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mercoledì 19 febbraio 2020

L'umana fragilità


Tolgo il disturbo...

Ambrogio, il suicidio non è il sintomo di una patologia mentale, ma un concetto familiare, insito in tutti noi “normali”, fin dall'infanzia e per tutta la vita. I suicidi sono  più frequenti nelle metropoli, dove si è soli, pur tra milioni di monadi leibniziane, chiuse ed egocentriche. E specie tra i “forti” maschi, più che non tra le “deboli” donne.
E' l'estremo lido d'approdo di persone profondamente depresse e malati terminali, per cui l'esistenza non ha  più un significato. Chi si ferma ad un tentativo, lancia una disperata richiesta di aiuto, sempre inascoltata, specie fra persone fragili ed immature, come gli adolescenti, anche se, a volte, per i motivi più futili ed assurdi, come per la minima frustrazione.
Ci sono anche forme infami di bullismo, nel gruppo, sui social o a scuola, per reali o supposti difetti fisici o psichici, che istigano a togliersi la vita.
 Il suicidio rientra nel più ampio problema della libertà umana, in situazioni-limite di sgomento di fronte ad una vita non più tale, senza speranze. E' forse l'estrema significazione di Sé.
Le cause profonde di ogni atto di suicidio rimangono un mistero ed un segreto, insondabili e incomunicabili. Certi soloni moralisti affermano che alcuni, come DJ Fabo e Welby, sarebbero stati spinti ed istigati al fine vita, da gente senza cuore e senza Dio. Niente funerali religiosi, per costoro.
Io, invece, non giudico e non condanno chi si suicida, ma non credo che si tratti di miseri psicotici, e nemmeno di pusillanimi; anzi, forse il loro è un atto di coraggio sovrumano, si tolgono di mezzo, in silenzio,  senza disturbare nessuno.
Ho conosciuto casi di suicidio, tra chi, per scelta o per i casi della vita, si era poi ritrovato in una solitudine pietrificante. Forse, superando le barriere di chiusura totale al prossimo, potremmo sciogliere la morsa del gelo che attanaglia tanti poveri esseri, soli ed abbandonati da tutti: forse anche da noi.

Franco Bifani

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