismo ed egotismo che sfociano, spesso, in un egoismo infame. 
C'è chi vive, perennemente, chiuso in atteggiamenti di impassibilità, di insensibilità, di assenza di qualsiasi passione, in una indifferenza affettiva per situazioni, positive o negative, che pur dovrebbero suscitare interesse od emozione, normalmente. Io sono convinto che questa assoluto distacco sia da attribuire ad una sorta di malefica depressione generalizzata, dove la capacità di gioire e la possibilità di qualsiasi proiezione ottimistica nel futuro sono azzerate. Siamo spesso invischiati ed assorti nei nostri fantasmi interiori ed abbiamo perso la capacità di reagire emozionalmente agli stimoli del mondo esterno ed alle relazioni interpersonali. Viviamo in situazioni routinarie e frustranti, in perenne stato di forte ansia, di eccitamento, di crisi affettive. In troppi, oramai, come i Morlock, si accorgono che esistono gli altri, gli Eloi, solo nei momenti, rari o frequenti che siano, in cui li possono sfruttare pro domo sua, divorandoli e fagocitandoli.
Franco Bifani

Nota sull'autore

Franco Bifani ha insegnato Lettere in istituti medi e superiori dal 1968 al 2003. Da quando è in pensione si dedica essenzialmente alle sue passioni: la scrittura, la psicologia e il cinema. Collabora al mio ed ad altri numerosi blog.








1 commento:

  1. Esimio Prof. Bifani, come sempre, la sua critica cinematografica è degna di grande attenzione. Non so se la vita e la storia di solo sessanta o settantant'anni fà,possano permettere un'obiettiva valutazione di ciò che la gente era nel passato; posso solo dirle che, leggendola, ho ritrovato tante situazioni di allora. Panta rei? Sì, mo j'en sémpar èl stèssi ròbi ca pasa e pò pasa anmò. E ävanti indré, ävanti indré che bèl divertimento. Âvanti indré, ävanti indré, la vita è tutta qua♪.

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