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martedì 1 settembre 2020

Passeggiata romana con Nino Secchi in "luoghi strani, vistosamente bizzarri"

Dobbiamo essere sinceramente onesti: su Roma è stato scritto tutto e tutto è stato detto… è anche vero, però, che Roma è come una persona (una magnifica persona) che non si conosce mai abbastanza, neanche dopo una vita insieme. Inoltre bisogna anche ammettere che di Roma non si è mai sazi, specie se si vanno a scoprire certi luoghi strani, vistosamente bizzarri che di per sé stuzzicano interesse e curiosità. 
La Bocca della Verità? ... un tombino da fogna!
Per quanto mi sforzi, trovo difficile pensare a qualcosa di più strano della Bocca della Verità: il tombino di una fogna è diventato uno dei monumenti più visitati al mondo!

La Bocca della Verità   (S. Maria in Cosmedin)
Quando un turista arriva nella Città Eterna e non vede la Bocca della Verità è come se a Roma non ci fosse stato. Infilare la mano nelle fauci spalancate del fauno barbuto è come timbrare il passaporto o la carta d’identità (con relativa foto a ricordo).
La Bocca della verità è la dimostrazione eclatante del potere della suggestione e del fascino della fantasia. Dopo che l’ha fatto Audrey Hepburn in Vacanze Romane è diventato un must, un obbligo, una tappa forzata che può impegnare anche un’ora di tempo prima di arrivare, dopo una interminabile coda, a mettere la mano in quella fessura che era un “tombino”. 
La Bocca della Verità, però, è collocata sotto il pronao della Chiesa di Santa Maria in Cosmedin (dal 1632, con i restauri voluti da Papa Urbano VIII Barberini nel 1631). 
Il portico della Chiesa è dell'XI secolo, ha un protiro centrale sostenuto da quattro pilastri in granito rosso. Il campanile romanico a sette piani è del XIII secolo mentre il portale principale è dell'XI secolo. Il luogo in cui la vera storia e le leggende sul santo patrono degli innamorati – San Valentino - si confondono è proprio qui. Infatti, all'interno di una cripta dell’VIII secolo scoperta nel Settecento, si trova una delle reliquie più importanti del mondo cristiano: si tratta di un teschio, conservato in una teca di vetro e ornato da rose rosse. 
Opinione comune è che si tratti proprio del cranio del martire Valentino il cui corpo sarebbe, in realtà, conservato a Terni, luogo d’origine del vescovo. Ogni 14 di febbraio la reliquia viene esposta ai fedeli, e venerata: ma si tratta di un enorme fraintendimento derivato da una pratica molto antica risalente al Medioevo. 
Il teschio apparterrebbe in realtà ad un altro Valentino, un omonimo, a quello che l’archeologia definisce “corpo santo”: più o meno fino al XVI secolo vengono riportate alla luce moltissime catacombe paleocristiane, e credenza comune era che questi luoghi conservassero i corpi di migliaia di cristiani martirizzati dai romani. 
Per molto tempo questi corpi vennero estratti e trasportati in tutta Europa, considerati sacri e venerati come vere e proprie reliquie anche se, tecnicamente, non lo erano affatto: sorte analoga potrebbe essere toccata a questo Valentino che, ogni 14 febbraio, continuerà comunque ad essere venerato e riempito di preghiere.

L'Arco di Giano quadrifronte
Intanto che siamo in zona vediamo un’altra “stranezza”: l’Arco di Giano (proprio di fronte ad un altro arco, quello degli Argentari). Già il nome trae in inganno perché non si riferisce all’Arco di Giano, ma alla parola latina  ianus che indica “passaggio”. Effettivamente più che un arco si trattava di un passaggio, a quattro fronti.

L’Arco di Giano (nei pressi di S. Giorgio al Velabro)
Fu eretto in onore di Costantino nel IV secolo d.C. quindi, ad essere pignoli, si dovrebbe chiamare Arco di Costantino, ma si farebbe confusione  con quello più importante che si trova al Foro, nei pressi del Colosseo. 
La reale funzione di questo monumento non era solamente un tributo al grande imperatore, ma svolgeva una funzione estremamente pratica: era una sorta di spazio di servizio sfruttato dai mercanti del Foro Boario per concludere con più comodo e riservatezza i propri affari, al riparo della intemperie e dagli impiccioni che, sin dal tempo della Roma imperiale, evidentemente, esistevano. 
Probabilmente, in origine, la decorazione di quello che chiamiamo l’Arco di Giano, era molto più ricca e le numerose nicchie, oggi vuote, erano senz'altro occupate da statue. 
Adesso facciamo una bella passeggiata, a piedi circa un’oretta, ma ci vediamo “molto” della Roma turistica. Dall’Arco di Giano, dopo la Rupe Tarpea, raggiungiamo Piazza del Campidoglio. 

Sancta Sanctorum e sandaletti
Scendiamo la scalinata michelangiolesca e ci troviamo in Piazza Venezia con l’Altare della Patria e Palazzo Venezia. Non ci fermiamo… imbocchiamo Via dei Fori Imperiali, passiamo dinanzi al Colosseo e percorriamo Via Labicana, passando nei pressi di San Clemente, per giungere alla Scala Santa (stessa piazza di San Giovanni in Laterano) sicuramente il luogo più santo del mondo. 

La Scala  Santa (Piazza S. Giovanni in Laterano)
Non lo dico io, ma l’iscrizione della Sancta Sanctorum  che mette subito in chiaro che "Non est in toto sanctior  orbe locus" (Non esiste al mondo luogo più santo di questo… e non lo si discute, chi vuole lo può credere). 
A conferirgli tale primato è lo straordinario numero di reliquie che custodisce, roba da Guinness dei primati. Per giunta si tratta di reliquie speciali, delle più sante di tutte perché appartengono a Gesù, alla Sua vita e alla Sua passione. 
Più di così non si può. A mettere assieme una tale sterminata collezione di reperti è stata una donna sola, ma che donna! Ovviamente una santa, sant’Elena, la mamma dell’imperatore Costantino che, con l’editto di Milano ha concesso la libertà di culto permettendo al cristianesimo di uscire dalla clandestinità e divenire, poi, religione di Stato (non mi lascio trascinare in parallelismi e confronti con gli eventi dei giorni nostri… lascio fare a voi).
Comunque, Elena divenne cacciatrice di reliquie e rappresentò quella che lanciò la moda dei “safari” nei luoghi santi, uno sport fondamentale soprattutto in quegli anni in cui il cristianesimo aveva bisogno di costruirsi una sua mitologia. 
Tra i reperti ritroviamo: chiodi della croce, parte della spugna imbevuta d’aceto, il seggio dell’Ultima Cena, pietre della colonna presso la quale Gesù fu flagellato, i sandaletti che Gesù portava da bambino, la scalinata del palazzo di Ponzio Pilato, proprio quella salita da Gesù. 
La cappella della Sancta Sanctorum è proprio alla fine della scala, la Scala Santa ovviamente: ventotto gradini di marmo rivestiti di legno che i fedeli salgono in ginocchio, uno alla volta, alternando un’ Ave e un Pater per ottenere l’indulgenza da tutti i peccati.

L’immagine acheropita venuta dal mare
Visto che siamo in tema di “curiosità romane”, non dimentichiamo l’antico ritratto del Redentore custodito anch'esso nella Sancta Sanctorum. 


Dipinto… ma da chi? Qui sta il bello, perché l’immagine è acheropita, ovvero non dipinta da una mano umana e il volto e il busto di Cristo sarebbero comparsi per miracolo sulla tavola di legno. 
L’icona, ricoperta da una lamina argentea, risale al VI-VII secolo e veniva portata in processione dai papi quando si volevano scongiurare delle terribili calamità ed è possibile ammirarla attraverso le inferriate. 
C’è anche un’altra leggenda che riguarda l’immagine Acheropita. Nel periodo del suo trasporto dall'Oriente a Roma, la sacra opera si trovava nelle mani del santo patriarca di Gerusalemme Germano, il quale per salvarla dalla distruzione che sarebbe stata causata dalla persecuzione agli iconoclasti, la gettò in mare. 
La tavola iniziò a navigare seguendo una rotta, come fosse una piccola imbarcazione, ignorando la corrente. S. Gregorio II (anno 726) avvisato da un sogno rivelatore, si recò sulla riva del Tevere da dove vide arrivare la sacra immagine, che si alzò volando dal fiume per giungere tra le mani del papa. 
La sacra immagine ha subito, con i secoli, numerosi cambiamenti e restauri, tra l’altro il volto oggi visibile è quello fatto riprodurre da Alessandro III (1159 – 1181) e posto sull'originale. 
E’ dunque da ritenere che la luce emanata dal volto dipinto dagli angeli rimarrà per sempre un mistero.
Nino Secchi Oriola

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