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giovedì 14 maggio 2015

Il Cristo Pantocratore nella chiesa di Contignaco


Nel lacunoso ciclo iconografico ricomposto nell’abside della chiesa di Contignaco, troneggia, all’interno della mandorla, su un fondo stellato, un Cristo in gloria che benedice e mostra con la mano sinistra il libro del Vangelo su cui è scritto EGO SVM LVX MVNDI (Gv 8,12).
La mandorla mistica è sorretta da quattro angeli nei cui cartigli compaiono i nomi degli evangelisti: S.IOHANES e S.MATEVS, sulla sinistra, mentre dalla parte opposta le figure di Luca e Marco e le relative scritte sono quasi del tutto illeggibili; in basso a sinistra è riconoscibile San Giovanni Battista, raffigurato in atteggiamento orante, vestito di pelli, la barba e la chioma irsuta; ad esso corrisponde sul lato opposto un’analoga figura orante di cui però rimane visibile solo una piccola parte del mantello.

Ma ciò che più colpisce, in queste pitture tardogotiche provenienti dalla volta della cappella del fonte battesimale, è l’idea veramente insolita di rappresentare gli autori dei vangeli nelle sembianze di esseri alati e per di più senza corpo, come evidenziano chiaramente le pieghe delle vesti esageratamente lunghe e rastremate in fondo. 
Ridotti al solo busto, e vagamente somiglianti a sfingi alate, questi angeli-evangelisti sul piano fisico-formale si rifanno a una delle tipologie più diffuse nell’arte tardo medioevale, i cosiddetti angeli nube, il cui corpo assottigliato sembra sbucare da una nuvoletta: famosissimi sono quelli dipinti da Giotto nel Compianto su Cristo morto ma non mancano esempi anche in ambito locale, come gli angeli nube della trecentesca Crocefissione di Chiaravalle della Colomba. 
Come crive Marco Bussagli : “Accanto a una simile tipologia apparve nel XV secolo un’altra iconografia , che in qualche maniera sembra essere l’evoluzione della precedente ….ci riferiamo a quegli angeli, raffigurati soprattutto nell’ambito della cultura franco-fiamminga, le cui vesti coprono interamente la figura, ben oltre le estremità , terminando con una sorta di “voluta” di stoffa tormentata dalle pieghe. Lo svolazzo del vestito dà all'Angelo in volo quell'andamento circolare, che in epoca precedente, era suggerito dalle gambe piegate. Non solo ma la veste lunga e ripiegata su se stessa dà la sensazione di immaterialità che gli artisti volevano esprimere” (“Storia degli angeli”, 1991, p.194).

Con la loro disarmante ingenuità, gli angeli-sfinge di Contignaco sarebbero dunque la versione locale di un motivo iconografico tipicamente quattrocentesco: lo stesso motivo che troviamo, ad esempio, nella cappella Rusconi, nella cripta del Duomo di Parma, ma anche presso la Madonna della Misericordia nella quinta nicchia del Battistero di Parma, dove le lunghe vesti dei due angeli che affiancano la Vergine, presentano la caratteristica piega ad angolo retto e il lungo strascico pendente. 
Probabilmente, l’autore degli affreschi salsesi proviene dalla cerchia dei collaboratori del parmense Bartolino de Grossi, alla cui officina sono tradizionalmente assegnati i grandi cicli quattrocenteschi della Cattedrale (le cappelle del Comune, Valeri e Ravacaldi): un legame ancora da approfondire ma che sembra trovare conferma anche negli altri frammenti distribuiti sulle pareti della navata di sinistra, tra cui l’elegante figura dell’angelo annunciante.

Sarà forse un caso ma il tema iconografico degli Evangelisti alati riaffiora anche tra le sculture antelamiche del Duomo di Fidenza, nel capitello a loro dedicato nel protiro centrale. Si tratta però di una immagine ibrida, con il busto dell’evangelista provvisto di ali e innestato sul corpo del proprio animale simbolico. 
Parzialmente ripresa da Giotto nell’Oratorio degli Scrovegni di Padova, questa rarissima iconografia duecentesca è così descritta da Chiara Frugoni, “Luca si mostra come una sorta di centauro ma con gli zoccoli bovini, Giovanni dalla vita in giù è pennuto e ha le zampe dell’aquila come si conviene al suo simbolo, Marco di nuovo si mostra metà uomo e metà leone. Matteo, seduto e in atto di scrivere, è l’unico a essere rappresentato, come un angelo, cioè secondo l’iconografia tradizionale. 
 Anche qui l’identificazione delle quattro figure alate è sicura perché ognuna esibisce il proprio cartiglio scritto” (“Due note a proposito del fregio di Berta e Milone e del capitello degli Evangelisti della Cattedrale di Fidenza”, in “Carlo Magno e i carolingi a Fidenza”, a cura di Gianpaolo Gregori, Cremona, 2009, p.57).

Ma guardiamo ancora le pitture di Contignaco. L’aver attribuito agli autori dei vangeli uno status simile a quello degli angeli, eliminando dalla scena ogni altro riferimento simbolico, ci permette di affermare che siamo di fronte ad una scelta iconografica decisamente originale, costruita attorno alla figura di Cristo glorioso per ribadire con forza l’origine divina del Vangelo ma al tempo stesso rendere visibile il concetto di universalità del messaggio cristiano e l’esigenza della sua diffusione nei quattro angoli del mondo.
Angelo barbuto
Le antiche pitture salsesi serbano però un’altra sorpresa iconografica. 
Ci riferiamo in particolare all’angelo simboleggiante l’evangelista Giovanni: il suo profilo, descritto in modo molto realistico, rivela infatti i tratti caratteristici di un giovane uomo dalla folta chioma e la barba rossiccia, un attributo quest’ultimo notoriamente estraneo al mondo angelico, caratterizzato, come si sa, da volti levigati e sorridenti e talvolta anche un po’ femminei.
Gli unici esempi noti di angeli con la barba risalgono ai primi secoli del cristianesimo, precisamente al IV secolo con la raffigurazione biblica di angeli come uomini, “addirittura barbati”, nelle catacombe romane di via Latina e in alcuni sarcofagi paleocristiani ( Bussagli, cit. p.58 ).
Si potrebbe dunque pensare a una anomalia iconografica, dovuta forse al desiderio di assegnare alle figure angelicate dei quattro evangelisti volti reali, non idealizzati, ma l’unico confronto possibile, date le ampie lacune della parte destra del dipinto, è con Matteo, rappresentato come un angelo biondo e dai lineamenti delicati, senza dimenticare che questo evangelista ha come simbolo proprio un angelo.
Più ovvio ritenere che si tratti del ritratto di un devoto, forse dello stesso committente, che ha prestato il suo volto al santo eponimo e questo spiegherebbe perfettamente anche la presenza e la vicinanza iconografica dei due Giovanni. Ma le sole notizie di cui disponiamo si limitano a un certo Giovanni de Sassellis, notabile parmense, ricordato da un’epigrafe del 1391 incisa sull’architrave della vecchia canonica e ora collocata all’ingresso della chiesa per ricordare importanti lavori di rifacimento della Pieve (cfr.: M. Calidoni, “Terra di pievi”, 2005).  
Annunciazione (frammento)
Da considerare infine la collocazione originaria delle pitture, nella volta ribassata della piccola cappella battesimale, da cui provengono anche i due frammenti di lunette con l’Annunciazione e la Crocifissione: la visione scorciata e la tenue luce filtrata dalla finestrella del campanile forse rendevano forse meno “scioccante” l’incredibile “apparizione” di un angelo barbuto.
Guglielmo (Mino) Ponzi

Crocifissione
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Fotografie dell'Ufficio Beni Culturali della Diocesi

Articolo pubblicato dal settimanale "il Risveglio" N° 19/2015


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