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venerdì 23 giugno 2017

Borgo difende la propria autonomia

Mentre “rovistavo” alla ricerca di scritti che riguardassero Borgo S. Donnino, sono stata attirata da questo titolo: “Il conflitto e gli interessi: l'opposizione del clero secolare di Borgo San Donnino alla fiscalità papale a metà Cinquecento” di Massimo Carlo Giannini.
L'autore, a noi contemporaneo, ripercorre sulla base di lettere e di studi il periodo storico interessato. Sono lontana dal pensare di poter entrare in pieno nei meandri dei rapporti tra il mondo ecclesiastico e quello politico, tuttavia alcune considerazioni, leggendo la storia, si possono trarre.
                                                                                                                          Marisa Guidorzi



Borgo difende la propria autonomia 
(e si oppone alla fiscalità papale)

Nel Cinquecento tutto il territorio posto a cavallo della via Emilia costituiva una zona strategica tra i possedimenti imperiali a nord e lo Stato della Chiesa a sud.
Nel 1499 Borgo era stato dato in feudo da Luigi XII di Francia ai fratelli Pallavicini di Busseto: Girolamo, Galeazzo, Antonio Maria, Ottaviano e Cristoforo. Contrasti tra gli eredi e varie vicende, sempre sotto l'occhio della Santa Sede, indussero Papa Clemente VIII nel 1533 ad ordinare il sequestro dei beni.
Borgo venne attribuito a Luisa Pallavicini che nel 1540 sposò in seconde nozze Sforza Sforza conte di Santa Fiora nipote di Papa Paolo III Farnese (la madre, Costanza Farnese, era figlia prediletta del Papa).

La contessa Costanza Farnese”, la quale farà in modo
che il padre, il Papa, nel 1541 conceda l’indipendenza
 al borgo di Castel Arquato.
Lo stesso Pontefice nel 1544 confermò l'investitura a Luisa, donando in perpetuo a lei e ai suoi discendenti i diritti della Camera Apostolica su Borgo. (Camera apostolica: Organo finanziario ed amministrativo della Santa Sede)
Egli compì le sue mosse brigando per spostare diritti da lignaggi poco affidabili a famiglie amiche o imparentate, stabilendo un intreccio di interessi e privilegi su territori in cui i confini delle giurisdizioni ecclesiastiche, feudali e politiche non coincidevano, erano poco chiari e spesso frutto di azioni sovrapposte nel tempo e contraddittorie tra loro.
Ente principale della comunità di Borgo era la Chiesa Collegiata, retta da un prevosto mitrato dotato di propria giurisdizione.
Nonostante i rapporti con Parma non fossero mai stati amichevoli, nel 1547, con un breve, Paolo III pose la Collegiata sotto questa per allontanarla dalle mire imperiali.
Il Papa morì nel 1549, dopo aver tessuto la trama degli interessi della sua famiglia, lasciando nella persona del nipote Cardinale Sforza una notevole eredità di potere. Egli infatti approfittando della sottomissione della Chiesa di Borgo a Parma della cui diocesi era amministratore perpetuo, nominò il suo cubiculario e segretario Figliuccio de' Figliucci prevosto della Collegiata.
I Borghigiani fecero due conti, capirono il valore del rapporto con il potente cardinale Sforza e accettarono, egli ottenne di raccogliere tutti i benefici vacanti che conferì al Figliucci, il quale non venne mai a Borgo, ma fu riconosciuto prevosto dalla Comunità. (Sarà il Concilio di Trento a stabilire l'obbligo di residenza ai prelati titolari di una giurisdizione)
Papa Giulio III
Nel 1550 era stato eletto Papa Giulio III, che nel 1553, accogliendo le richieste del Capitolo e Universi Cleri et Populi, concesse l'autonomia alla Chiesa di Borgo,“Nullius Diocesis”, ponendola direttamente sotto l'autorità del Pontefice, conferendole quindi una posizione di chiave di volta per il controllo di un'area strategica nel difficile equilibrio di forze in tregua apparente.
Nel 1551 egli aveva stabilito la riscossione di sette decime in altrettanti anni su tutte le entrate del clero dello Stato di Milano e della città e diocesi di Piacenza (riconoscendo in tal modo a Milano il possesso di quest'ultima).
Il breve era diretto a Ottaviano Raverta, prelato, vescovo di Terracina, nominato collettore e commissario apostolico, il quale avrebbe dovuto “riscuotere su ogni genere di redditi, diritti ed entrate di tutte le chiese, monasteri, dignità e benefici ecclesiastici, regolari e secolari”. Per tale incombenza era stato delegato Giovanni Ambrogio Cernusco.
Borgo non aveva alcuna intenzione di pagare, perciò gli ecclesiastici, convocati dal vicario Lorenzo Antini si tassarono di venticinque scudi d'oro per inviare agenti a Milano a perorare la loro causa, per mantenere il delegato durante l'attesa della risposta e per un dono al Figliucci che operasse in favore della Collegiata.
Fu tutto inutile!
Il Cernusco pretendeva il pagamento, ma la sua autorità non veniva riconosciuta: ogni richiesta era considerata illegittima non avendo ricevuto alcuna notizia che certificasse i poteri del vescovo di Terracina.
Il clero di Borgo, inoltre, prima si appellò al fatto di essere fuori da Milano e da Piacenza tenute al pagamento, poi richiamò il breve di Giulio III del 1550 che aveva concesso l'esazione a Parma per cinque anni.
In pratica per non pagare si tirava fuori sia da Piacenza che da Parma, proprio per quell'insieme di atti e contro- atti, che si intrecciavano.
Il 3 ottobre 1554 scoppiò la sommossa in cui i più accesi contro il deffortunato Cernusco furono il Reverendo Vicario della Chiesa di Borgo, “che faceva cosa che farebbe li turchi, il canonico Montanari, circa 50 laici, il resto del clero. Il delegato informò il vescovo di Terracina che se ne infischiavano della sua autorità e di quella di Milano, che qualche facinoroso diceva: butatelo zo da la fenestra.
Nella sua lettera scrisse che il Clero lo aveva spogliato di tutto, anche dei pegni che egli si era preso, e che, nonostante avesse la febbre (!!), lo avevano fatto alzare dal letto e montare su un asino in segno di disprezzo.
La resistenza attuata dagli ecclesiastici borghigiani dimostra quale fosse il senso di autonomia e di privilegio di cui si sentissero degni, ma d'altra parte non poteva essere tollerata la rivolta.
In realtà a pagare fu il Podestà Giuseppe Balestrieri, appena nominato da Girolamo ed Hermes Pallavicini, subentrati nei feudi di Luisa dopo la sua morte.
Egli era colpevole per aver messo tre uomini a disposizione del Vicario del Capitolo che con altri avevano oltraggiato il Cernusco.
Il Papa intervenne con alcuni brevi, a Raverta perché accertasse le responsabilità, al Senato di Milano per chiedere collaborazione e a Borgo per annullare il Nullius Diocesis, ponendolo sotto la Diocesi di Piacenza quindi con l'obbligo di pagare.
Borgo, però, godeva della protezione del Cardinale Camerlengo Sforza di Santa Fiora che per difendere i suoi interessi personali, politici ed economici, mitigò le conseguenze della sedizione....e dopo la morte del Figliucci nel 1558, prese su di sé tutti i benefici.

La Prepositura di Borgo divenne parte integrante delle rendite del Camerlengo che era riuscito a farne un “beneficio di famiglia”.
M. Guidorzi


Stemma di Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora
cardinale di Santa Romana Chiesa

6 commenti:

  1. Signora Marisa, la Sua ricerca storica è precisa e circostanziata, ha suscitato grande interesse in me, anche se preferisco gli eventi della storia contemporanea, dell'800 e del '900. Se non sbaglio, il Papa-papà Giulio III fu anche vescovo di Parma, anche se non ricordo il periodo esatto.

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    1. Grazie. Il futuro Giulio III fu impegnato in vari incarichi in Emilia Romagna. Dal 1537 al 1539 fu legato pontificio per Parma e Piacenza.

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  2. Scattare foto durante le visite guidate sui ponteggi era severamente vietato, e questo regolamento veniva fatto firmare ai visitatori. Mi chiedo come ora invece vengano addirittura pubblicate su un blog locale, e con tanto di "copyright" dell'autore.

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    1. Ho apportato una modifica. Non nascondo una certa tristezza.

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  3. Vorrei precisare che le foto sono state scattate il 12/4/'17 durante la visita autorizzata per i Volontari del Museo. Eravamo accompagnati e nessuno ha espresso il divieto di scattare foto,infatti tutti l'hanno fatto.

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  4. Se Ambrogio riterrà opportuno pubblicare vorrei aggiungere alcuni chiarimenti per sgombrare il campo da idee di possibili favoritismi.
    Il regolamento di cui parla Anonimo doveva essere letto e sottoscritto dai visitatori per richiesta e condizione dei restauratori che intendevano garantire e proteggere le loro modalità di intervento. Da questo era derivato il divieto di fotografare.
    Le mie foto del 12/ 04/'17 sono state scattate a lavori conclusi e a cantiere chiuso, quindi erano cadute le precedenti richieste di garanzie, infatti non abbiamo firmato nulla.
    I Volontari del Museo, voglio ricordare, hanno collaborato per il regolare svolgimento delle visite occupandosi della parte burocratica.

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