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venerdì 7 gennaio 2022

Monsignor Carlo Mazza, vescovo emerito e cittadino onorario di Fidenza ...

 

Monsignor Carlo Mazza, vescovo emerito e cittadino onorario di Fidenza taglia oggi, il traguardo degli 80 anni. Un compleanno significativo e bello, in occasione del quale anche attraverso le colonne della «Gazzetta» tanti fidentini (e non solo) vogliono far giungere al vescovo emerito le loro felicitazioni.

Monsignor Mazza, nato il 7 gennaio 1942, sacerdote dal 1968, ha guidato la diocesi di Fidenza dal 2007 al 2017. In precedenza aveva ricoperto numerosi e importanti incarichi tra cui quello di direttore dell’Ufficio nazionale Pastorale del tempo libero, turismo e sport, segretario del Comitato nazionale per il Giubileo del 2000.

Per cinque volte è stato cappellano degli azzurri alle Olimpiadi e, in occasione del campionato mondiale di calcio del 1990, cappellano della nostra nazionale. In occasione del suo 80º compleanno ha presieduto, nella cattedrale di Bergamo (diocesi nella quale vive e di cui è originario), la solenne concelebrazione dell’Epifania, affiancato dal vescovo della città orobica monsignor Francesco Beschi. E’ così che la Chiesa di Bergamo lo ha voluto omaggiare per il traguardo dei suoi 80 anni. 

Paolo Panni


Omelia di Mons. Carlo Vescovo di giovedì 6 gennaio 2022, festa della Epifania, nella cattedrale di Bergamo

Epifania del Signore

(Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3°.5-6; Mt 12,1-12)

Oggi Gesù riceve a Betlemme l’omaggio dei Magi venuti dall’oriente per “adorare il re dei Giudei” (cfr Mt 2,2). Allo sguardo semplicemente umano adorare un Re da parte di altri re sembrerebbe una storia a lieto fine elaborata a partire dalle costruzioni mitologiche mediorientali, come fosse una storia di cortesie scambiate da parte di privati onori.

Invece la realtà, propiziata dalla fede della Chiesa, l’evento si presenta come il racconto, magistralmente compaginato dall’evangelista Matteo in stile catechistico, che illustra ben altro: il cammino di fede di chi intende mettersi in cammino alla ricerca di un Dio, verità assoluta, in una prospettiva universalistica.

Il Re bambino riconosciuto Signore

In realtà, secondo la visione di vita evangelica, i Magi rappresentano, e siamo noi, i pellegrini incessanti dell’Assoluto, e la loro vicenda è lo specchio riflesso del percorso di ogni uomo, in ogni tempo, a qualsiasi popolo appartenga, e dunque ci riguarda da vicino e ci interroga. 

Qui Gesù è riconosciuto come il Signore, come il Re bambino, come colui nel quale si è rivelato l’Amore di Dio per l’intera umanità, secondo la promessa proclamata dagli antichi oracoli profetici. Diviene colui che interpella e soddisfa la nostra perenne sete di un Dio che si fa raggiungere come compimento del nostro destino.

 In realtà celebrare la Festa memoriale dell’Epifania significa, per la fede orante della Chiesa, venerare e contemplare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio nel suo manifestarsi non solo ai pastori, considerati i “poveri di Jahvè”, coloro che sopravvivono ai margini della terra, ma a tutte le genti del mondo intero.

Ed è curioso che si manifesti, attraverso il segno di una stella, in tutto lo splendore della sua divinità, conformandosi all’abisso della piccolezza della condizione umana per una pura accondiscendenza di amore.

Dunque accade oggi sotto i nostri occhi stupefatti l’evento di un Dio Amore che si rivela accessibile nella semplicità domestica di una “casa” (Mt 2,11), nella quotidianità delle sembianze umane e delle abituali contesti di vita. Così si adempie la pienezza del Natale nel quale “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (cfr Lc 3,6). Mai era accaduto prima: che l’Amore increato si rendesse visibile alla nostra fragile esperienza di pellegrini nella storia.

Il turbamento dei potenti prefigurazione del rifiuto

In realtà il racconto dell’evangelista Matteo va compreso tendendo sullo sfondo il contesto storico e geografico che si palesa subito in uno scenario di ambiguità. Ci informa che agli sguardi maldestramente incuriositi dei capi della Gerusalemme del potere politico e religioso, l’apparire improvviso dei Magi causa abbaglio e sconcerto.

E’ come se d’un tratto sia messa alla prova la loro sapienza e sottoposto a giudizio il loro potere, a tal punto da essere assaliti da turbamento come se dovesse accadere qualcosa di ostile che comprometta gli equilibri nelle sfere del potere.

E nel turbinio dei loro pensieri e delle memorie di un possibile Messia antagonista, si scombinano le traiettorie del loro rassicurante assetto politico e religioso, costringendo l’immaginazione ad interpellare i testi dei padri e a discettare sulle misure da prendere. Di fronte ad evenienze così dirompenti, gli uomini del potere si agitano, sospettano, confabulano, dispongono dissimulazioni.

In tale prospettiva il sopraggiungere dei Magi si evidenzia come un evento che potrebbe stravolgere i criteri e i valori di riferimento rispetto ad una gestione del potere che prevede una sodale commistione tra sacro e profano in funzione di consolidare tradizioni sacralizzate e utilizzate in modo strumentale a sostegno di equilibri di interesse mondano.

In realtà qui accade qualcosa che annuncia una novità assoluta, indizio certo di un disegno di salvezza. Ci viene a rivelare l’insegnamento che, per credere in Dio, non è sufficiente sapere i codici delle Scritture. Di fatto l’arrivo dei Magi a Betlemme chiede ben altro discernimento e ben altra decisione: e cioè un rovesciamento di visione, un superamento di logiche autoreferenziali e pregiudizialmente avverse.

In tal modo ci viene rivelato che Dio è il Re, il Signore, ma che è un Re povero, privo di apparati, e lo trovi se lo cerchi con cuore umile e sincero. Così i Magi, illuminati e istruiti da una divina rivelazione, da una stella appunto, diventano modello di una fede che si affida, di una fede pura il cui centro è Dio che si rivela ai viandanti in ricerca del senso ultimo della vita

Il compimento degli ottant’anni e l’invito del Vescovo Francesco

In un contesto così sublimante, anche il nostro vescovo Francesco si è lasciato ispirare, per così dire, da una illuminazione interiore, da una stella. Assecondando un’intuizione che viene dall’alto, mi ha cercato e, trovandomi, ha voluto rendere visibile una benevolenza, tipica di un’autentica fraternità, con un gesto inatteso, e perciò ancora più significativo, invitandomi a presiedere in Cattedrale l’Eucaristia nella solennità dell’Epifania del Signore in occasione del compimento del mio 80mo anno di vita.

Questo gesto del Vescovo Francesco si manifesta come un evento di pura grazia, generatore di particolare letizia del cuore coinvolgendomi, com’è naturale, in primis e soprattutto, in un inno di lode e di gratitudine verso l’ineffabile benevolenza di Dio per il dono incommensurabile e misterioso della vita.

E qui e ora. il rendimento di grazie per il dono della vita non può prescindere da ciò che sta all’origine, e cioè l’atto fecondo di amore dei miei genitori. Coltivato poi con dignità nella famiglia, vera palestra di fede e di virtù cristiane, cresciuto nella comunità di Entratico, vera scuola di incontro e di conoscenza di Cristo, è stato successivamente conformato nel proseguo delle vicende vocazionali e sacerdotali, fino al compimento nel traguardo dei miei ottant’anni.

Oltre ai contesti di vita menzionati, mi preme aggiungere, nel segno di una memoria affettuosa e riconoscente, le innumerevoli figure di sacerdoti e di molte altre persone che in ogni modo e nelle diverse situazioni di vita mi hanno offerto la loro incomparabile dedizione di vicinanza, di intelligenza, di sapienza, di magistero, di esemplarità e di affetto incondizionato e gratuito. Verso tutti mi sento grandemente debitore e altresì avverto di essere del tutto povero di un altrettanto riscontro di valore di egual misura.

Ecco, venerato vescovo Francesco, mi permetto umilmente di significare a te una puntuale e precisa riconoscenza che intende riguardare il tuo gesto del tutto imprevisto, ma anche di sottolineare la tua lungimiranza nel rendere onore alla mia appartenenza alla madre Chiesa di Bergamo di cui mi sento, sia pure indegnamente, figlio grato. In realtà non sarei quello che sono se non fossi stato coltivato, formato e plasmato da questa santa Chiesa.

Il mistero di Dio, il mistero dell’uomo

Di fronte al compimento dell’ottantesimo anno, le valutazioni si sprecano, qualsiasi esse siano. E nella presente celebrazione su tutte primeggia il pensiero del sempre e imperscrutabile mistero dell’uomo, a partire dal supremo e imprescindibile mistero di Dio, quel mistero che pervade il tempo della storia, il tempo presente, colmo di opere e di giorni, e il finire del tempo e il dopo del tempo.

L’anno ottantesimo porta dunque a considerare il tempo trascorso, il tempo presente e quello futuro nell’enigmatica complessità della vita e mi torna di conforto pensare e credere che ogni tempo è visitato e abitato dal Signore, secondo un disegno di salvezza. In questa visione provvidenziale, viene tuttavia messa alla prova ogni giorno la resistenza di fronte ad ogni genere di tentazioni che passano tra squarci di luce e cumoli di ombre, in un incessante movimento tra folgori di grazia e tenebre di peccato, in un variare di sentimenti tra malinconie e nostalgie, tra affezioni e risentimenti.

Ma nonostante tutto, si rende evidente la possente parola di Dio che dà il giusto profilo ad ogni realtà vissuta nel bene e nel male, perché Dio è “semper maius” (Sant’Ignazio di Lojola). E qui mi viene di riprendere un pensiero di San Giovanni XXIII stilato nel silenzio del “Mio Ritiro spirituale in preparazione al compiersi dell’ottantesimo anno della mia vita” (Castelgandolfo, 10-15 agosto 1961).

Con un certo disincanto e con un rassicurante abbandono, scrive il santo Papa: “Per grazia del Signore non sono ancora entrato nel senueris: ma coi miei ottant’anni ormai compiuti, mi trovo sulla porta. Dunque devo tenermi pronto a questo ultimo tratto della mia vita, dove mi attendono le limitazioni e i sacrifici, fino al sacrificio della vita corporale, ed all’aprirsi della vita eterna” (Giovanni XXIII, Il Giornale dell’anima e altri scritti di pietà, Milano, 1989, pag.584).

Così, mi verrebbe da dire, che la piccolissima storia personale diviene biografia di salvezza, sperata e desiderata, delineandosi, come in uno specchio, nella parabola esistenziale di ogni uomo credente. In tale prospettiva, forse gli ottant’anni dispiegano un velo si sapienza che genera una quiete di passioni e di ambizioni, un giudizio di pacato ottimismo, un senso di contentezza rassicurante.

In realtà, prese le debite misure, non possiamo non considerarci, certo e con piena consapevolezza, “servi inutili” (cfr Lc 17,7-10) e nel contempo anche umili “profeti”, servitori del Regno. Siamo del tutto impegnati, come sapientemente va insegnando il nostro vescovo Francesco, a “servire la vita dove la vita accade”, a imparare a vivere la vita dal di dentro, in quanto la vita siamo noi in prima battuta, e in quanto diffusa in tutta l’umanità e nell’intero universo.

Lo scandalo di un Dio umile

E per concludere, mi domando, nella trama di questi modesti pensieri, come si colloca la festa dell’Epifania? Non v’è dubbio che la festa ci riporti a Dio, il Signore del tempo e dello spazio, “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (cfr Dante, Paradiso, XXXIII, 145) e dunque nel cuore profondo e, in modo stringente, nell’alveo di una umanità in cerca di se stessa, riconquistando quella coscienza di fede, personale e pubblica, raccomandata, in ultima istanza, dalla tremenda vicenda storica che stiamo vivendo.

Posti di fronte al mistero dell’Incarnazione, rivissuta attraverso la prova drammatica della pandemia, avvertiamo anzitutto l’inadeguatezza pratica della nostra fede e, in particolare, la palese scarsità della nostra intelligenza di fede nel produrre un senso condiviso all’accadere delle cose. E si è visto lo squarcio di una crisi che manifesta il quadro sofferente di un’umanità “fragile e disorientata” (cfr Francesco, Statio Orbis, 27 marzo 2020).

In realtà la manifestazione di un Dio povero e disarmante, di un Dio che accoglie tutta l’umanità dispersa nel mondo, se da una parte ci inquieta perché i nostri abituali orizzonti di vita permangono stretti e vulnerabili, la nostra spiritualità balbetta in modo querulo, la nostra accoglienza reciproca fatica ad essere generosa, dall’altra ci sospinge a sorprenderci per la magnanimità sovrumana dell’accondiscendenza di un Dio che accarezza il mondo delle sue ferite, ci fa sperimentare una paternità universale e ci sollecita a generare fiducia e a incrementare relazioni di fraternità e di pace.

Durante lo scorrere dei giorni del Natale, ci ha ancora una volta sorpreso un Dio umile e si è visto come l’uomo, nonostante tergiversazioni e crisi di contatto, abbia bisogno di Dio, che si fa attesa e ricerca di un’alterità superiore, come insopprimibile e indispensabile anelito, come una traiettoria credibile per un’esistenza sensata e dignitosa.

Abbiamo bisogno di contemplare un Dio umile per salvare l’uomo dalla sua decadenza di umanità. In questo frattempo esistenziale ci è necessario far scoccare una tensione al superamento di un’intrinseca contraddizione che snocciolo così: passare dall’assuefazione a vivere in una società dell’incertezza e della triste evanescenza dei valori forti e a fluttuare senza slancio di trascendenza nella quotidianità, all’urgenza di dare forma ad un nuovo umanesimo che ci sospinga a uscire dalla mediocrità e a guardare in alto e lontano.

 

Dai Magi una rinnovata speranza di vita

In questa condizione, ai nostri occhi afferrati dal disincanto, abituati a consumare velocemente immagini ed emozioni, dove tutto sembra finito o meglio consumato, si volge l’invito ad accendere la luce di una speranza di vita, che fin d’ora incomincia, che sappia sviluppare energie vitali negli individui e nell’intera società.

La visione prende la mossa dal seguire i Magi, mettersi coraggiosamente in cammino verso la casa di Betlemme, prostrarsi umilmente davanti al Dio umile, spogliarsi delle nostre fantomatiche ricchezze e dei nostri deliri di onnipotenza, deporli ai piedi del Bambino, e sentirsi presi per mano da lui per riscoprire la gioia di essere uomini e donne capaci di giustizia, di rispetto e di amicizia sociale.

Così rafforzati e motivati, possiamo riaccollarci la bisaccia di pellegrini risanati e riprendere il nostro cammino avventuroso verso la meta dell’incontro definitivo con il Padre nella nuova Gerusalemme della famiglia umana redenta.

+ Carlo Mazza, vescovo emerito di Fidenza

1 commento:

  1. ECCELLENZA grazie, della bellissima catechesi da autentico pastore.
    Felicitazioni vivissime per il Suo ottantesimo Compleanno.
    L'Anonimo di Borgo

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