lunedì 3 febbraio 2020

Simboli e misteri nella cattedrale di San Donnino


Gli intarsi marmorei nel pavimento del duomo di Fidenza


Se è vero che Il Santo e il Martire regnano dalla tomba (nota 1), forse nessun regno è più splendido, nella fede e nell'arte, che quello di San Donnino Martire. Storia e leggenda si intrecciano nelle vicende secolari e drammatiche di Fidenza, la città romana sorta sulla Vicumvia gallica, poi decaduta, poi più volte distrutta, indi chiamata Borgo San Donnino fino al 1927, per riassumere infine l'antico nome.
Ma ogni vicenda, dal tempo della persecuzione di Massimiano Erculeo (quando fu martirizzato San Donnino) (nota 2), è legata al culto del Santo, e come santuario nel sepolcro venerato sorge la cattedrale (nota 3); tappa di pellegrini sulla via Francigena verso Roma; quasi di nuovo, è nei secoli, avamposto di Roma verso il Nord.
Tutti hanno ammirato la bellezza solenne ed austera del monumento. Anzi, ben poche - forse - sono le bibliografie così ricche nei secoli come quella sulla nostra cattedrale. È però come se questi scritti si fossero limitati ad esaltare la bellezza delle linee architettoniche o delle sculture, con accenni più o meno vaghi al mistero di certe figurazioni, al significato oscuro di certi mascaroni (nota 4).

Per le sculture, poi, e talvolta anche per l'archetipo, non esistendo documentazioni valide o altri appigli, il nome Antelami è parso sufficiente ed autorevole suggello. Sicché numerose diatribe sono sorte per attribuire o negare al grande Benedetto questo o quel pezzo, tutto o in parte il disegno architettonico. Ma nessuno si è mai preoccupato di analizzare a fondo gli scarsi documenti rimasti qua e là, di ricostruire la storia di Borgo nei secoli XII e XIII, né - tanto meno - di rivivere il clima spirituale da cui è nata la cattedrale.
Non si è pensato ai veri motivi per cui una certa documentazione si è, probabilmente, perduta, o, forse, non è neppure mai esistita: l'egemonia di Piacenza su Borgo e le atroci distruzioni, da parte dei Parmigiani, di Borgo stessa, più volta perduta e più volte riconquistata, la lunga appartenenza di Borgo alla parte ghibellina, specialmente al tempo di Federico Barbarossa e di Federico II, quando erano signori del luogo rispettivamente Giovanni Pallavicino « L'Airone» e Oberto Pallavicino « Il Grande », la progressiva decadenza della famiglia regnante, l'obertengo-pallavicini a (che diede alla Chiesa un antipapa, nel secolo XI, nella persona di Kadalo), soprattutto nei rami di Pellegrino e di Borgo, la rovina dei Templari, dopo il processo del 1308-1314 e la decadenza dell'ordine Benedettino Cistercense, la segretezza di cui si circondavano i « Maestri Costruttori ».

Si aggiunga: il discredito in cui sono sempre state tenute, ingiustamente, le cronache manoscritte del canonico Vittorio Pincolini-Pallavicini (1709-1795), fin dal tempo suo, dal quasi conterraneo Ireneo Affò (nota 5), una sorta di insanabile preclusione ad intendere a fondo il Medio Evo da parte di studiosi anche geniali (ma gravitanti più o meno nell'orbita dell'Illuminismo) quali Ireneo Affò e Pietro Zani (17481821), un accanito campanilismo ottocentesco per cui i più eminenti studiosi di quel tempo, tanto di Borgo quanto della vicina Busseto, perdettero tempo in una interminabile «diatriba» per identificare o no Borgo con la romana Fidenza, ed infine la parziale distruzione sia dell'archivio vescovile sia della Biblioteca del Seminario di Fidenza durante l'ultima guerra.

I motivi fondamentali, che invitano ad una nuova lettura, sono dunque: gli intarsi marmorei del pavimento con la figurazione che chiamerei rosa-croce pallavicinia, i cicli scultorei, sulla facciata, e soprattutto nella porta a Sud, presso la torre detta «Del Trabucco»; anche per questa porta, in mancanza di altri appellativi, darei la definizione di porta misterica (la scritta seminascosta di un abaco, in parte abrasa, sembra singolarmente significativa), le raffigurazioni di un cinocefalo e di mostri fantastici nella loggetta esterna meridionale e di bassorilievi con simboli dell'Apocalisse e del Veltro (pieducci, anche strombi interni delle finestrelle absidali, in cripta), le simbologie architettoniche, come le due colonne nell'arcone del presbiterio, che si possono interpretare come riferentesi a quelle di Joachim o di Boaz nel tempio di Salomone, graffiti, e persino, infine, alcuni cunicoli sotterranei diramantisi a X intorno alla cattedrale; questi, insieme con il pozzo sacro, starebbero a dimostrare profonde conoscenze geomantiche nei costruttori.

La rosa-croce pallavicinia

Un quinconce, ossia cinque quadrati disposti come in una scacchiera (stemma della famiglia obertengo-palavicinia) nella prima chiave di volta della navata maggiore, un intarsio marmoreo nel pavimento della medesima (a perpendicolo sotto il quinconce stesso) e un altro uguale intarsio, posto sotto la seconda chiave di volta. [Un terzo intarsio, che doveva trovarsi sotto la terza chiave di volta, è - con tutta probabilità - scomparso quando, nel 1568, fu allungato il presbiterio e lo scalone di accesso al presbiterio stesso debordò a tal punto da coprire l'ultima parte della pavimentazione nella navata centrale].
Elementi che sono stati considerati finora come puramente decorativi, ma si sono rivelati invece, ad una attenta considerazione, quasi una «summa» di significati esoterici: segno ed immagine della cultura ducentesca, che sapeva unire l'armonia aritmo-geometrica a quella artistica, mentre attribuiva ai simboli una sorta di potere magico evocativo:
Nella figurazione dell'intarsio noi possiamo, infatti, vedere: un quinconce palavicinio (stemma della famiglia regnante in Borgo quando fu costruita la cattedrale, e cioè in un arco di tempo che va, probabilmente, dalla fine del secolo XII alla seconda metà del secolo XIII), iscritto in una croce greca (che forma una sorta di X, quasi un moto rotorio a diagonale sugli assi dell'altra croce greca leggibile nel quincone stesso), iscritta, a sua volta, in un ottagono irregolare; questo ha la proprietà di avere i lati minori coincidenti con quelli dei quadrati disposti a scacchiera intorno all'ottagono, la cui diagonale coincide, a sua volta, con i lati maggiori; gli assi del suddetto ottagono sono - alla stessa maniera di prima - disposti in moto rotatorio rispetto a quelli della croce greca.

Quinconce palavicinio

E possiamo considerare: il ritmo ternario (per la triplice ripartizione orizzontale e verticale), espresso nel quinconce e nella croce sovrapposta, il ritmo quaternario nei quadrati inscriventi gli scacchi del quinconce, e i bracci della croce greca e i lati maggiori dell'ottagono. Ritmo epitrito (che ha in sé tanto il tre quanto il quattro), potremmo dire con Platone.
Ma se per gli uomini del Medio Evo, secondo una tradizione pitagorica, il quadrato è simbolo di perfezione e di giustizia, il cinque di fecondità, l'otto di amore e di giustizia, ecco i primi significati attribuibili alla figurazione. Che sembra tuttavia esprime - soprattutto la simbologia del cinque, ritenuto, fra i numeri cosiddetti « perfetti », uno dei più significativi. Basti pensare, ad esempio, che, secondo una tradizione misterica, nella lettera E (epsiI6n), che in greco antico è anche il numero 5, consisteva la risposta di Socrate all'oracolo di Delfi, il quale pronunciava il famoso gnothi seauton (nota 6).
Ora l'E può significare tanto «Tu sei» (cioè riconoscere la divinità) quanto «5», cioè il numero «nuziale », esprimente la quintessenza o «quinta essentia ». Sta in antitesi al «Tu sei» l'altro ammonimento: «Conosci te stesso », ma in modo che tra i due c'e consonanza: l'uno è una esclamazione rivolta con sgomento e riverenza al dio che esiste eternamente, l'altro è per il mortale un memento della sua natura e debolezza (Plutarco, Sulla E di Delfi nella trad. cit.).
« Quinta essentia », cioè: Aurum potabile, acqua permanens, vinum ardens, elixir vita e, solutio, coelum (Zolla, op. cit.). E quindi la possibilità dell'unione del pari con il dispari (2 + 3), dell'elemento maschile con il femminile, del finito con l'infinito, del pianeta con le stelle.
D'altra parte non mi sembra azzardato pensare che il quinconce sia disposto (e voglia esserlo) come una X (prima lettera del nome Cristo in lingua greca) e la X, nella tradizione platonico-cristiana, è simbolo del Verbo. Del Verbo e della Croce insieme, e, probabilmente, di quella « duplice Croce» cosmica di cui parla Jean Daniélou (nota 7) assai cara ad un'antica tradizione, se oltre al quinconce, si considera l'intera figurazione dell'intarsio.
Gli otto bracci dela duplice croce e i lati dell'ottagono ricondurrebbero cosi alla simbologia del numero (nota 8): numero delle Beatitudini Evangeliche e della Beatitudine, numero dell'armonia perfetta, numero sia degli elementi sia del corpo e degli stati d'animo secondo le Upanisad (v. Zolla, op. cit., cap. « Ottoade» nell'Introduzione).
Ma c'è di più: nelle cattedrali gotiche di Francia (come Reims, Chartres, Amiens) si trovano o si trovavano nei pavimenti i cosiddetti «Labirinti», ossia intarsi marmorei sui quali i fedeli si soffermavano a recitare speciali preghiere: simbolo non solo del pellegrinaggio terreno verso Gerusalemme, ma anche del pellegrinaggio spirituale verso la salvezza eterna.
Gli intarsi della cattedrale di Fidenza sembrano dunque analoghi a questi labirinti.
Ecco perché chiamerei Rosa-croce pallavicinia l'intarsio, date le sue analogie con altri simboli dei Rosa-Croce. Rosa perché è un fiore geometrico, Croce perché si unifica nella Croce e nella X simbolo di Cristo.
Un altro motivo, tuttavia, di interesse può essere il fatto che nell'intarsio si ritrova l'origine del Trabucco, ossia l'unità di misura degli antichi borghigiani, incisa alla base della torre detta appunto «del trabucco» (a destra in facciata) e corrispondente a m 3,2827.
Il Trabucco corrisponde a 7 volte la misura dei lati uguali dei triangoli isosceli esterni (m 0,4696) e a 9 volte il lato, interno, dei quadrati del quincone (m 0,3649). Questa corrispondenza di misurazioni ci assicura che gli intarsi o sono stati conservati intatti o sono stati riprodotti con scrupolosa esattezza quando il pavimento fu rifatto nel 18748.
La rosa-croce pallavicinia, meraviglioso fiore geometrico di candidi marmi, orlati di rosso e di azzurro (anche questi - come è noto - colori simbolici) diventa un messaggio, da cifrato e segreto che era, vivo, eloquente: praefatio, oltre che summa di quell'itinerarium mentis in Deum che è la cattedrale.
Strettamente collegati con i significati della rosa-croce, altri segni, leggibili nella cattedrale, secondo un iter logico-anagogico ben definibile nel suo complesso, se non in tutti i suoi particolari.
Il senso primo di detto iter appare quello del pellegrinaggio: pellegrinaggio terreno, preparazione e simbolo del pellegrinaggio eterno verso la salvezza: in questa cornice rientrano tanto l'ondata di Donnino verso il martirio e i miracoli del Santo che guidano nei secoli feudali alla salvezza, quanto il viaggio dei Re Magi, tanto i segni zodiacali quanto l'Apocalisse. Segue da vicino, connaturato con il primo, il senso del creato e della creatività umana, perenne inno di lode al Creatore.
Quindi la Bibbia, il bestiario, il Tempio, le stesse Divinità Pagane, egizie o greche, tradotte e ripresentate in un linguaggio cristiano.
Ogni realtà spazio-temporale e cosmica acquista così un valore eterno e l'architettura (sobria, ritmata, potente) assomma ogni possibilità, diventando il «santuario », la «casa» di Dio e degli uomini.

Schema di «Constructio ad triangulum» nella facciata della Cattedrale di Fidenza.  Al centro del triangolo equilatero la figura di Cristo.

Vito Ghizzoni

Conoscenza religiosa  4-1976-pp.117
Vito Ghizzoni, Simboli e misteri nella cattedrale di S. Donnino (I)



2 commenti:

  1. Sempre buona cosa fare spazio all'indagine ed alla conoscenza e lasciarsi stupire dai misteri della Cattedrale. C'è bisogno di uscire da un quotidiano sempre più deludente.

    RispondiElimina