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giovedì 2 novembre 2023

Madonna Prati, 1828: sotto un cielo tragico, disfatto….

Foto: Maurizio Bertolotti

 

Madonna Prati, 1828: sotto un cielo tragico, disfatto….

                                                                                                                           

Mobilitas fit fulminis et gravis ictus…
(T.L.C)

    «Il tempo s’era andato sempre più rabbuiando e annunziava oramai certa la burrasca. De lampi fitti rompevano l’oscurità cresciuta […] e i tuoni scoppiati con istrepito repentino, scorrevano rumoreggiando dall’una all’altra regione del cielo…». Probabilmente questo dovette essere il tempo che, verso le tre pomeridiane del 14 settembre 1828, opprimeva, in un’immobilità surreale, la campagna livida d’intorno l’oratorio della Madonna dei Prati di Busseto (PR). Ma diversamente da quello descritto dal Manzoni, appena un anno prima, nel finale del suo romanzo, il tempo non s’aprì in una pioggia liberatrice, lasciò invece dietro di sé uno spettacolo di morte che segnò profondamente la gente del luogo, tanto che gli anziani, dopo molti anni, «corrugavano ancora la fronte e si commuovevano fino alle lagrime», nel farne memoria[1].
    Oltre al verbale del Pretore di Busseto, pubblicato dalla Gazzetta di Parma, il racconto della «disgrazia in conseguenza d’un fulmine»[2] caduto sulla chiesa, è affidato ad un’epigrafe latina, su marmo, presso l’altare maggiore del santuario, oggi “crocifisso” dai ponteggi d’un atteso e meritorio restauro:

ALLA PIETOSA E DOLOROSISSIMA MEMORIA
DI PIETRO ORZI, NATO A FIDENZA, ARCIPRETE DI FRESCAROLO,
D’ ANNI 70, MESI 6, GIORNI 21,
DI LUIGI MENEGALLI,
NATO A FIDENZA, ARCIPPRETE DI SEMORIVA,
D’ANNI 50, MESI 4,
DI BARTOLOMEO ORIOLI,
NATO A PRACHIOLA, DIOCESI DI PONTREMOLI,
RETTORE DI SPIGAROLO,
D’ ANNI 45, MESI 8, GIORNI 18,
DI GIACOMO MASINI
NATO A ROCCA SIGILLINA, DIOCESI DI PONTREMOLI,
COADIUTORE DEL PARROCO DELLE RONCOLE,
D’ ANNI 48, MESI 8, GIORNI 23,
DI FRANCESCO ALUSSI
NATO A SANTA CROCE DI ZIBELLO[3], D’ ANNI 36,
( E) DI GAETANO BIANCHI DELLE RONCOLE DI ANNI 22,
SARTI DI PROFESSIONE
I QUALI, IN QUESTA CHIESA, DURANTE LA CELEBRAZIONE VESPERTINA
DELLA FESTA DEL NOME DI MARIA,
FURONO TUTTI COLPITI A MORTE DALLA SCARICA D’UNO STESSO FULMINE,
MENTRE PIETRO MONTANARI, PREVOSTO PARROCO DELLE RONCOLE,
CHE SEDEVA IN MEZZO A LORO RESTO’ INCOLUME.
ERA IL GIORNO 14 SETTEMBRE 1828.
CIASCUNO FU PORTATO A SEPOLTURA NEL PROPRIO LUOGO DI RESIDENZA.
LUIGI , FIGLIO DI ALESSANDRO, DEI CONTI SANVITALE,
VESCOVO DEI FIDENTINI, PATRONO DEL TEMPIO,
PIENO DI CONSIDERAZIONE PER LA SOFFERENZA CAUSATA DALL’EVENTO
E ANIMATO DALLO ZELO D’IMPLORARE LA PACE
PER QUELLI CHE ERANO MORTI,
VOLLE CHE FOSSE POSTO QUESTO MARMO.


    La paternità di quest’epigrafe viene tradizionalmente assegnata, seguendo l’autorità del «libriccino» del can.co Sincero Badini, direttore del Risveglio, «alla penna dell’illustre letterato can.co Pietro Seletti di Busseto»[4]: un modesto «ranuncolo di campo», come lo definisce l’autore, per La Madonna dei prati e il suo Santuario»,[5] pubblicato, nel 1904, in occasione della promozione all’onore di santuario dell’ antico oratorio mariano. E tale notizia, recepita poi anche da Ferruccio Botti (Ferrutius), ha fatto scuola fino ad essere accolta dai lavori più recenti sulla storia del Santuario di Madonna Prati[6].

    In realtà, si tratta d’una notizia senza fondamento poiché il testo latino dell’epigrafe risulta pubblicato da R. TONANII abbatis e sodalitate casinensium, Inscriptiones etc. Vol. I, Fascic. II, Parmae 1831, §IIII, Epitaphia Sacricolarum, CCCCXXXXIII, p. 317, qui a lato riprodotto nella sua impostazione originaria con la breve didascalia introduttiva: In aede Mariae a pratis, prope Buxetum.
    E’ probabile che il Badini, scrivendo quasi ottant’anni dopo il tragico evento del 1828, abbia ritenuto del tutto scontata la ( sua) notizia - riferita, tra l’altro, senza supporto documentale -, soprattutto per il prestigio culturale del canonico bussetano cui era attribuita o magari anche per semplici ragioni di contiguità territoriale tra Madonna Prati e Busseto.

    In realtà, l’autore è l’abate Ramiro Tonani (1759-1833), parmigiano di nobile famiglia, monaco benedettino del monastero di San Giovanni evangelista, amico di Bodoni di cui scrisse l’epitaffio funebre, bibliofilo e collezionista, autorità indiscussa in campo epigrafico: tra la fine del Settecento e il primo trentennio dell’Ottocento non c’era, nel ducato, celebrazione o avvenimento importante per il quale non si ricorresse alla sua penna. Nulla di più ragionevole, dunque, che il vescovo di Fidenza, si affidasse alla competenza del «principe dei latinisti» [7] nonché professore onorario di epigrafia nella ducale università di Parma, per la memoria del casus luctuosissimus che aveva creato particolare turbamento tra i fedeli della sua diocesi e, più in generale, nell’opinione pubblica.
    Disposta su trenta righe in lettere capitali, la composizione latina, conchiusa dallo stemma episcopale, si presenta come una cronaca incorniciata dalla pietas memorativa di mons. Sanvitale: il vescovo, profondamente segnato dal dolore (casus acerbitatem re-putans), prega con fervore (studiosus) per la pace di questi defunti, vittime della sciagurata circostanza.
    Il lampo buferesco che li sorprese in quell’eternità d’istante, guizzando sul coro dal catino dell’abside, fulminò in un colpo solo (uno…ictu)[8] «quattro sacerdoti e due secolari», danneggiando «la grande cornice ad intaglio che circonda il quadro dell’altare maggiore, sulla cima della quale stavvi una gran croce», l’una e l’altra spogliate, «ed in egual proporzione da una parte e dall’altra» della loro doratura[9].
    E se fu risparmiata la vita a don Pier (Paolo) Montanari ( 1799-1865), prevosto parroco delle Roncole[10] (1827-1851) e poi arciprete di S. Margherita –, e a «certo Borreri Luigi»[11], non toccò la stessa sorte agli altri sacerdoti presenti alla funzione. Anzi, la comunità roncolese si sentì colpita due volte: nella figura del suo parroco, rimasto comunque offeso agli arti inferiori, e del suo cappellano, don Giacomo Masini, a proposito del quale tralasciamo volentieri il “fulmine di Verdi”, divenuto una sorta di “mitologhema” che da sempre lo rincorre fastidiosamente nella narrazione verdiana .[12]
    Di questo sacerdote della Lunigiana, vittima dello spaventoso evento, rimase, tuttavia, pubblica memoria, in una breve epigrafe latina, sempre dettata dal Tonani[13] e ai più sconosciuta, che il maestro Verdi ha dovuto, suo malgrado, leggere, tutte le volte che fosse entrato nella chiesa del paese natale:
A GIACOMO MASINI PRESBITERO,
COADIUTORE DEL PARROCO DELLE RONCOLE,
DA ROCCA SIGILLINA DI PONTREMOLI,
DI ANNI 48, MESI 8, GIORNI 23,
CHE, IN QUESTA CHIESA, DURANTE IL CANTO DEI VESPRI,
DALLA VIOLENZA IMPROVVISA D’ UN FULMINE
FU COLPITO A MORTE CON ALTRI 3 SACERDOTI E 2 CIVILI
IL 14 SETTEMBRE 1828
GIOVANNI, AL FRATELLO CARISSIMO,
SUO PREDECESSORE , TRA LE LACRIME, POSE QUESTO MARMO.


    Come si vede, l’epigrafe roncolese, oggi non più in situ, si regge sul medesimo modulo compositivo utilizzato nell’epitaphium commune di Madonna Prati. Può, tuttavia, stupire il sintagma hac in aede, quasi che il tragico evento si sia consumato proprio Ronculis, prope Buxetum come annota l’autore presentando l’epigrafe. In realtà il deittico (hac) trova la sua giustificazione nel fatto che Madonna Prati, oltre ad essere priva di rettore in quell’anno, è, comunque, nel 1828, un semplice oratorio che dipende ancora dalla giurisdizione ecclesiastica roncolese (intra limites huius paroeciae positum), e questo fino al 1926 quando diventerà parrocchia.
    E', dunque, più che comprensibile la “contaminazione spaziale” tra i due edifici sacri, peraltro connotati col medesimo termine aedes: il fulmine che colpisce l’oratorio di Madonna Prati viene, per così dire, percepito come “ferita” anche dalla chiesa di San Michele Arcangelo: una ferita che trafigge un “corpo unico”, tanto più che di questa erano stati colpiti sia il parroco che il curato.
    L’epitaffio roncolese, voluto da don Giovanni, fratello di don Giacomo Masini[14] e, ovviamente, autorizzato dal Vescovo, si configura, pertanto, come una sorta di reduplicazione (su scala ridotta), speculare a quello di Madonna Prati.
    Dopo la «terribile meteora»[15] del 1828, l’oratorio mariano conobbe un progressivo periodo di abbandono, «ridotto a triste stato» sia «per ingiuria del tempo come per cattiveria umana»[16], fino alla fine dell’Ottocento, quando ricominciarono i pellegrinaggi, soprattutto per iniziativa di don A. Chiappari, prevosto delle Roncole ( 1862-1902) cui era stata affidata la cura, come cappellano, del luogo sacro.
In seguito, dietro le insistenze dei fedeli e, grazie all’impegno dei chierici del seminario fidentino[17], mons. Pietro Terroni, vescovo di Fidenza ( 1903-1907), il 23 Aprile 1904, consacrerà e dedicherà il «Tempio», fregiandolo col titolo di Santuario della Madonna dei Prati [18] : disporrà che esso « sia aperto tutti i giorni alla pietà dei fedeli mediante la presenza di un sacerdote», nominato dall’autorità ecclesiastica, «con l’ufficio di celebrare e compiere tutte le mansioni del Sacro Ministero»[19].
    Nel 1914, fu officiata, per volere del vescovo diocesano Leonida Mapelli, su iniziativa del Rettore, don Leto Bocelli, la «solenne decennale commemorazione della riapertura del Santuario»: colla seconda domenica di maggio ebbe inizio il tempo dei pellegrinaggi che durò fino alla seconda di ottobre, mentre il 13 Settembre, giorno di domenica, si svolse la «Festa solennissima del SS. Nome di Maria»: messa pontificale con omelia, vespri pontificali, processione, solenne Te Deum, trina benedizione, parole del vescovo pontificante[20].
    Nel 2024 ricorrerà il 120° anno in cui fu conferito il titolo di Santuario all’oratorio di Madonna Prati, dedicato al Santissimo Nome di Maria[21], e saranno passati quasi due secoli da quel tragico autunno del 1828.
    Ci rendiamo senz’altro conto della complessità del restauro in atto, promosso e accompagnato sempre con dedizione dalla committenza: non vorremmo, tuttavia, che la fine del cantiere fosse il “nessunquando”, come spesso avviene in questo nostro paese, dove perfino vivere sembra diventato un esercizio burocratico.
    Ci piace pensare che il 2024 possa essere l’anno in cui il santuario ch’è “luogo sacro” (sanctus), nato, prima di tutto, dal (con)sensus fidelium, possa essere, finalmente, restituito alla venerazione della pietà popolare, nella memoria della sua storia.
    A questo punto, sarebbe perfino scontato chiudere queste poche righe nel Nome di Maria, cioè ritornando a Manzoni da dove hanno preso inizio: O Vergine, o Signora, o Tuttasanta, / che bei nomi ti serba ogni loquela !/ Più d’un popol superbo esser si vanta /in tua gentil tutela (vv. 37-40).[22]
    Ma più che nella solenne compostezza degli Inni Sacri manzoniani, sentiamo questo nostro tempo meglio rispecchiarsi nell’inquieto disincanto degl’Inni Cristiani di Leopardi[23]:

A MARIA
[…] «E’ vero che siamo tutti malvagi,
ma non ne godiamo.
Siamo tanto infelici.
E’ vero che questa vita e questi mali
sono brevi e nulli,
ma pure noi siam piccoli
e ci riescono lunghissimi ed insopportabili:
Tu che sei già grande e sicura,
abbi pietà di tante miserie ec.».

    E’ solo un “attimo-frammento”, per altro non ancora dischiuso dal guscio della prosa, fatto di disperazione e di speranza: la madre del “dolore” , nel naufragio delle certezze, possa essere “pioggia” di compassione sulle miserie umane[24].

                                                                                          Fausto Cremona       



[1] Cfr. S. Badini, La Madonna dei Prati ed il suo Santuario, Fidenza 1904, p. 28.   

[2] Cfr. Gazzetta di Parma, 20 Settembre 1828, N. 76, «Avvenimenti funesti», p. 304; da qui in avanti solo GP.

[3] L’autore rende il toponimo Santa Croce con l’abbreviatura C (ruce)D( omini)I(Iesus), e cioè Croce del Signore Gesù: frazione del comune di Polesine P. se dal 1814, oggi, del comune di Polesine-Zibello (PR), dopo la fusione, nel 2016, delle due municipalità. La designazione Zibelli ( di Zibello), riportata anche dal verbale del Pretore, riflette, ora come allora, al di là del dato giuridico, una denominazione corrente, essendo il borgo di Santa Croce prossimo a Zibello più che a Polesine.

 [4] Cfr. S. Badini, op. cit., p. 34.

[5] Cfr. S. Badini, op. cit., p. 3 ( Al lettore).

[6] Cfr. ( a cura di) C. CapuzziG. Conti, Il santuario della Madonna dei Prati, Parma 2005, p. 61, già in Ferrutius, Corriere Emiliano, 24 Agosto 1941. Il volumetto Capuzzi-Conti riproduce integralmente sia il «libriccino» di S. Badini sia «l’opuscolo»            ( a c. di M. Cavitelli) 300 anni del Santuario della Madonna dei Prati, Fidenza 1990.

[7] Cfr. GP, 5, 16 Gennaio 1821, p. 18; GP 6, 20 Gennaio 1821. p. 24. Del resto, non era la prima volta che la chiesa borghigiana  si rimetteva alla perizia del Tonani: basterà ricordare, l’epigrafe funebre di mons. A. Garimberti in cattedrale o quella della sua cappella privata, e quelle in memoria dell’abate P. Zani o del prelato F. Tommaso Giovanetti in duomo e in seminario.  Ma l’abate cassinese fu attivo anche  nella collegiata di Busseto e di Pieveottoville, a Zibello e a Monticelli d’Ongina ecc.

[8] Non è casuale né superflua la presenza del numerale latino poiché l’autore vuol enfatizzare il fatto che le vittime all’interno della Chiesa, compresi i due piccoli cani di don Orzi e don Menegalli, furono causate dallo schianto di un solo fulmine, come, del resto, attesta la relazione del Pretore di Busseto il quale, invece, non è certo che così sia avvenuto anche all’esterno del tempio, come, per esempio, nel caso d’una «pulledra» pure rimasta morta,  a circa cinquecento passi dal tempio, «giacchè poco prima erasi sentito lì vicino lo scoppio di un altro fulmine».  

[9]  Cfr. GP, 20 Settembre 1828, ibidem.

[10] Petro Montanario praep(osito) curione. Cosi l’epigrafe su marmo nella chiesa di Madonna Prati come quella cartacea. Nella trascrizione del Badini (op. cit. p. 29) e conseguentemente di C. Capuzzi - C. Conti ( op. cit. p. 72) il sostantivo curione viene omesso. Allo stesso modo, il cognome del sarto di Santa Croce che, nella trascrizione del Badini, diventa alusi, recepito poi da C. Capuzzi-Conti, diverge dalla forma corretta alussii riportato dal marmo e dal documento cartaceo.

[11] GP, 20 Settembre 1828, ibidem.

[12] Non c’è biografia o opuscolo turistico che non vi faccia riferimento. Sarà, invece, più utile ricordare che il 1828 è l’anno in cui Verdi quindicenne scrive una nuova sinfonia per il Barbiere di Siviglia di Rossini che si rappresentava al teatro locale e una cantata per baritono e orchestra sui versi di Alfieri intitolata I deliri di Saul, mentre l’anno dopo diventerà assistente di F. Provesi. Cfr. (a c. di M. Conati) Verdi 2001, Vita e opere narrati ai giovani, Parma 1999, p. 28.

[13] R. Tonanii, op. cit., CCCCXXXXIIII, p. 318.

[14] Don Giacomo Masini, il 15 settembre 1828, dopo i funerali nella Chiesa di Roncole, celebrati dal Rev. don  Luigi Pellinghelli di Soragna, essendo il prevosto Montanari a ciò impedito, fu sepolto nel cimitero degli adulti ( in hoc adultorum coemiterio humatum fuit) della parrocchia roncolese. Cfr. Registro dei defunti in Archivio Par. le di Roncole Verdi.

[15] GP, 20 Settembre 1828, ibidem .

[16]  Cfr. Atto d’intitolazione a  Santuario dell’oratorio di Madonna Prati, Archivio diocesano di Fidenza.

[17]  Dedicatari del suo «libricino» sul Santuario, il can.co  Badini scrive al loro riguardo parole molto lusinghiere: «Se adesso  il tempio  torna al pristino onore è perché i R.R. Chierici del Seminario di Borgo San Donnino,con slancio giovanile e con efficace operosità, fin dal principio del 1900 […] si sono sottomessi per primi a dei sacrifizi pecuniarii, hanno percorso come collettori di elemosine fra le persone devote, in tempo di vacanza, le parrocchie – hanno caldeggiato l’opera in ogni maniera»,  naturalmente sotto la guida dei loro vescovi  G. B. Tescari prima, e P. Terroni poi, motivati da illustri sacerdoti nella storia della diocesi borghigiana: Pier Crisologo Micheli, arciprete della cattedrale, Giacomo Donati, rettore del seminario, Alberto Costa, vicerettore e docente di latino, Ferdinando Allegri, prevosto di Busseto. Cfr. S. Badini, op.cit., p.6; pp.31-32.

[18] Le celebrazioni che accompagnarono l’evento dovettero essere non prive di emozione per il giovane vescovo che, originario di Pontremoli, ritrovava tra le vittime due sacerdoti della sua terra – don Orioli e don Masini -, mentre con la memoria riandava alla parrocchia di Scorcetoli ( MS): qui, giovane prete trentacinquenne, non fu estraneo al fuoco d’un fulmine che gli provocò il «precoce incanutimento» da cui rimase visibilmente segnato per tutta la vita. Cfr. D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina , I, Fidenza MCMLXI, p. 463.

[19] Cfr.  Atto d’intitolazione a Santuario ecc., ibidem.

[20] Cfr. Solenne decennale commemorazione della riapertura del Santuario della Madonna dei Prati in «Il Risveglio», Borgo San Donnino, 9 Maggio 1914, anno XV, N 761, p. 1. Anche la parte profana risulta all’altezza dell’evento: dagli sconti per i viaggi di andata e ritorno «in vettura» ai gruppi di almeno venti persone fino alla ristorazione dei pellegrini:« N.B. – Il sig. Oppici Aristodemo, conduttore del Ristorante del Santuario, avverte che  tiene pronti generi alimentari di prima necessità per i pellegrini; e che si assume, dietro preavviso, di preparare colazioni e banchetti a prezzi convenientissimi», ibidem.

[21] La festa del Santissimo Nome di Maria fu concessa dal Vaticano, nel 1513, ad una diocesi della Spagna, Cuenca. Soppressa da san Pio V, fu ripristinata da Sisto V e poi estesa nel 1671 al Regno di Napoli e a Milano. Il 12 settembre 1683, avendo Giovanni III Sobieski con i suoi Polacchi vinto i Turchi che assediavano Vienna e minacciavano la cristianità, Innocenzo XI, in rendimento di grazie, estese la festa alla Chiesa universale e la fissò alla domenica fra l'Ottava della Natività. Papa Pio X la riportò al 12 settembre. Papa Paolo VI la tolse dal calendario romano, ma inserì nel Messale una Messa votiva in suo onore. Papa Giovanni Paolo II, nella terza edizione del Messale Romano post-conciliare (2002), la fece riapparire come memoria (facoltativa) nella data del 12 settembre.  Secondo il Martirologio romano il significato di questa ricorrenza è quello di rievocare l’ineffabile amore della Madre di Dio verso il suo santissimo Figlio ed è proposta ai fedeli la figura della Madre del Redentore perché sia devotamente invocata.

[22] Il nome di Maria, secondo inno sacro della raccolta manzoniana, fu composto tra 1812 e il 1813.

[23] Abbozzi concepiti nel doloroso corso della crisi del 1819 e mai giunti alla definizione della stesura poetica, eccezion fatta per l’Inno ai Patriarchi, o de’ principi del genere umano, (1822), gli Inni cristiani del Leopardi, il più delle volte ignorati o sconosciuti, si presentano come una serie di titoli-appunti suscettibili di più ampio sviluppo poetico. Tra di essi vanno, senz’altro, ricordati l’Inno al Redentore e l’Inno a Maria . Cfr. Caterina Dominici, Gli inni cristiani di Giacomo Leopardi, Padova 1991, in particolare, pp. 42-117. Il testo originario, allineato in forma orizzontale, è qui riprodotto in verticale, come pure  nostro è il carattere corsivo delle righe finali.

[24] L’esegesi del nome Maria, di etimologia incerta, è stata ricondotta a diverse interpretazioni, le più note delle quali, rimandano, oltreché all’idea di «amore di Dio», a quella  di «amarezza», di « pioggia stagionale»,  di «maestra e signora del mare», di «illuminatrice, stella del mare», di «altezza»…

2 commenti:

  1. Sempre molto interessanti le tue profonde ricerche che ci aprono nuovi orizzonti.grazie

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  2. Grazie Fausto, dell'esauriente ricerca storica, ho una particolare devozione per il Santuario di Madonna Prati, da quando abitavo a Consolatico Inferiore, per l'educazione di mia madre che mi accompagnava sul manubrio della Bicicletta per una visita con recita del Santo Rosario,

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