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mercoledì 18 aprile 2018

La cultura a Fidenza: il nonno di Pinoculus.


Aggiungiamo un altro tassello alla ricostruzione che Marisa Guidorzi sta portando avanti con passione di quella che possiamo chiamare la "tradizione di Borgo per il Latino". Tradizione che data da alcuni secoli e che nel novecento annovera studiosi d'eccezione come Don Enrico Conti e Don Enrico Maffacini che ottenne notorietà mondiale con il suo "Pinoculus".
Questi i collegamenti con gli articoli precedenti:





La ricerca di Marisa Guidorzi, datata 2016 e pubblicata sul settimanale diocesano "il Risveglio", voleva celebrare il sessantesimo anniversario della morte di Don Enrico Maffacini.


A scuola di Latino

Don Amos Aimi, nel 1984, in occasione della morte di Don Enrico Conti, parroco di Cogolonchio, ricorda l'amicizia e la comune passione per il latino che lo legava a Don Enrico Maffacini.
Il loro sodalizio traeva vigore da un libro “prezioso della Biblioteca del Seminario vescovile, i Poemi di  Marco Gerolamo Vida, Poemata Omnia, che passò dal tavolino di  Don Maffacini a quello di Don Conti . Sul latino di quel grande parroco, nel 1524 , di Monticelli d'Ongina, Don Maffacini scrisse il suo capolavoro; cosicchè si potrebbe quasi dire che il Vida fu il nonno di Pinoculus.”
(Don Amos Aimi- Il Risveglio- 24 novembre 1984)

Chi era MARCO GEROLAMO VIDA?


Di lui il poeta inglese Alexander Pope ( 1688- 1744 ), figlio di un mercante cattolico, autore della traduzione dell'Iliade in distici eroici, scrisse: “ Il secolo di Leone X  fu grande perché Raffaele dipinse e Vida scrisse.”
Alcune biografie lo dicono nato  nella “villa di San Bassano a quattordici  miglia a ovest di Cremona, nel 1470”.  Altre , invece, lo fanno nascere a Cremona nel 1485, secondo il costume delle famiglie importanti di battezzare i figli nelle città  in cui desideravano acquisire diritti comunali,  la data vorrebbe sottolineare la sua precocità letteraria.
Prima della sua nascita la madre ebbe un presagio: sognò un cigno cantante.
Fu umanista, poeta, vescovo cattolico.
Ebbe una vita molto attiva. Studiò a Cremona sotto la guida di Nicolò Lucari, a Mantova alla scuola di Francesco Vigilio, fu a Padova e a Bologna.
Sacerdote a venticinque anni, passò nelle parrocchie di Ticengo, Monticelli, Solarolo Monasterolo, arciprete a Paderno.
Già aveva cominciato a scrivere  poemetti didascalici in lingua latina: Scacchia Ludus, sul gioco degli scacchi, edito più volte e tradotto in varie lingue  e De Bombyce , sull'allevamento del baco da seta.
La fama delle sue opere nel 1510 lo porta nella Roma di Giulio II dove entra in contatto con poeti e letterati che si riunivano, accomunati dallo  stesso amore per la poesia latina e in latino, secondo i modelli dei classici, in particolare Cicerone, Orazio , Quintiliano, ma soprattutto Virgilio.
Proprio allo stile del poeta di Andes si uniformerà per comporre nel 1518, al tempo di Leone X, la Cristiade, primo poema epico religioso in esametri latini sulla vita di Cristo, che con il De partu virginis di Jacopo Sannazzaro, costituì il modello di poema religioso controriformistico.

Degli stessi anni ( 1517-1520) è la sua Poetica , trattato in tre parti ,in esametri , rivolto ai giovani, con norme e precetti per la composizione poetica fondati sul principio dell'imitazione dei modelli classici :..il tuo verso sia culto, e come puro oro risplenda...lungi la ignobil turba delle oscure parole, e i nomi abbietti, perché non abbi men che degno arredo...come farlo,  il monstrerà la via, se ben la osservi, dei poeti antichi: spesse nell'opre lor l'occhio si spazi....di colui...( Virgilio).
Le sue indicazioni non sono pure regole di ben comporre, ma tendono ad una impronta  di disciplina e di rigore morale: dolcezza d'animo, amore alla scienza, sublimità di dottrine, spontaneità poetica, infine la difficilissima  facilità virgiliana“. “Non altro volle, egli, se non incamminare le menti giovani a sentiero sicuro, acciocchè non vaneggiassero in grandezze superiori alla capacità; volle informarle per gradi d'imitazione ed insensibilmente condurle alla invenzione, alla forza.”
Il 7 febbraio 1533 riceve la nomina a vescovo di Alba. Da quel momento si dedica interamente alla sua missione e quale pastore esemplare  destina  la sua rendita  in parti uguali ad ornamento della Chiesa, ai poveri e al proprio sostentamento.
Partecipa a varie sessioni del Concilio di Trento e negli ultimi anni della sua vita è collaboratore di Carlo Borromeo.
Muore il 27 settembre 1566.

Le opere del Vida, soprattutto  la Poetica, furono tradotte e commentate da vari studiosi che hanno contribuito alla diffusione dei  suoi principi .
La traduzione in italiano, corredata di note,  di Giovanni Andrea Barotti (Ficarolo 1701-Ferrara 1772) fu ristampata da Giovanni Rusconi nel 1838 per farne dono di nozze  al figlio di Pietro da Via, accademico benedettino.
Nella “Storia della letteratura italiana”del Ginguené (1748-1815) si legge: “Un celebre poeta, ma che ebbe a schifo di scrivere nella lingua volgare, Gerolamo Vida, fece rivivere la poesia didascalica de' Latini nei suoi tre poemi: l' uno dell' Arte istessa di far versi,  l'altro  Del modo di fare i bachi da seta, il terzo Del gioco degli scacchi “
Marisa Guidorzi

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