Pagine

martedì 10 settembre 2013

Duomo di Fidenza: la Porta del Cielo


Una lettura teologica della facciata del Duomo

Per il Duomo fidentino non c'è bisogno di soffermarsi ulteriormente sul significato simbolico della porta della chiesa già ampiamente considerata da de Francovich e da altri studiosi come l'elemento centrale su cui converge l'intero sistema iconografico della facciata. ".. ..lo sono la porta e colui che entra attraverso di me sarà salvato": a Fidenza queste parole assumono piena visibilità nell'immagine gloriosa di Cristo che, dall'alto del protiro, nelle sembianze dell 'Eterno tra gli angeli, indica ai pellegrini e ai fedeli la via della salvezza nell'adempimento dei precetti dell'antica legge (ADDI ISRAEL MANDA T A VIT AE) e nella sequela delle beatitudini (BEATI·' P AUPERES SPIRITU). Contornato dai profeti e dagli apostoli, egli rappresenta anche strutturalmente la chiave di volta del portale e, come è stato ipotizzato, l'ideale centro geometrico dell' incompiuta facciata. E' dunque Cristo la vera porta che da accesso alla salvezza: "Christus Janua vera" . Ma l'ingresso del tempio è anche una nota figura della Vergine Maria.

L'immagine gloriosa di Cristo nel protiro

Da sempre invocata come Janua Coeli è a lei che fanno riferimento i rotoli delle profezie di Davide (HAEC PORTA DOMINI IVSTI INTRANT PER EAM (Ps 117) e di Ezechiele VIDI PORTAM IN DOMO DOMINI CLAUSAM (Ez. 44,1-2) le cui statue collocate nelle nicchie ai lati del portale volgono lo sguardo verso l'ingresso della chiesa. Alla Vergine rimanda in particolare la visione di Ezechiele -"porta clausa erit et non aperietur in aeternum"- che i commentari biblici interpretano come allusiva alla nascita verginale del Salvatore: "transivit per eam Christus sed non aperietur". Lo stesso concetto trova spazio nell'ufficio liturgico delle feste di Maria che invita a meditare su una lettura di San Gerolamo che dice: Porta haec clausa erit, et non aperietur. Pulchre quidam portam clausam, per quam solus Dominus, Deus Israel, ingréditur, et dux cui porta clausa est, Mariam Virginem intèlligunt, quae et ante partum et post partum virgo permànsit". Va inoltre sottolineata l'intensità con cui l'eco della profezia biblica risuona assiduamente nelle preghiere e nei canti liturgici dell ' Avvento. Un responsorio della seconda domenica esprime il senso dell' attesa messianica e lo stupore della Chiesa per il prodigioso segno: "Ante multum tempus, prophetavit Ezéchiel: Vidi portam clausam; ecce Deus ante saecula ex ea procedabat pro salute mundi; Et erat iterum clausa, demonstrans Virginem, quia post partum remansit virgo. Porta quam vidisti, Dominus solus transibit per illam" - "Tanto tempo fa, profetò Ezechiele. Ho visto una porta chiusa: ed ecco uscire Iddio da essa per la salute del mondo: Con ciò significa la Vergine che dopo il parto rimase vergine. La porta che tu hai veduto o Ezechiele, soltanto il Signore passerà attraverso di lei".

Il Profeta Ezechiele e Vergine col Bambino

Il significato mariologico della profezia di Ezechiele risulta infine rafforzato dall' evidente correlazione tra la statua e il sovrastante bassorilievo raffigurante la Vergine col Bambino. Nell'incavo della della calotta della nicchia, si può vedere come il busto di Maria balzi letteralmente dalle fronde, con fiori e frutti, di un albero stilizzato, i cui rami avvolgono per intero la sua figura, fino a lambime con una foglia la fronte coperta dal velo.
E' da notare come la forma lanceolata dei frutti richiami verosimilmente quelli del mandorlo, particolare che rafforza, a mio avviso, il significato allegorico dell'immagine, essendo quest'albero associato allo sbocciare della primavera e quindi alla rigenerazione e alla luce e, per tradizione, a Maria stessa; la mandorla, nel simbolismo medievale, è a sua volta associata alla manifestazione luminosa della divinità, al Cristo stesso, la cui natura divina era celata dalla sua natura umana.
Promessa di vita nuova , che fa dire a Geremia: "Mi fu rivolta questa parola dal Signore: "Che cosa vedi Geremia? Vedo un ramo di mandorlo" risposi: Il Signore soggiunse: "Hai visto bene poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla". Sul grembo intatto della Vergine Maria siede il Bambino e la madre gli porge un fiore con la mano destra, nell'atteggiamento tipico che caratterizza le statue in maestà.
Qui siamo invece di fronte ad una più accentuata idealizzazione, a una particolare tipologia floreale della Vergine: a un immagine, come sospesa al di fuori del tempo dello spazio, ove rieccheggia con forza il linguaggio profetico di Isaia: "E uscirà un rampollo dal ceppo di Jesse, un germoglio spunterà dalla sua radice. ...". (Is. 11.1-3) VIRGA(M) VIRTVTIS PROTVLIT FRUCTVMQVE SAL VTIS / VIRGA FLOS NATVS EST CARNE DEVS TRABEATVS: (Dio) produsse la verga della virtù e il frutto della salvezza: dalla verga è nato un fiore, è Dio rivestito di carne. Così recita l'iscrizione semi circolare disposta su due linee e che contorna il bordo esteriore della nicchia. La verga nata dalla radice di Jesse è dunque la Vergine Maria, il fiore Gesù.
L'idea dell'albero associato a Maria, che come harbor vitae ma anche come rappresentazione dell' ascendenza regale di Cristo diventa a partire dal Medioevo uno dei motivi più diffusi dell' arte cristiana, è codificata nei testi dei padri della chiesa e dei teologi e compare nei più antichi inni liturgici composti in onore della Madonna.
San Bernardo, il cui ordine che ha dato notevole impulso alla devozione mariana è rappresentato localmente dagli importanti insediamenti di Chiaravalle della Colomba e di Fontevivo, scrive in proposito: "In hoc tamen Isaiae testimonio, florem Filium, virgam intellige Matrem". Ma per "virga" non è da intendersi il solo virgulto che prorompe dalla radice disseccata, traduci bile anche come bastone; la "virga" che da fiori e frutti , è segno di potenza, di forza, di benevolenza divina: "Virgam virtutis tuae emittet Dominus ex Sion" (S.109, v.2» cioè "Il Signore protende lo scettro della tua potenza" e ancora "Deus profert germen justitiae" (Is. 61, Il ), parole, che come segnala puntualmente Enrico Conti, sono espresse in versi dallo stesso autore della nostra iscrizione con le equivalenti "protulit fructum salutis".
Come per il bastone di Aronne che messo da Mosè nel tabernacolo dell'Alleanza, "aveva prodotto germogli, aveva fatto sbocciare fiori e maturato mandorle", questa fruttificazione insolita, innaturale di un ramo non piantato nel suolo, è immagine della Vergine che genera il figlio senza essere stata fecondata: "L'arida verga di Aronne, diventata bella e fiorita, te figura , o Maria, che senza conoscere uomo, hai fatto il fiore del tuo figliolo"; immagine vetero testamentaria di un prodigio che ci introduce direttamente al centro del credo cristiano con la visualizzazione del tema fondamentale dell'Incarnazione di Cristo: "Quando giunse la pienezza dei tempi, il Padre mandò dal cielo il Figlio, che aveva creato il mondo. Egli si rivestì di carne nel seno di una vergine".
Simmetrica a Ezechiele, nella nicchia sul lato opposto del portale, si erge la maestosa statua incoronata di re Davide.

Re Davide e Presentazione al Tempio

Il secondo re di Israele, non è soltanto una delle prefigurazioni del Salvatore ma ne è anche l'antenato diretto: il figlio di lesse dalla cui radice vivente si dirama il rigoglioso albero genealogico, descritto dall' evangelista Matteo, che ha nel suo ramo più alto la Vergine e il Figlio: "Salve radix, salve porta, ex qua mundo lux est horta".
Ma è sopratutto nell'evidente rapporto che unisce simbolicamente la statua a tutto tondo di Davide al soprastante rilievo con Presentazione al Tempio, che trova conferma l'esistenza di uno stretto legame concettuale tra le sculture del Duomo e il ciclo liturgico dell'incarnazione, di Avvento e Natale.
In un' antifona composta per la processione delle candele, il suggestivo rito che accompagna la celebrazione di questa antichissima festa dedicata alla Vergine, c'è l'esortazione a Gerusalemme perché accolga degnamente il Salvatore: "Orna la tua dimora o Sion e accogli il Cristo Re. Apri le braccia a Maria che è la porta del cielo, da cui Cristo è passato, Colei che ci da il re della Gloria, la nostra nuova luce. La Vergine si ferma e offre con le sue mani un figlio nato prima della luce. E Simeone, prendendolo tra le braccia, annunzia al popolo che Egli è il Signore della vita e della morte, il Salvatore del mondo". L'essenzialità descrittiva con cui lo scultore, adeguandosi alla superfice concava della nicchia, ha interpretato l'episodio narrato da San Luca vuole evidenziare come il riconoscimento del tanto atteso Messia avvenga sotto il segno dell'umiltà e focalizza l'incontro di Maria e Simeone nel puro atto simbolico di Maria che, con le mani coperte da un velo in segno di rispetto, innalza il Bambino porgendolo all'abbraccio spontaneo del pio vegliardo: come un gesto rituale di offerta che prefigura il supremo sacrificio di Cristo.
Anche in questo caso siamo di fronte ad una originale simbiosi tra immagine e testo epigrafico e l'iscrizione che corre sopra la nicchia, disposta alla stregua di un elegante fregio, sintetizza il significato simbolico dell' avvenimento, traducendolo in autentica poesia.
Raramente si può riscontrare nell' arte medioevale un così intimo raccordo tra testo e forma plastica: "DANS BLANDVM MVRMVR TVRTVR PRO MVNERE DATVR / SVSCIPIT OBLA TVM SIMEON DE VIRGINE NA TVM (Nel blando mormorio delle tortore date in offerta: Simeone accoglie l'offerta della Vergine).
In questi versi ritmati c'è anche armonia imitativa poiché, com'è stato osservato, leggendo adagio le otto sillabe con la "erre" pare di sentire il mormorio delle tortore.
I graziosi volatili, che rappresentano l'umile offerta dei poveri, sono portati in mano da un'ancella che assiste alla scena stando all'esterno del tempio; emblema stesso della discrezione, dell' innocenza, della purezza, col loro flebile canto essi esprimono simbolicamente, come suggerisce la "Leggenda Aurea", la struggente attesa e al tempo stesso la gioia di Israele, che confida nell'avverarsi della profezia messianica:
"Alta vola la tortora, gemito è la sua voce; col suo canto da segni di buona stagione.
Casta è la sua vita, casta e solitaria ...". Il simbolismo della porta del tempio, come porta del cielo, riemerge chiaramente nei due gruppi, composti da una donna, un uomo e un fanciullo, preceduti da un angelo, collocati rispettivamente ai lati del portale, tra le nicchie dei profeti e gli stipiti del protiro. 


Tradizionalmente interpretati, come le famiglie di pellegrini, i poveri e i ricchi, o più recentemente come esemplificazione dell'incessante flusso dei devoti di San Donnino provenienti dalla città e dal contado, i due gruppi, più che a categorie sociali contrapposte, potrebbero alludere da un lato, a sinistra del portale, al cammino di Israele verso la terra promessa, con l'angelo che a impugna un corto bastone, come uno scettro, appunto la "virga virtutis", e al pellegrinaggio del tempo presente con l'angelo - guida, che vediamo sulla destra reggere il tipico bastone da viaggio, appunto il bordone dei romei, qui realisticamente rappresentati.: "Ecce Ego mittam Angelum, qui praecedat te et custodiat in via et introducat in loco quem paravi. Observa eum et audi vocen ejus. Con uno stacco netto rispetto al piano levigato delle pietre arenarie, il campo delle sculture ora cede il posto ad una lastra intagliata, sulla cui superfice, leggermente incavata, spicca un complesso motivo a nastri intrecciati e volute . L' arretrarsi della parete di fondo, nonchè i ricchi e minuziosi particolari, conferiscono all'insieme un aspetto costruito, come di una fitta grata o inferriata distesa ai lati del portale. Figura assimilabile alI 'hortus conclusus del Cantico dei Cantici: "un giardino chiuso ben cintato sei, sorella mia, o sposa, giardino ben cintato, fonte sigilllata....." , la grata è anche una trasparente allegoria della maternità divina di Maria, che fa dire a Sant'Ambrogio. "Un giardino chiuso sei tu, o Vergine, custodisci i tuoi frutti". Ma il simbolismo della grata, che ai lati del portale si presenta come un finissimo lavoro di intaglio, e che di per sé stessa esprime senso di intimità e mistero , si espande, fino a significare, figura nella figura, l'attesa trepidante e gioiosa della sposa del Cantico dei Cantici per il ritorno dello sposo, immagine che i commentatori medioevali applicano a Cristo e alla Chiesa: "Ascolta...il mio diletto! Si egli viene saltando per i monti, balzando per i colli... . ecco egli sta dietro la nostra parete, guardando dalle finestre, spiando dalle inferriate...il mio diletto parla e mi dice: alzati, amica mia, mia bellezza, e vieni. Poiché l'inverno è passato, la pioggia è cessata. . . .riappaiono i fiori sulla terra, il tempo del canto è venuto e la voce della tortora si ode nella nostra terra; il fico matura i primaticci e le viti in fiore esalano profumo". Scrive e puntualizza in proposito San Bernardo: "Il muro è la carne, l'avvicinarsi dello sposo è il Verbo. Il graticcio e le finestre del muro sono i sensi della carne che Cristo ha voluto conoscere attraverso un'esperienza personale". L'incontenibile ricchezza espressiva e simbolica del Cantito dei Cantici riaffiora infine nei due rilievi sovrastanti, che sviluppano specularmente, con le cadenze e i ritmi di un fregio classico, una serie di volute con racemi, grappoli d'uva, fiori e grandi foglie palmate: è la vite ubertosa che nell' Antico Testamento simboleggia, il popolo di Dio, che il Signore ha piantato e da cui attende i frutti; vite che nel Nuovo Testamento è simbolo di Cristo: "lo sono la vite.. .."; è la vite - Maria "radicata più profondamente di tutti nell'amore di Dio - allacciata come scrive Sant'Antonio di Padova - inseparabilmente alla vera vite, cioè al suo figlio; Maria che nell'Ecclesiastico aveva detto di sé: lo sono la vera vite, ho prodotto un frutto di soave profumo". Questo continuo trascolorare di immagini, questa prorompente vitalità metamorfica, che, attraverso sempre più rarefatte e allusive immagini bibliche, ci introduce visibilmente nelle profondità dei misteri cristiani, investe gli stessi elementi strutturali della facciata: come l' emicolonna di sinistra, il cui capitello mostra la storia di Daniele nella fossa dei leoni: il significato allegorico di questa figura biblica , che gli autori medioevali spesso rapportano alla Vergine, è segnalato da un piccolo fiore stilizzato, forse una rosa, che spicca solitario, scolpito sul fianco destro della stessa emicolonna, quasi a voler sigillare i preziosi messaggi profetici; ancor più rigogliosa la "fioritura" dell'altra emicolonna , che sfocia nella ridondante vegetazione di un capitello corinzio che, tra le foglie d'acanto, include, a sua volta, un fiore dal lungo stello: "Il fiore ha voluto nascere da un fiore, in un fiore, al tempo dei fiori". (San Bernardo) E' proprio all' altezza dei due grandi capitelli che si distende, senza soluzione di continuità attraverso il portale, la serie dei bassorilievi che illustrano le vicende di San Donnino, a partire dalla incoronazione di Massimiano fmo al secondo grande miracolo della mulier gravida preservata dal crollo del ponte.
Sulla base di un testo di San Fulgenzio, un sermone composto per la festa di Santo Stefano protomartire, si può notare la stretta relazione che intercorre tra il tema della glorificazione di Maria, la Vergine Madre del Salvatore, e l'esaltazione del martire Donnino che ascende in cielo.
Parte integrante del lezionario liturgico che ogni anno ricorda al clero il vero significato degli eventi celebrati, questo testo può valere come chiave di lettura più specifica per decodificare il significato dei bassorilievi fidentini.
"Heri celebravimus temporalem sempiterni Regis: hodie celebramus triumphalem militis passionem...". L'omelia dedicata a colui che inaugura la gloriosa schiera dei santi martiri, letta il giorno dopo la celebrazione della nascita del Salvatore, mentre riafferma e esalta l'umanità e la divinità di Cristo, Dio rivestito di carne, parallelamente esalta l'ascesa del martire alla gloria celeste, che, lasciate le spoglie mortali, viene accolto trionfalmente in cielo: "Ieri, abbiamo celebrato la nascita temporale del nostro Re eterno, oggi celebriamo la passione trionfale del suo soldato. Ieri il nostro Re , rivestito della carne, è uscito dal seno della Vergine e si è degnato di visitare il mondo; oggi, il combattente è uscito dalla tenda del suo corpo, ed è salito trionfante in cielo. Il primo, pur conservando la maestà della sua eterna divinità, ha assunto l'umile cintura della carne, l'altro è salito alla casa del cielo per regnarvi per sempre:
L'uno è disceso sotto il velo della carne, l'altro è salito sotto gli allori imporporati dal suo sangue".
E' dunque in questo mirabile scambio tra cielo e terra, per cui la liturgia del Natale unisce la gioia della Chiesa per la nascita del Salvatore all'esultanza per il trionfo del martire, che va colta l'essenza del messaggio scolpito nelle pietre arenarie; un messaggio che mostra una straordinaria ricchezza di pensiero teologico e di immagini, i cui continui riferimenti al ruolo della Vergine Madre nella storia della redenzione, sono da porsi significativamente in relazione, come in un'unica grande icona mariana, alla maestosa statua reliquiario della Vergine assi sa in trono col Bambino sulle ginocchia, collocata originariamente sull'altar maggiore, al centro del santuario. Ma alla ricostruzione di questo ideale percorso figurativo che parte dal sagrato e giunge fino al cuore della chiesa, è possibile aggiungere un altro importante tassello.

All'interno della Cattedrale, le sculture murate tra l'imposta degli archi all'altezza dal capitello del primo pilastro a destra, quindi accanto all'ingresso principale, come ad attendere i fedeli che varcano la soglia del tempio, sono a tutt' oggi, genericamente riferite al tema del Giudizio finale o a quello della cacciata dal paradiso degli angeli ribelli, ma in entrambi i casi senza riscontri oggettivi; stilisticamente vicine ai rilievi esterni, anche queste notevoli sculture rientrano a mio avviso nel programma iconografico sviluppato sulla facciata.
Impostato su due livelli, il gruppo plastico comprende, nella parte superiore, entro una mandorla riccamente ornata, l'immagine numinosa di Cristo in gloria, col capo circonfuso d'un nimbo crocesegnato, il "signum victoriae", su cui è incisa la parola L VX; assiso in trono, in atteggiamento ieratico e sovrano, con i piedi posati sullo sgabello, che rappresenta la terra, egli regna e giudica su tutti i popoli, mentre la scritta: FECI IVDICIVM ET IVSTITIA sancisce, con il riferimento al passato, il compimento delle antiche profezie, in particolare il famoso oracolo messianico di Isaia: "Ecce dies veniunt, dicit Dominus, et suscitabo David germen justum; et regnabit rex, et sapiens erit, et faciet judicium et justitiam in terra...".


Le stesse parole ritornano sulla bocca di Gesù alla vigilia della sua passione, quando, come si legge nel vangelo di Giovanni, prima di congedarsi dai suoi discepoli, annuncia la venuta dello Spirito santo, il Consolatore che "confonderà il mondo quanto a peccato; a giustizia e a giudizio: a peccato perché non credono; a giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; a giudizio perché il re di questo mondo è condannato". Sotto la figura di Cristo, il combattimento tra gli angeli e i demoni nelle sembianze di mostruose arpie dal corpo villoso, vede questi ultimi soccombere, in parte rovesciati a testa in giù e incatenati, per la definitiva sconfitta del regno delle tenebre, ottenuta mediante il sacrificio della croce, simbolicamente impugnata dall'arcangelo Michele, che con una lancia forcuta stringe la gola a Satana.
A questa scena molto intensa e animata, una sorta di epico esorcismo, sono perfettamente applicabili le parole di un noto inno del tempo pasquale: " O vera cae1i victima, Subiecta cui sunt tartara, Soluti mortis vincula, Recepta vitae praemia / Victor, subactis, inferis, Trophaea Christus explicat:Caeloque aperto, subditum Regem tenebrarum trahit. - Del cielo, o vera vittima, per cui.l'inferno è vinto. Della morte è sciolto il vincolo. Largito è il premio eterno.! Già vincitore degli inferi, Cristo dispiega i suoi trofei. E aperto il cielo, rilega in schiavitù Satana, re degli inferi", Siamo dunque di fronte alla glorificazione di Cristo risorto, al trionfo decisivo della luce sulle tenebre, della vita contro la morte, in un inedito contesto figurativo che rimanda al "descensus ad inferos" narrato dagli apocrifi e alla grande tradizione iconografica bizantina, dalla quale tuttavia il nostro rilievo sembra discostarsi proprio nella rappresentazione del Risorto, non il Cristo storico, ma la sua immagine trascendente, proiettata fuori dal tempo, come il Cristo eterno, il Verbo, colui che i profeti hanno incontrato prima della sua incarnazione in Gesù.
La relazione con la Pasqua, centro e fulcro del mistero della salvezza, è confermata dalla parola L VX , nuovamente incisa oltre la cornice della mandorla con accanto un simbolo solare; essa trova infine un' ulteriore sostanziale conferma dalla collocazione stessa dei rilievi "iuxta Capsam magnam sancti baptismati", cioè presso il primitivo fonte battesimale, originariamente situato, come risulta da un documento del 1485, nella prima campata della navata di destra, quindi in diretta relazione anche visiva con il nostro Cristo-Luce. Non bisogna infatti dimenticare che il battistero è al centro dei riti con cui ha inizio la veglia del sabato santo: la celebrazione della luce, con l'accensione del cero pasquale, quindi la benedizione dell' acqua e la celebrazione del battesimo, in una complessa, suggestiva liturgia, culminante nel gioioso canto dell'Exultet, che dà il solenne annuncio dell'avvenuta risurrezione di Cristo mentre si accendono tutte le luci della chiesa ancora immersa nell'oscurità: con il Cristo risuscitato, la notte che ci teneva schiavi del peccato e della morte è diventata un giorno raggiante di luce.
Prof. Guglielmo Ponzi


Nessun commento:

Posta un commento