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giovedì 19 maggio 2022

L'eroismo di Rosina nel racconto di Paolo Panni


Fiume Po, il ricordo della tragedia di Stagno e dell'eroismo di Rosina


STAGNO DI ROCCABIANCA

La storia non è soltanto quella che troviamo, e trovate, nei libri ma è anche quella che è rimasta fissata nelle lapidi e nelle targhe marmoree che si incontrano, nei paesi, e nelle città, sui muri di chiese, cimiteri, vecchie scuole, cascine e case coloniche, santelle e maestà, nei viottoli silenziosi dei nostri piccoli, laboriosi borghi. 

Lapidi spesso segnate e sgualcite dal tempo, in molti casi poco leggibili, che andrebbero recuperate. Perché anche quelli sono “libri di storia”, lasciati da chi ci ha preceduti, per ricordare persone, fatti, aneddoti e vicende: che sono pezzi del nostro passato.

A Stagno di Roccabianca, piccolo agglomerato di case che si trova a due passi dal fiume, di fronte a Motta Baluffi, la chiesa parrocchiale dedicata ai santi Cipriano e Giustina, recentemente sistemata e restaurata, conserva, sul muro interno della facciata, una lapide che ricorda un tragico fatto di storia, legato al Grande fiume: un naufragio avvenuto in Po, il 13 aprile 1875, nell’area compresa tra il Casalasco e il Parmense. 

Costò la vita a ventitré lavoratori del vimini, tutti in giovane età. “Luttuosa e memoranda – si legge nella targa – la sera del 13 aprile 1875. Ventitrè poveri lavoratori di vimini, quasi tutti giovanetti, ritornavano d’Oltrepò vargando il fiume su piccolo battello quando un vento impetuoso prese a imperversare contro all’onde. Il barcajuolo vogò buon tratto di fronte alla bufera, ma i flutti riempivano d’acqua il legno e i soccorrenti dalla procella sbattuti a riva. 

Quei lavoratori spaventati trassero supplichevoli a poppa e il turbine furibondo sollevando la prora sommerse a un grido straziante barca e viventi. Infelici! Per voi non ebbe il mondo che sciagura sopra sciagura: Dio giusto misericordioso vi dia ristoro e pace”. Un italiano chiaramente d’altri tempi, ma facilmente comprensibile. 

Ci sono poi i nomi delle vittime: Giambattista Gonzi di 31 anni (portolano); Costante Cocchi, 50 anni, con la figlia Angela di 21; Giovanni Ferrari di 50 anni con i figli Enrico di 18, Vittorio di 16, Ferdinando di 10 e Maria di 12; Fermo Ariozzi di 15 con i fratelli Aldino di 11, Balsamino di 10 e Adelina di 10; Domenica Artusi di 22; Marcellina Galli di 14 e la sorella Alberta di 11; Celso Rodini di 11 con il fratello Luigi di 9; Fecondo Concari di 11 e Giuseppe Tei di 10; Annunciata Maccarini di 15; Sofia Coppini di 11; Francesca Pellegrini di 14; Isaia Azzali di 12. 

Il solo a salvarsi, nuotando, fu il 14enne Giuseppe Cocchi. “Carità sovvenne da vicini e da lontani paesi – si legge ancora nella lapide – le famiglie desolate che posero piangenti questo triste monumento”. Una sciagura di cui, fra tre anni, ricorrerà il 150esimo. Con l’auspicio che possa essere adeguatamente ricordata e celebrata, con il coinvolgimento delle due rive del Po e, magari, con nuovi approfondimenti che possano far luce e fornire maggiori dettagli su quanto avvenne quel 13 aprile 1875.


A poche decine di metri dalla piccola, bella chiesa dei santi Cipriano e Giustina, nel silenzio e nel verde della campagna, sorge invece il modesto camposanto che conserva, sulla facciata, un’altra significativa memoria storica: quella di un gesto eroico che ebbe per protagonista una ragazza,

Rosina Bianchi di appena 19 anni. I fatti risalgono al 19 giugno 1916, quindi nel bel mezzo della prima guerra mondiale. “Bianchi Rosina di Carlo – si legge nella lapide – generosamente sacrificava la giovane vita per salvare il nipote Carnevali Faustino travolto e perito in un gorgo del Po.

La Fondazione Carnegie premiò con danaro e medaglia al valore l’atto generoso che volle ricordato ai venturi come esempio di civili virtù”. Giusto aggiungere, a questo riguardo, che La “Fondazione Carnegie per gli atti di eroismo (Hero Fund)” è un Ente morale con sede presso il Ministero dell’Interno, istituito con regio decreto 25 settembre 1911, allo scopo di premiare gli atti di eroismo compiuti da uomini e donne in operazioni di pace nel territorio italiano, per mezzo del fondo elargito dal filantropo americano di origine scozzese Andrew Carnegie. 
La Fondazione è amministrata da un Consiglio di Amministrazione composto da nove membri, dei quali uno è l’ambasciatore pro tempore degli Stati Uniti d’America e gli altri otto sono nominati a vita. Le ricompense della Fondazione Carnegie consistono nella concessione di medaglie d’oro, di argento e di bronzo, con relativo diploma, attestati di benemerenza ed eventuali premi in denaro.

Stagno Parmense, piccolo borgo la cui storia è fortemente legata al fiume (con fatti che spesso, per ovvi motivi, si sono intrecciati con quelli del territorio cremonese e casalasco) nel corso dei secoli ha avuto ben tre chiese. La prima, erette in epoca imprecisata, fu demolita, perché fatiscente, nel 1675 e tre anni più tardi (nel 1678) venne realizzata quella successiva, distrutta poi tra i mesi di ottobre e novembre del 1846 a causa dei gravi danni causati dalla furia del Po in piena. Dal fiume distava circa un chilometro, era decorata da Ferdinando Galli da Bibiena e trascorsero quasi vent’anni prima che il paese fosse arricchito di una nuova chiesa, quella attuale, eretta tra il 1863 e il 1864 (con i cittadini che, come raccontano le memorie storiche locali, riutilizzarono i mattoni della vecchia chiesa per la costruzione della nuova) ed aperta al culto nel 1865.

Altra data storica che va infine citata perché riguardante entrambe le rive del fiume è quella del 1796 quando la parte della parrocchia di Stagno Parmense che era sulla sponda sinistra del Po, passò sotto la giurisdizione delle chiese cremonesi di Sommo Con Porto, San Daniele Po, Solarolo Monasterolo, Motta Baluffi e Torricella del Pizzo.

Vicende, date e fatti su cui si fonda e si è costruita la nostra storia. Quella storia che tutti, nessuno escluso, dobbiamo imparare a mantenere viva, fissandola negli scritti, per lasciarla (esattamente come facevano i nostri antenati) a chi verrà dopo di noi. Perché se è vero che, come recita un vecchio e celebre adagio “La storia siamo noi” è altrettanto vero che per esserla dobbiamo tenerla viva, costruirla e scriverla, sempre, senza tralasciare nulla: nemmeno le cose più semplici.

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