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mercoledì 14 marzo 2018

Analfabeti di ritorno


Analfabeti di ritorno

Gli italiani sono popolo di analfabeti, o quasi; molti, man mano che diventano adulti, dimenticano persino le competenze scolastiche e le abilità generali ed elementari di base, come leggere, scrivere e far di conto. 

L'Italia conquista il primato negativo, in Europa, per il cosiddetto "analfabetismo di ritorno"; anche stavolta,  come per molti altri settori, siamo prima tra gli ultimi, ultimi fra i primi, e qui non vale il  noto motto evangelico.
Secondo Tullio De Mauro, in età adulta tendiamo a regredire di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti durante gli studi, a meno che non continuiamo a esercitare quelle competenze, e le conoscenze tendono a rattrappirsi, se non vengono esercitate. Di tutto quanto appreso a scuola, restano solo brandelli  di competenze e conoscenze. Del resto, lo sapevano anche gli antichi: Memoria minuitur, nisi exerceatur.
Molti leggono solo a scuola, stentatamente, poi smettono.
Il messaggio letterale viene sostituito da quello iconico, sugli smartphones interi discorsi imoerversano a raffiche di sciocchi emoticon.
Nel nostro paese, circa il 25% della popolazione non ha alcun titolo di studio o possiede, al massimo, la licenza elementare o media. Non è che la scuola renda più colti ed intelligenti, però fornisce strumenti sempre più raffinati per conoscere ed interpretare la realtà.
Diceva Tullio De Mauro, ministro anche della Pubblica Istruzione -incarico che oggi è assegnato perfino a chi non ha né laurea né diploma- che più del 50% degli italiani vegeta nella società, dotati di una capacità di analisi elementare, che davanti a un evento complesso, come la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale, rimane ad un livello superficiale. 
Secondo gli ultimi dati Istat, quasi il 20% degli italiani, lo scorso anno, non ha mai aperto un libro o un giornale, non è mai andato al cinema o a teatro o a un concerto. Ha vissuto prevalentemente di TV, come strumento informativo fondamentale, senza innescare il minimo sforzo critico personale. E da qui, poi, risultano il livello e la qualità della partecipazione alla vita sociale e politica, le scelte nel voto elettorale, la reazione solo di pancia ai messaggi di certi politici. 
Viviamo di allarme razzismo, allarme morbillo, allarme obesità, allarme meteo, allarme fascismo, e così via, ma non trova mai spazio l'allarme analfabetismo di ritorno. Stiamo infatti diventando un popolo incapace di leggere, non parliamo poi di scrivere. La percentuale di italiani che leggono almeno un libro all'anno è scesa al 40%, e di questo 40%, meno della metà ha letto più di tre libri nell'arco di un anno, e solo uno su cento ne legge uno al mese.
La lettura, nutrimento della mente e dell'anima, è considerata una perdita di tempo. Se leggessimo di più, forse sparirebbero tanti allarmi. 
La conoscenza della lingua madre è il fondamento per lo studio delle altre discipline scolastiche, ed è alla base della capacità di districarsi nella vita  sociale e nel mondo del lavoro. Invece, oggi, la lingua italiana soccombe dinnanzi alla diffusa anglofilia. Conosciamo male l’italiano, non impariamo bene le lingue straniere, ma abbiamo preso il vizio becero di usare termini anglofili inutili. 
”Quando un popolo ha perduto patria e libertà e va disperso pel mondo, la lingua gli tiene luogo di patria e di tutto...». Così Luigi Settembrini ricordava quanto conti la lingua nell'identità di un popolo. 
Purtroppo, se oggi si dovesse giudicare dal livello di padronanza dell'italiano il grado di patriottismo, saremmo davvero messi molto male. Si tratta di una vera emergenza sociale, visto che il dominio della propria  lingua è indispensabile per lo sviluppo culturale ed economico dell'individuo e della collettività. 
Ma anche il nuovo governo, finora, sembra aver dimenticato l'istruzione e le scuola, l'insegnamento dell'italiano nelle scuole soccombe rispetto all'approccio televisivo. L'emergenza culturale, nel nostro Paese, è preoccupante quanto quella economica. 
Vorrei aggiungere anche che non  è tanto importante la quantità di chi legge, ma la qualità; sono numerosi i “lettori” che nulla ritengono di quanto hanno letto, la scrittura li sorvola, rimangono aridi come pietre pomici. Citano i titoloni di libri che, forse, hanno letto, distrattamente, ma che non li hanno migliorati né peggiorati di un solo infinitesimo.
Franco Bifani








6 commenti:

  1. Caro Biffino, a cosa mi servirebbe leggere libri se, una volta al mese, leggo te. Tu sei più che sufficiente. Tu pratichi la maieutica, non come Socrate che poneva domande per far partorire idee alla mente dei seguaci, tu la pratichi con affermazioni. Ciò nonostante, spingi le menti a ragionare e a fermentare.

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    1. Clary, sono figlio anch’io di decenni di letture, spero solo ben assimilate ed elaborate. Comunque, ti ringrazio tanto.

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  2. Penso che la conquista personale della scrittura e della lettura sia stata il dono più bello che mi sia stato offerto. È una manifestazione di libertà che alla persona viene concessa, è un grande diritto e nello stesso tempo un potere che viene messo a disposizione di tutti. Fin qui la poesia...
    Che utilizzo ne viene esercitato? Dal suo scritto, Professor Bifani, non si traggono conclusioni confortanti. I tempi del Maestro Manzi sono tramontati da tempo e dimenticati , ma anche la Scuola, quale istituzione, si è allontanana dal principio di "leggere, scrivere e far di conto", cioè fornire gli strumenti fondamentali che ogni individuo metterà a profitto secondo le sue possibilità.
    Ho l'impressione che nella foga di creare piccoli uomini e piccole donne si corra troppo avanti e invece di rispettare i tempi dell'apprendimento si voglia dare ai bambini tutto e di più. Il gusto della lettura va coltivato come curiosità, come piacere della scoperta di altri mondi, come emozione della conoscenza. Non è solo apprendimento di uno strumento, ma apertura al pensiero degli altri , al confronto . Solo un saldo amore per la lettura, anche se nella vita può subire fasi alterne, ritorna sempre come grande conforto, ma soprattutto come esercizio di libertà di pensiero.

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  3. Grazie Marisa, questo è il vero apprendimento!

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  4. Io arrivo ed azzardo a dire che scrivere non è solo un diritto, ma un dovere. Solo leggendo certi autori, si cresce e si esce dagli angusti limiti dell’essere umano.

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