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venerdì 24 novembre 2023

Il “Tavolino Parlante” di Pio VI nell’antico Vescovado di Borgo San Donnino

Vittima dei bombardamenti della guerra, riemerge dal passato la voce straniata d’un tavolino di poco pregio che, con la sua “piccola storia”, finisce per incrociare la “grande storia”: Borgo san Donnino 1799, quando Pio VI, o meglio, il «CITTADINO GIANNANGELO BRASCHI IN ARTE PAPA», in viaggio verso la prigionia francese, sostò nell’antico episcopio, accolto da mons. Alessandro Garimberti, vescovo benemerito della città….



 IL “TAVOLINO PARLANTE” DI PIO VI

 NELL’ANTICO VESCOVADO  DI BORGO SAN DONNINO


« Chiunque tu sia , non mi
toccherai più senza rispetto…»


 Papa Pio VI ( G. Angelo Braschi)
La Relazione delle avversità e patimenti del glorioso papa Pio VI negli ultimi tre anni del suo pontificato di Pie­tro Baldassari, pubblicata a Modena nel 1840 e rieditata tre anni dopo, documenta che papa Pio VI, “deportato” nella Francia della Rivoluzione, fece sosta, nel 1799, a Borgo San Donnino, presso il pa­lazzo vescovile, dove, in seguito, fu devotamente conservato un «tavolino» ( parva mensa) intarsiato con la scrittura memorativa dell’ospitalità che accolse l’«esule sventurato»[1]. Dettata da Don Ramiro Tonani (1759-1833), abate cassinese del monastero di San Giovanni di Parma e grande amico del Bodoni - poi, in epoca luigina, «epigrafi­sta per antonomasia del ducato»[2] -, fu voluta dal vescovo Alessandro Garimberti, allora al governo della diocesi (1776-1813), che la fece riprodurre sull’umile desco del prigioniero, andato probabil­mente di­strutto col secentesco vescovado, sotto i bombardamenti del 1944.

Mons. Alessandro Garimberti
Davvero difficili e convulsi gli anni dell’episcopato garimber­tiano, sullo sfondo di rivolgimenti epocali che videro due secoli “l’un contro l’altro armato”: tra rivoluzione francese e cesarismo napoleo­nico, razionalismo illuminista e storicismo idealista, gusto neoclassico e prime inquietudini romanti­che…[3]         
Così toccherà sempre al medesimo presule, pochi anni dopo, nel 1804, accogliere Pio VII, succes­sore di Papa Braschi, nel suo viaggio verso Parigi per officiare l’incoronazione di Napoleone. L’anno successivo, nel ritorno a Roma, papa Chiaramonti farà tappa di nuovo a Borgo, ricevuto «pontifical­mente» dal Vescovo e dal capitolo della Cattedrale, tra grande concorso di popolo, presenti gli Anziani del Comune[4].

      Ma rapida “si sposta di binario” la storia, osserverebbe E. Montale, e nel giro di poco tempo –J.L. David aveva appena esposto il dipinto dell’Incoronazione, Pio VII sarà fatto arre­stare proprio dall’imperatore dei Francesi; e ancora: il pontefice, dopo la prigionia napoleonica, ripasserà, nel 1814, da Borgo, dove, tuttavia, ad accoglierlo non sarà più mons. Garim­berti, deceduto l’anno prima, bensì il vicario capitolare, Francesco Tommaso Giovanetti (1748-1832), al timone della Diocesi in regime di sede vacante.

        Orbene, torniamo al “piccol affare” borghigiano che pure è stato riportato da A. Gaetano Tononi, alla fine dell’Ottocento, nell’ambito della diffusa trattazione sul passaggio del Prigioniero Apostolico Pio VI nei ducati parmensi[5]. La presenza di questo «tavolino» risulta poi attestata, ancora nel 1941, da un notista della Gazzetta di Parma, che si firma con lo pseudonimo di Ferrutius[6], il quale vi s’imbatte nel «visitare le ampie stanze del Vesco­vado di Fidenza», e di cui fornisce anche le caratteristiche morfologiche: «un tavolino di ben modeste dimen­sioni: precisamente 76 centimetri di altezza, 70 di lunghezza e 64 di larghezza. Un tavolino come un altro, senza il pregio di veneranda antichità»[7] e che, stando allo storiografo fidentino Paolo Cassi ( 1868-1941), era dotato d’ un «piano di marmo»[8] su cui, appunto, doveva apparire tessellata la memoria della sosta papale.

        Secondo la tecnica degli “oggetti parlanti”, già nota alla tradizione classica, l’abate To­nani porta, dunque, in scena la parva mensa che, testimone dell’evento ed unico locutore di tutto il testo, parla in prima persona, rivolgendosi ad un “tu” indeterminato e, per questo, metatemporale: si crea così una sorta d’illusione ottica tra presente e passato, dove la fictio o il lusus epigrafico non fanno altro che sceneg­giare in una sorta di “fermo immagine” la “sventura” e la “grandezza” del romano pontefice:

QUISQUIS ES/ME IRREVERENTER/NE TANGITO/PIUS VI P.M./IN AEDIBUS ALEXANDRI GARIMBERTII/FIDENTIAE SACRORUM ANTISTITIS/A MANE D XVII K. MAI AN CIƆIƆCCLXXXXVIIII/IN CRASTINUM USQUE SUBSISTENS /MIHI/EDU­LIS PAUCIS INSTRUCTAE[9] /ARTUS AEGROS CONFECTOSQUE SENIO/AT SANCTAE NUMQUAM FORTITUDINIS / EXPERS /PAUllulum  REFECTURUS /ADSEDIT[10]


        Chiunque tu sia , non mi toccherai più senza rispetto.
Pio VI, Pontefice massimo, sostando ininterrottamente dalla mattina del 15 Aprile 1799[11] al giorno dopo, nel palazzo di Alessandro Garimberti, vescovo di Fidenza, si è seduto accanto a me, di scarse vivande imbandita, per ristorare un poco le membra sfinite dalla malattia e dall’età avanzata, senza tuttavia perdere mai quella fermezza che viene da Dio .

Per quanto attiene, invece, al piano storiografico, il resoconto più sicuro della statio borghigiana nella via crucis di Pio VI è redatto dal vescovo Luigi Sanvitale (1817-1836), succes­sore di A. Garimberti, il quale, dispo­nendo ancora, in loco, di testimonianze di prima mano, ne inviò memo­ria, assieme al testo dell’epigrafe, all’autore della «Relazione», come da questi dichiarato e trascritto[12].

Card. Luigi valenti Gonzaga

Il Pontefice, infermo e più che ottuagenario, venne accolto dal vescovo diocesano, dal provica­rio generale, Francesco Tommaso Giovanetti , dai cappellani vescovili, e dal cardinale Luigi Valenti – Gonzaga (1725-1808), il quale, «dopo gli sconvolgimenti di Roma era venuto a dimorare a Borgo San Donnino», nel Con­vento dei Padri Agostiniani, sia perché il territorio era ancora sotto i Bor­boni, sia perché era abate commendatario del monastero di Ca­stione -; e fu sempre accanto al peregrinus apostolicus nel corso della sua permanenza nella nostra città[13].

Le campane suonavano a festa, sotto un cielo per nulla sereno, e «nella lunga contrada che da San Michele guida al vescovado, i citta­dini, il meglio che poterono, ornarono di drappi le loro finestre», in un tripudio generale di folla ac­corsa anche «dalle ville vicine», per «rimirare l’augusto aspetto del Pontefice e ricevere la benedizione apostolica».

I fedeli borghigiani, preoccupati dalle precarie condizioni di salute del papa, chiesero al loro ve­scovo che «nella chiesa cattedrale si facesse pubblica orazione dinanzi al Santissimo Sacramento »: per tutto il giorno la «detta chiesa fu sempre piena di fedeli» che pregavano con grande fervore. 

Orbene, «la comune esultanza, mista a compassione», non avrebbe creato problemi di ordine pub­blico, se un ebreo, di nome Marco Levi, non avesse insolentito il Pontefice con «parole oltraggiose», suscitando le ire di tal Nicola Aliani, soprannominato Barabba, che aizzò la folla contro il malcapi­tato. Fu, a malapena, evitato il linciaggio: il podestà, per garantirgli l’incolumità, lo fece rinchiu­dere nelle car­ceri del palazzo comunale, dove, però, la folla si riversò per farsi consegnare l’ebreo. Il primo cittadino fu, allora, costretto a far comparire il prigio­niero al balcone del Municipio, scortato da soldati, per testi­moniare l’azione della giustizia; e solo dopo questo atto, «la plebe gridando: viva Barabba! muoia l’ebreo! cominciò a calmarsi», ponendo fine ad un tumulto che rischiava di farsi sempre più incontrollabile .  

Antico Vescovado di Borgo San Donnino

Ma prendiamo nuovamente in considerazione il «tavolino» sul quale il pontefice, allog­giato nell’appartamento “Caranza” del palazzo vesco­vile, sorvegliato da soldati francesi e fanti parmigiani, «prese scarsa refezione», per richiamare un’ultima annota­zione tràdita sempre dal Sanvitale e riportata dal Baladassari nella sua «Relazione»: « Il detto tavolino si con­serva riverentemente in questo palazzo vescovile. Ma nell’iscrizione, in cambio di XVII, si doveva porre XVIII K. Mai ».

La sosta papale, secondo il Sanvitale, deve, dunque, essere retrodatata al 14 Aprile 1799 rispetto al 15 Aprile, data erroneamente intarsiata sulla parva mensa, la quale inoltre, indicando, come momento di partenza del pontefice, il giorno dopo, (in crastinum) ne avrebbe prolungato la tappa borghigiana fino al 16 Aprile.

 Più precisamente: papa Braschi, dopo i giorni turbolenti trascorsi a Parma, si fermò a Borgo San Donnino, dalla mattina del 14 Aprile fino alla mattinata seguente, quando, dopo aver concesso «molte facoltà straordinarie» al ve­scovo Garimberti, partì alla volta di Pia­cenza, osannato da uomini e donne d’ogni condizione «con repli­cati e strepitosi­ssimi viva per lungo tratto di via oltre il torrente Stirone; il cui ponte essendo vec­chio e appuntellato, il Comune di Borgo S. Donnino un altro ne aveva fatto prestamente costruire, largo e forte, acciocchè Pio VI traghet­tasse in ogni sicurezza».

 Lasciamo, dunque, il pontefice, poco dopo mezzogiorno, alle porte della città che, di lì a qualche mese, avrebbe sentito i colpi della battaglia della Trebbia, nell’ambito della seconda coalizione antinapoleonica: “prigioniero” nel Collegio Alberoni di San Lazzaro, è sorvegliato da sentinelle di guardia tanto alla porta dell’istituto religioso quanto a quella dell’ appartamento privato: si vuole evitare il rischio d’un qualsiasi contatto del papa con l’esterno.[14] 

Ma, già che ci siamo, non è fuori luogo dare conto, per quanto possibile, anche degli altri segni la­sciati dal passaggio del peregrinus apostolicus, ostaggio della Repubblica Francese: della sua presenza, associata a quella di Carlo Emanuele IV di Savoia[15] e di sua moglie, rimase memoria custodita dalla medesima lapide nel sacellum domesticum del vescovo di Borgo San Donnino.

A differenza della cappella del palazzo vescovile, intitolata a san Gaetano Confessore e fatta costruire dal vescovo Gaetano Garimberti ( 1675-1684), teatino e della stessa nobile gens parmense del vescovo Alessandro, dove ancora a metà dell’Ottocento si celebravano le ordinazioni sacerdotali[16], quella voluta da Alessandro Garimberti col titolo del Sacro cuore di Gesù, alla fine del Settecento[17], era, invece, la cappella privata del vescovo, demolita nel secondo dopoguerra; disposta a tribuna sopra l’ingresso sinistro della Cattedrale, era accessibile dai locali del vescovado adiacenti la torre del Folletto[18](o delle Cicogne): qui, con lo stemma episcopale dipinto a fresco sulla soglia[19], quasi a rimarcare l’identità gentilizia del luogo anche per il riferimento patronimico, stava incisa « sul marmo»[20] la seguente epigrafe, dettata sempre dal Tonani:


G. Gandolfi, Sacro Cuore Eucaristico
(XVIII sec.)
ANNO MDCCLXXXXVIII XV K(ALENDAS) IANUAR(IAS) HONOS INGENS/HUIC SACELLO ADDITUS PRAESENTIA KAROLI EMMANUELIS IV REGIS SARDINIAE ET MARIAE/ CLOTILDAE BORBONIAE CONIUGUM QUI DUM E/ SUBALPINIS ATROCITATE TEMPORUM EXACTI IN/ SARDINIAM TENDERENT HEIC SACRO INTERFUERE/EORUM DECORA CUMULAVIT A. MDCCLXXXXVIIII XVIII K(ALENDAS) / MAIAS TRAIEC­TUS IN GALLIAM PII VI P(ONTIFICIS) M(AXIMI)/ ANIMI CONSTANTIA INVICTA DURUM IBI PARA­TUM EXILIUM/ ADEUNTIS/ HIC EO DIE HOSPES AEDIBUS HISCE SUCCEDENS/ PRIVILE­GIUM IRROGAVIT UTI QUOTANNIS FESTO/ DIE CORDIS JESU QUI RITE CRIMINIBUS EXPIATI/ AD ALTARE UBI LITATUM EST CORAM ICONE/ CORDIS EIU­SDEM PRECES FUDERINT STATIS/ ADMISSOR(UM) POENIS EXSOLUTI ABSCE­DANT/HAEC MEMORIAE POSTERORUM UT MANDARETUR /ALEXANDER ANTONII COMITIS F(ILIUS) GARIMBERTIUS /FIDENTIAE SACRORUM ANTISTES LAPIDI HUIC/INSCRIBI IUSSIT ANNO LUCTUOSISSIMI SAECULI / ULTIMO MDCCC»[21] .

Il 18 dicembre 1798, questa cappella fu arricchita d’un grande onore per la presenza dei coniugi Carlo Emanuele di Savoia, re di Sardegna, e Maria Clotilde di Borbone: cacciati dalla crudeltà dei tempi dal Piemonte, in attesa di rifugiarsi in Sardegna, ascoltarono la messa in questo luogo. L’onore avuto dalla loro presenza fu accresciuto dal passaggio di Pio VI diretto verso la Francia, il 14 Aprile 1799, il quale con indomita fermezza d’animo andava verso il duro esilio che, in quella terra, per lui era stato preparato. Qui, in quel giorno, l’ospite, entrando proprio in questo palazzo, accordò tale privilegio: che, quanti ogni anno, nella ricorrenza della festa del cuore di Gesù, secondo il rito, purificati dei propri peccati, davanti all’altare dov’è stato celebrato il divino sacrificio, recitassero preghiere rivolti all’immagine del Sacro Cuore, potessero allontanarsi prosciolti dalla pena temporale stabilita per i peccatori[22]. Alessandro Garimberti, figlio del conte Antonio[23], vescovo di Fidenza, nell’intento di tramandare ai posteri questi fatti, volle che essi venissero incisi su questa lapide, nel 1800, anno che conclude un secolo carico di lutti[24].

La memoria della sosta papale fu, inoltre, affidata, secondo quanto scrive Paolo Cassi, ancora testis de visu prima delle macerie della guerra, ad una «lapide murata sulla facciata del nostro episco­pio da un comitato diocesano riunitosi in occasione del primo centenario dell’avvenimento»; e «la stessa lapide ricorda pure il breve soggiorno di Carlo Emanuele IV di Savoia che appunto nel palazzo vescovile pernottava la notte del 18 Dicembre 1798 »,[25] nel tempo della sua dimora a Parma, dopo la partenza forzata da Torino.

E’ assai probabile che l’iniziativa, promossa dal comitato locale, vada letta nell’ambito delle celebrazioni tenutesi a Pieveottoville, il 24 settembre 1899, in occasione della «prima festa federale delle associazioni cattoliche parmensi e della diocesi di Borgo, presieduta da mons. Tescari, vescovo di Borgo San Donnino»[26], alla presenza, tra gli altri, del dott. Giuseppe Micheli di Parma, fondatore del periodico La Giovane Montagna d’ispirazione apertamente murriana e dell’avv. Filippo Meda che, da poco direttore dell’Osservatore Cattolico, dopo l’arresto di Davide Albertario, cercherà di traghettare il giornale lombardo dell’intransigentismo cattolico verso una presenza attiva dei cattolici nella vita politica.

 Sono gli anni, quelli a cavaliere dei due secoli che, almeno fino alla prima guerra mondiale, incorniciano, le aspettative ed il travaglio socio-politico del mondo cattolico cui dà voce, a livello locale, per impulso dei vescovi G. Tescari e L. Mapelli, «Il Risveglio», “periodico settimanale popolare” fondato proprio nell’ottobre 1899, quale «diana risvegliatrice dei sonnolenti, eccitatrice di forze giovani e fresche per la conquista di quei santi ideali nei quali riporre la salute di una società in declino e traviata»: un «giornaletto popolare», di «contrapposizione», rivolto alla «maggioranza» della gente, aperto alle conquiste del progresso nella luce della fede, che vuole interessare « in modo speciale le classi lavoratrici»,  senza inseguire il «gusto di qualche solitario annoiato», mentre entrano in scena i partiti di massa, sempre più attrattivi ed organizzati per dare voce alle rivendicazioni sociali di operai e contadini. [27]

 Ora, se la testimonianza del Cassi corrisponde al vero, probabilmente ci troviamo di fronte ad una sorta di “reimpiego” – dalla privata devozionalità alla testimonianza pubblica -, della lapide dell’oratorio privato del vescovo: la compresenza dei medesimi eventi riportati nell’uno e nell’altro manufatto fanno pensare ad una riformulazione dell’iscrizione lapidea, nel quadro d’una diversa destinazione d’uso e, soprattutto, alla luce del mutato contesto storico che vede i cattolici uscire sempre più combattivi dalle “riposte mura” del non expedit contro il clima laicista di fine secolo teso ad escludere ogni influsso della religione nella convivenza civile. [28]


La lapide del vecchio episcopio non fu distrutta, come genericamente si dice o si ritiene, dal bombarda­mento che colpì il fianco sud del Duomo, poiché essa appare ancora in situ negli anni 1946/1948: lo testimoniano sia il corredo fotografico del tempo[29], sia il pennello di E. Ponzi (1908–1992) che dipinge la città, spostando il cavalletto tra le sue macerie[30].

Il furor aedificatorius postbellico, sia civile che ecclesiastico, forse inevitabile ma talora an­che sciagurato, fa pensare che questo manufatto sia “caduto” insieme alla demolizione dei resti della facciata pericolante del vecchio palazzo vescovile, senza che nessuno si (pre)occupasse, in quegli anni, della rimo­zione conservativa dell’iscrizione lapidea.

A questo punto, non si può neanche escludere che proprio la lapide collocata, nel 1899, sulla facciata dell’antico vescovado abbia poi suggerito, in una sorta di pendant, quella inaugurata, quindici anni dopo, nell’ambito del IV Congresso della gioventù cattolica emiliana, riunito a Borgo san Donnino, sotto la presidenza del card. Pietro Maffi: dettata in lingua volgare dal can.co Sincero Badini, direttore del «Risveglio», a ricordo del passaggio di Pio VII, l’epigrafe, siglis eiusdem auctoris appositis (C.S.B.), è leggibile, ancora oggi, sulla facciata della chiesa urbana di san Pietro apostolo. Anche in questo caso, come la “pietra” continua a raccontarci, sono sempre i «cattolici fidentini» a prendere l’iniziativa, e sempre in occasione della « prima ricorrenza centenaria del grandioso evento», quello appunto della sosta, a Borgo, di papa Chiaramonti, oggi servo di Dio, di ritorno «in trionfo alla sua sede pontificale», nel 1814, «dalla carcere di Fontainebleau», vittima del «folle delirio» della tirannide napoleonica.[31]

Nel volgere al termine, ci piace raccogliere idealmente questi piccoli “cocci” di storia attorno alla tomba dei due protagonisti che la “qualità de’ tempi” ha fatto incontrare a Borgo san Donnino.

Il pontefice arrivato in Francia, attraverso il valico del Monceni­sio, morì, poco dopo, nella fortezza di Valence , il 29 Agosto 1799. Sepolto come quivis unus ex populo nel cimitero locale con la scritta «Cit­tadino Giannan­gelo Braschi – in arte Papa», le spoglie di Pio VI, dopo lunghe peripezie, riposano, oggi, con più degno epitaffio in un antico sarcofago romano, nelle grotte vaticane:

MORTALES PII VI EXVVIAS QVEM INIVSTVM CONSVMPSIT EXILIVM PIVS XII PONT. MAX. HEIC DIGNE COLLOCARI AC MARMOREO ORNAMENTO ARTE HI­STORIAQVE PRAESTANTISSIMO DECORARI IVSSIT A. MCMXXXXIX.

Le spoglie mortali di Pio VI, “consumato” da ingiusto esilio, furono qui degnamente deposte, per volontà di Pio XII, sommo pontefice, con l’onore di un marmo assai più illustre per arte e storia, nell’anno 1949.

A mons. Garimberti, di cui ricorrono, proprio nel 2023, duecentodieci anni dalla scomparsa, furono, invece, riservate esequie imponenti ( elatus funere splendido). Fu vescovo della «dolcezza», come ebbe a dire il suo successore,[32] ma, soprattutto, “senza freno nel soccorso degli ultimi” ( altor effusus pauperum)[33], come fu scritto in fronte majoris templi nel giorno dei solenni trigesimali: a lui va, senz’altro, ascritta la realizzazione dell’ «Ospedale dei poveri infermi » di Borgo san Donnino e quella del nosocomio di Monticelli d’Ongina (PC), dove una lapide ricorda ancora i meriti dell’insigne benefattore: onorate/ il vescovo garimberti/ che /nell’anno 1784/ fondo’ quest’ospedale / la commissione ospitaliera/ nell’anno 1866 / Q(esta)M(emoria)P(ose).[34]  

           Venne sepolto nella chiesa cattedrale (in aede principe) di Borgo san Donnino, davanti all’altare della Cappella dell’Immacolata: qui, sulla parete di destra, un’epigrafe dettata dal Tonani in onore della “santa memoria” del presule, ne tratteggia il nobile profilo:

ALEXANDER A(NTISTES) C(OMES) F(AMILIA) GARIMBERTIUS/ GENTE PAR­MAE PATRICIA / EX COLL(EGIO) CANONICORUM PRINCIPIS EIUS AE­DIS/ SACERDOTIO URBIS HUIUS / ANN(OS) XXXVII IN EXEM(PLUM) NITIDISSI­MUM FUNCTUS / FERDINANDI Ī D(OMINI) N(OSTRI)A(UGUSTI) PIIS LARGITIONI­BUS / SACRIS potissime DOCTRINIS / ADFATIM INSTRUCTUS / MORES ANTIQUOS COMITATI OMNI SOCIATOS / HOSPITALITATEM MISERICORDIAM /DILECTIONEM GREGIS SUI FLAGRANTISSIMAM / CONTINENTER EXHIBENS/VIXIT ANN(OS) LXXVI DECES­SIT IV NON(AS) APR(ILES) / ANNO MDCCCXIII / ET HIC PAUSAM IN  CHRISTO VOLUIT EX TESTAM(ENTO) / ANTE ARAM AB SE ICONE ET ORNATU EXCULTAM / IN HON(OREM) GENITRICIS DEI AB ORIG(INE) IMMACULATAE/CUI TOTA VITA FUE­RAT / ADDICTISSIMUS /PATER OPTIME UTI MERITUS ES/IN DEO VIVAS[35].

Alessandro vescovo, della famiglia dei conti Garimberti, del patriziato di Parma, membro del collegio dei canonici di quella Chiesa Cattedrale, esercitò il ministero episcopale in questa città per trentasette anni , costituendo un fulgido esempio; sorretto dalla generosità devota di Ferdinando I, augusto nostro signore, ma prima di tutto ed in abbondanza dalle sacre dottrine, mostrò l’antica nobiltà di costumi congiunta ad ogni sorta di cortesia (comitati omni), testimoniando senza sosta spirito d’accoglienza verso i bisognosi (hospitalitatem), carità (misericordiam) e zelo ardentissimo per il suo gregge; visse settantasei anni, morì il 2 Aprile 1813 e qui, per sua volontà testamentaria, volle la pace in Cristo, davanti all’altare da lui impreziosito con una pala sacra ornata di cornice[36], in onore della madre di Dio immacolata fin dal concepimento, verso la quale per tutta la vita era stato devotissimo. O Padre amatissimo, possa tu vivere in Dio come hai meritato.

 Si può, allora, concludere che anche le “confidenze” d’un semplice oggetto, come può essere un manufatto di poco pregio e, più in generale, di tutti i monumenta d’una città o d’un territorio , umili o illustri che siano, non smettono mai di “far ricordare”(monēre) il passato d’una comunità il quale non di rado si riverbera sul grande mosaico d’un’intera epoca. E così la “parola” d’un povero tavolino, per di più andato disperso, apre di colpo, senza fragore d’histoire-bataille, un intero mondo: diventa “senso di luoghi”, rete di relazioni, intarsio di memoria collettiva. 

                                                                            Fausto Cremona

 

 

                                               



[1] p. baldassari, Relazione delle avversità e patimenti del glorioso papa Pio VI ecc., T. IV, L. V, Modena, 18432, pp. 59-63 . Il ritratto di Pio VI, qui riprodotto, conservato nel Museo del duomo di Fidenza, ne riprende, salvo la posizione della mano destra benedicente, l’immagine disegnata da Giovanni Domenico Porta e incisa su rame da Domenico Cunego, probabilmente nell’anno stesso dell’elezione pontificale (1775).

[2]Cfr.Cristiana Tarasconi, Gli epitaffi di Parma luigina, in «Lege nunc, viator...». Vita e morte nei carmina Latina epigraphica della Padania centrale, a cura di N. Criniti, Parma, 1998, pp. 63-73.

[3] Sulla figura del quindicesimo vescovo di Borgo San Donnino-Fidenza, si veda A. Cerati, Discorso funebre per la morte di Mons. A. Garimberti, Parma 1814; G. M. Giacopazzi, I vescovi di Borgo San Donnino, Fidenza 1903; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentinaI personaggi -, Fidenza, MCMLXI, v. I, pp.170-175. La figura di mons. A. Garimberti è qui raffigurata in dipinto tardo settecentesco, conservato presso la Direzione sanitaria dell’ospedale di Vaio ( Fidenza).

[4] A. AimiA. copelli, Storia di Fidenza, Parma 1982, p. 249.

[5]A. G. Tononi, Il prigioniero Apostolico Pio VI nei ducati parmensi, Parma 1896, già comparso come articolo in «Archivio storico delle province parmensi, Vol. III, anno 1894. I rimandi citati fanno riferimento al volume.

[6] Si tratta di Botti don Ferruccio ( Parola di Fidenza 1905 – Noceto 1983), priore di Talignano, sacerdote della diocesi di Parma,  il cui pseudonimo, comparve spesso sulle pagine culturali della «Gazzetta» e sul settimanale diocesano «Vita Nuova» a raccontare non solo la città o la diocesi parmense, ma anche momenti e fatti della vita del territorio. Nel nostro caso, la minuziosità della testimonianza, resa quasi col metro in mano, non deve stupire più di tanto, ove si considerino lo status di ecclesiastico dell’autore e le sue origini paroline che, di certo, facilitavano i contatti con la diocesi fidentina. D’altro canto,   l’uso dell’avverbio di modo, inutiliter datum in questa sede per il senso del testo, manifesta apertamente la strategia dell’autore: attestare l’esattezza di evidenze note soltanto a chi aveva buona consuetudine con gli ambienti del palazzo vescovile.  

[7] Ferrutius,  Un tavolino famoso, Gazzetta di Parma, 1 Novembre 1941, p.2 con continuazione il 2 Novembre 1941, p.4.

[8] Cfr. P. Cassi,Vecchie cronache di Fidenza, Fidenza, MCMXXXXI, p. 36.

[9] Il participio passato instructae  ( «imbandita»), concordato con mihi, è posto è al femminile poiché riferito ad un sottinteso mensae (o mensulae).

[10] Il testo dell’epigrafe si può leggere oltreché in R. Tonanii, Inscriptiones carmina non nulla et quaedam prosa oratione conscripta, Parmae MDCCCXXXI, vol. II, fasc. III, caput IIII, § II, Inscriptiones operum publicorum et privatorum., DLV, p. 40, anche in P. Baldassari, op. cit., p. 61 ed in A.G. Tononi, op. cit., p. 74. L’autore dell’epigrafe presenta così l’iscrizione: In parva mensa opere tessellato apud Fidentinorum Antistitem. L’uso del verbo tessellare (tessella= “pietruzza” per opere a tarsia o a mosaico) conferma che non si tratta d’un’incisione, ma d’un intarsio sul ripiano di marmo.

[11] Per ciò che attiene alla cronologia della sosta papale, la nostra traduzione rispetta il testo riportato dal «tavolino», senza rettifica dell’errore commesso probabilmente dall’artigiano decoratore; a tal proposito, vd. infra p. 3.

[12] Le «memorie» al riguardo, del Sanvitale, vengono riportate dal Baldassari in lunga nota, tra virgolette doppie, per segnalare al lettore la dipendenza diretta dalla fonte primaria del racconto borghigiano. Cfr. p. baldassari, Relazione  delle avversità e patimenti del glorioso papa Pio VI ecc., T. IV, L. V, Modena, 18432, pp. 61-62, nota n° 19.

[13] La presenza del cardinale Luigi-Valenti Gonzaga, già legato apostolico per la Romagna, è segnalata, oltreché nella Relazione del Badassari e nell’articolo del Tononi, già citati, anche nello scritto coevo senza autore ( ma con Imprimatur : Si videbitur Reverendissimo Patri S.P.A. Magistro F.X. Passari Archiep. Larissen., Vicesgerens), Viaggio del peregrino apostolico il sommo pontefice Pio sesto da Roma a Valenza di Francia ove fu in ostaggio della Repubblica Francese ecc. , Roma, MDCCXCIX, p. 12.

[14] Cfr. Lettera del Governatore di Piacenza al ministro intorno all’arrivo di Pio VI in Piacenza in  A.G. Tononi, op. cit. , pp. 51-53.

[15]Carlo Emanuele IV di Savoia, detto l'Esiliato (1751 –1819), zio di Carlo Alberto, fu re di Sardegna e duca di Savoia dal 1796 al 1802, sposò Maria Clotilde di Borbone-Francia (1759 - 1802), sorella di Luigi XVI . Umiliato nelle sue prerogative di sovrano dalla Francia napoleonica, dopo la morte della moglie, abdicò al trono, a favore del fratello Vittorio Emanuele I, finì la sua vita raminga per l’Italia, a Roma, novizio della Compagnia di Gesù.

[16]Vd. Registro degli ordinati da Mons. Vescovo di Borgo san donnino don P. Crisologo Basetti dal 23 Settembre 1843 al 4 Aprile 1857.

[17] E’ possibile ipotizzare l’anno 1798 sulla base dell’autentica ( 11 Gennaio 1798) delle reliquie di S. Ireneo che  corredavano il piccolo altare del sacellum, reperti tuttora conservati nel museo del Duomo di Fidenza. In ogni caso, il luogo era già stato intitolato al Sacro cuore di Gesù, al momento dell’arrivo di Pio VI ( cfr. Tononi, op. cit., p. 17).

[18] G. Gregori, L’isola del vescovo di Fidenza, in L’isola del vescovo di Fidenza nelle opere di E. Ponzi, Fidenza 2010, pp. 11-18.

[19]Arma: inquartato: nel primo e nel terzo azzurro, nel secondo e nel quarto scaccato d’argento e di rosso; al guinzaglio d’argento in sbarra sul tutto; motto: Il tacere non si può scrivere. Si tratta d’una sostanziale ripresa, anche nel motto, del blasone di famiglia, eccezion fatta per talune modifiche legate allo status ecclesiastico (la forma dello scudo che, da “tedesco” o “a targa”, diventa ovale, insieme al galero con le nappe verdi, segno dell’ordine gerarchico) e per la figura dell’uroboro che viene sostituita da una testa di cane bracco, simbolo per eccellenza di fedeltà, attaccamento , amicizia e vigilanza. Non è un caso che il Baldassari definisca mons. Garimberti «prelato di merito singolare, devotissimo alla S. Sede, e della persona di Pio VI grande amatore e veneratore». Cfr. Baldassari, op. cit. , p. 59. Lo stemma risulta, oggi, ancora visibile, decorato a colori, nei resti del dismesso sacellum domesticum del vescovo. Cfr. G. Gregori, op. cit. p. 13.

[20] Cfr. A. G. Tononi, op. cit., p. 74.

[21] R. Tonanii, op. cit.,  caput IIII, § I, Fasti et numismata, DVIIII, p. 4. Il testo dell’epigrafe viene presentato dall’autore con la seguente didascalia: Fidentiae, in sacello domestico Antistitis eiusd. urbis ; esso colloca la sosta papale il 14 Aprile 1799, confermando l’errore cronologico dell’intarsiatura del «tavolino», come poi segnalato da mons. Luigi Sanvitale ( vd. supra, p. 3). La piccola pala del Sacro cuore di Gesù, qui riprodotta, probabile arredo della cappella vescovile, si caratterizza per un’iconografia «decisamente insolita» che «associa la devozione al sacro cuore di Gesù col mistero eucaristico», rinunciando a collaudate formule devozionali. Cfr. al riguardo, G. ponzi, Nel Museo della Cattedrale risplende il Sacro Cuore Eucaristico, uno dei capolavori di G. Gandolfi, in «Il Risveglio», Fidenza, 19 Giugno 2009, p. 8.

[22] Più liberamente: potessero lucrare l’indulgenza plenaria.

[23] La gens garimbertia, la cui forma cognominale rimanda certamente ad origini germaniche, fu, a Parma, tra le famiglie più illustri della città, a partire dal primi decenni del XIV secolo. Medici, notai, magistrati, ecclesiastici, letterati, esponenti del mondo politico-militare, i Garimberti, a metà del Seicento, consolidano il loro potere  con l’acquisto di proprietà feudali – la contea di Oriano e il feudo di Langhirano, eretto in contea -, fino ad essere poi decorati col titolo comitale. Per tutto il Settecento fecero parte dell’aristocrazia feudale del ducato e, a corte, ricoprirono incarichi prettamente onorifici. Nella seconda metà del Settecento due famiglie Garimberti sono presenti a Parma. La prima, discendente dal conte di Oriano, Francesco, residente in borgo Antini, sotto la vicinia di S. Tommaso, e composta dal conte cavaliere di Gran croce dell’Ordine Costantiniano Antonio ( n. 1693), col fratello don Giuseppe ( 1701) ed i figli Ercole (n. 1731), don Alessandro (1736-1813), futuro vescovo di Borgo San Donnino, e Venceslao ( n.1738), tenente delle reali guardie; la seconda abitò sotto la vicinia di S. Apollinare in contrada piazzale del Carbone ed era composta dal canonico conte di Langhirano Giovanni Battista ( 1709), figlio del conte Ascanio, col nipote conte cavalier Francesco ( 1735-1790). Nel 1769, alle celebrazioni per le nozze del duca Ferdinando di Borbone con Amalia d’Asburgo, sono ancora presenti tra gli invitati gli esponenti delle due casate nobiliari, come testimonia il libro de’ La descrizione delle feste , stampato a Parma, in quello stesso anno, dal Bodoni ed illustrato dal Petitot. Tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, entrambi i rami comitali risultano estinti. Cfr. M. de Meo, Le antiche famiglie nobili e notabili di Parma e loro stemmi, Parma,2002  II, pp. 91-92; 233.

[24] Il secolo, che l’anno 1800 conclude, è il Settecento: un secolo certamente non facile per la Chiesa. Sullo specifico fidentino, cfr. M. Lori, Fidenza nel Settecento, Fidenza, 1984, pp. 87-122; A. Aimi, Storia di Fidenza, Parma 2003, pp. 114-140.

[25] Cfr. P. Cassi, op.cit., p. 36.

[26] A. Aimi – A. Copelli, Storia di Fidenza, Parma 1982, pp. 321-22. Più in generale, per Il Movimento Cattolico a Borgo, vd. il breve profilo( ma solo cronachistico) in A. Aimi, Storia di Fidenza, Parma 2003, pp.195-200.

[27] Cfr. D. Soresina, op. cit., II, pp. 53-55; «Il Risveglio», Borgo San Donnino, 15 ottobre 1899, anno I, N.1. Di questo settimanale, edito ancora oggi, ideato dai sacerdoti Sincero Badini ( 1866-1918), Pier Crisologo Micheli ( 1845-1904), Alberto Costa ( 1873-1950), stampato dalla tipografia di Luciano Verderi di Borgo san Donnino, e che è stato catalogato  tra la «robusta pubblicistica murriana» dell’Emilia occidentale assieme a Fede e cuore e La Giovane Italia a Reggio, L’Operatore cattolico a Carpi, La Democrazia cristiana a Modena e La Giovane Montagna a Parma, manca,  fino a questo momento, uno studio organico e approfondito. Cfr. L. Bedeschi , Il modernismo e Romolo Murri  in Emilia e Romagna, Parma 1967, p.18. Significativa la bella decorazione con cui il pittore Dino Mora da Colorno ( 1881-1950) firmerà, in seguito, il frontespizio del settimanale: sullo sfondo la Cattedrale di san Donnino, un giovane in primo piano con incudine e martello, mentre un angelo in volo annuncia con la tromba il giorno del “Risveglio”, dietro il quale s’irraggia il sole nascente con la scritta «Fede e Progresso. Immagini e parole allusive in opponendo ai fermenti socialistici del primo novecento. Di fronte al materialismo filosofico del liberalismo e del marxismo, Leone XIII riposiziona subito, senza indugi, i cattolici: con l’enciclica Rerum Novarum ( 1891) «riafferma il primato della filosofia spiritualistica cristiana»: una vera e propria «ideologia cattolica» contro quella del capitalismo e del marxismo. Cfr. B. Sorge, Introduzione alla dottrina sociale della Chiesa, Brescia, 2006, pp. 36-37.

[28] Al riguardo, non si può dimenticare che, proprio nell’anno 1899 (11 maggio), Leone XIII indice con la bolla Properante ad exitum saeculo l’anno santo del 1900 : il primo giubileo, dopo quelli mortificati ed incompleti di Pio IX, celebrato con riti solenni e“a porte aperte”; tematizzato sulla centralità di Cristo Redentore, signore e re di tutte le cose, è prefigurato dall’ enciclica Annum Sacrum (25 Maggio 1899) che consacra l’umanità al Sacratissimo cuore di Gesù. Di questo diffuso clima di “rinascimento cattolico”, inaugurato dal pontefice della Immortale Dei ( 1885), è pure frutto, a voler frugare tra le “piccole cose” del nostro territorio, l’Omaggio a Gesù Cristo Redentore di don Bartolomeo Callegari (1857-1934) di Caneso di Compiano,oggi comune di Bedonia (PR), diocesi di Piacenza, pubblicato il 30 maggio dell’Anno Santo 1900. Si tratta d’una cantica di sei canti a rima incatenata, secondo lo schema ABA BCB CDC EDE…, ove l’autore, sulle orme dantesche, narra il proprio viaggio verso la visio Dei. La guida, però, non è più il pagano Virgilio, ma l’apostolo Pietro, primo testimone di Cristo e primo vescovo di Roma, una scelta non casuale e che anticipa subito il messaggio del poemetto: solo attraverso la «fede cristiana, maestra dell’eterno vero», incarnata nella storia, l’uomo del ‘900 potrà disegnare un modello nuovo di società e di pacifica convivenza civile, contrastando i «mostri» infernali del suo tempo - l’anticlericalismo massonico, la ricerca sfrenata del profitto e la tracotanza del potere politico -, che tentano di negare ogni spazio alla Chiesa nella costruzione della moderna civitas terrena, dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Cfr. B. Callegari ( a c. di PL. e S. Callegari, F. Cremona), Fra l’alba e l’occaso, Bedonia, 2023. L’edizione del 1900 è accessibile al link: https://www.seminariobedonia.it/cantica/.

[29] Sopraintendenza ai monumenti dell’ emilia romagna, Ruderi del Palazzo vescovile . Facciata ( 1946/47), già in (a c. di) Barbara Zilocchi L’officina Benedetto Antelami della Cattedrale di Fidenza, Milano 2019, p. 128. Per le immagini di Fidenza prima del 1944, si veda almeno R. S. Tanzi, Cartoline da Fidenza, Parma, e in particolare, pp.16-17.

[30] Cfr. E. Ponzi, Fianco sud del Duomo di Fidenza in Mostra Antologica, Fidenza 1985, dipinto n° 21, datato 1948, p. 44.

[31] Sulle giornate congressuali del  maggio 1914, vd. La Gioventù cattolica emiliana a congresso. Solenne commemorazione di Pp. Pio VII tenuta dal card. Maffi in «Il Risveglio», Borgo san Donnino, 9 Maggio 1914, anno XV, n. 761. Nella parole dell’ arcivescovo di Pisa la figura di Pio VII diventa, soprattutto alla luce della memoria della prigionia di Pio VI, il simbolo della forza della Chiesa che, dopo la persecuzione, riesce sempre a vedere i suoi nemici «dispersi e atterrati»: Pio VI muore prigioniero in esilio, ma il suo successore ritorna a Roma in trionfo. «La Chiesa è rimasta», ma «la dinastia dei Napoleonidi dov’è ?» – si domanda l’oratore -: «su tutto ha steso la sua ala distruggitrice il tempo». Pur nel solco di questa considerazione prevalentemente catechistica, lo scoprimento della lapide in onore di Pio VII, sembra, tuttavia, tingersi d’una sfumatura più “politica” nel discorso degli oratori ufficiali – il cav. Guido Meroni, di lì a poco direttore del periodico «L’azione Cattolica» ( 1903-1919) di Reggio Emilia e don Roberto Maletti prevosto di Mirandola, “prete sociale”e vigoroso predicatore, poi vicino a don L. Sturzo nella fondazione del Partito popolare -, trasformandosi in un vero e proprio “inno alla libertà” alla quale i giovani cattolici vengono incoraggiati nel segno della fede e dell’insegnamento della Chiesa. Su Pio VII, a due secoli dalla morte del pontefice, “ ambasciatore di pace”, nel confronto con la Francia napoleonica a difesa della libertas ecclesiae, si veda almeno B. Ardura, Vicario del Dio della Pace, in «L’Osservatore Romano», 19 Agosto 2023, pp. 4-5 e il Messaggio del Santo Padre Francesco in occasione del bicentenario della morte del Servo di Dio Pio VII, Roma, 21 settembre 2023. E’ tempo di “rivisitazione” anche per il grande Còrso: dal 23 Novembre 2023, nelle sale, per Eagle Pictures, il film molto atteso, Napoleon di Ridley Scott.

[32] D. Soresina, op. cit., p. 170.

[33] Mutuiamo i sintagmi elogiativi dall’iscrizione pubblica, composta sempre dal Tonani, e posta all’ingresso del duomo nella commemorazione del trigesimo della morte quando parentaliorum iusta more maiorum/persolvuntur . Non è il caso di riportarla integralmente perché si configura come “mala copia” dell’epigrafe sepolcrale. Vale la pena tuttavia di riprodurne la chiusa: PATREM VESTRUM CIVES AMISSUM FLETE /BEATUM PRECIBUS OPTATE. Non c’è neanche bisogno di sporcarla con una qualche traduzione perché, in questo caso, la lingua latina, proprio per essere sintetica, illumina ancor più, sine interpretatione, la figura di questo vescovo: egli è il pater civitatis che si è speso per tutti e per il quale i sentimenti di tutti diventano preces. Cfr. r.tonanii, op.cit., vol. II, fasc. III, caput IIII, § II, Funerum Publicorum, DCLX, p.148.

[34] Sul contributo della chiesa di Fidenza in campo assistenziale cfr. M. Zanchin, La Chiesa fidentina creatrice degli ospedali per i poveri nel sec. XVIII in «Ravennatensia» XII,Cesena 1989, p. 148; A. Aimi, L’ospedale dei poveri infermi in Storia di Fidenza, Fidenza 2003, p.126. Sull’origine e l’evoluzione dell’assistenza sanitaria a Fidenza, cfr. gli Atti del Convegno “…Il detto Spedale sia fatto e costrutto” a cura di G. Tonelli e F. Ghisoni, Fidenza, 28 Febbraio 2004 e il relativo Catalogo curato da G. Tonelli  con il contributo di F. Ghisoni, R. Greci, C. Dotti, O. Sidoli dell’omonima mostra, Fidenza 28 Febbraio -29 Marzo 2004. Non meno interessante l’articolo di G. Ponzi, Ospedale: nel mosaico dedicato ai coniugi Cornini-Malpeli c’era anche il vescovo Garimberti che poi venne cancellato in «Il Risveglio», Fidenza, 13 -03-2009, anno 109, n. 10, p. 7. Commissionato, nel 1964, a Carlo Mattioli (1911- 1994) per ricordare gli “storici fondatori” del nosocomio fidentino, il pannello musivo, oggi collocato sulla parete sinistra all’ingresso dell’ ospedale di Vaio, ritrae i coniugi Giuseppe Cornini e Maria Maddalena Malpeli, escludendo, tuttavia, «per espressa volontà del Consiglio d’amministrazione dell’ospedale», la presenza della figura di mons. A. Garimberti che, assieme a quella dei due benefattori laici, faceva parte del primo bozzetto dell’opera, in quanto attuatore ed integratore coi beni della Chiesa fidentina dell’insufficiente lascito Cornini-Malpeli. (Pre)giudizio ideologico del tempo, qualcuno dirà. Può anche darsi. Forse, semplicemente, stultitia hominum che supera ogni tempo. Più rispondente al vero fu, invece, il comportamento dell’amministrazione di Monticelli d’Ongina che volle pubblicamente riconosciuta ed onorata, nel tempo, l’azione di mons. Garimberti: a fronte dell’esiguo lascito testamentario Caprendasca-Lazzi, solo il concorso finanziario del vescovo diocesano rese possibile una struttura «ospitaliera» per i più deboli, oggi, RSA per anziani non autosufficienti.     

[35] R. Tonanii, op.cit, vol. I, fasc. II, caput III, § IIII, epitaphia sacricolarum, ccclxxxxv, p. 277.

[36] Il vescovo, fervente immacolista, commissionò nel 1803 a Biagio Martini, a proprie spese, un quadro con l’Immacolata. Successivamente, nel 1835, mons. Sanvitale, dopo aver ulteriormente arricchita la cappella, che fa mettere a «stucco lucido», provvedendo ad indorare «capitelli, vasi e cornici» (Cfr. A. Aimi- A. Copelli, op. cit. p. 263), ne consacrerà l’altare, come testimonia l’epigrafe commemorativa dell’evento sul lato sinistro della cappella, dove ritorna ancora il nome del venerato predecessore: CELLAM / AB ALEXANDRO GARIMBERTIO PONTEFICE / TABULA BLASII MARTINI PARMENSIS / DECORATAM A MDCCCIII / ALOISIVS SANVITALIVS / ORNATV SPLENDIDIORE / VTI DECESSOR PIENTISSIMVS / NEQVIDQVAM OB ADVERSA TEMPORA OPTARAT / EXCOLVIT / IDEMQVE ALTARE SOLLEMNIBVS CAERIMONIIS / RITE CONSECRAVIT / V KAL OCT A MDCCCXXXV» [ La cappella/ che il vescovo Alessandro Garimberti /fece decorare nell’anno 1803/ con un quadro di Biagio Martini da Parma / impreziosì Luigi Sanvitale/ con ornamento di particolare splendore/ come il predecessore devotissimo/ aveva invano desiderato per l’avversità dei tempi/ e parimenti l’altare  con le solenni cerimonie/ prescritte dal rito consacrò/ il  27 Settembre 1835].

4 commenti:

  1. Grazie Ambrogio e grazie soprattutto al "tavolino parlante" del professor Cremona, che tanto ammiriamo, per questa storia così bella e avvincente.
    anonimus

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  2. beatrice.rebecchi.57@gmail.com25 novembre 2023 alle ore 17:10

    Concordo appieno con il giudizio sopra espresso.

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  3. Appassionante. È un tuffo nella storia della nostra città 200 anni fa. Grazie

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  4. Bravo Fausto, complimenti, sono rimasto affascinato; onore al passato glorioso della nostra Diocesi,
    l'Anonimo di Borgo

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