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venerdì 29 dicembre 2023

Doveroso ricordo di Don Amos Aimi nel decennale della scomparsa.


Don Amos ci ha lasciati dieci anni fa, il 30 dicembre 2013, ma continua a vivere nel cuore di molti che lo hanno conosciuto – ricordando la sua figura di premuroso sacerdote e appassionato studioso – anche nel mio.

Mi ha fatto molto piacere sentire il prof. Claudio Saporetti, studioso illustre di eccellenza nazionale, in un suo raro ritorno a Fidenza l’8 novembre scorso per una conferenza su una formella della Cattedrale, citare con affetto e stima Don Amos e quella grande amicizia che li univa, con un ricordo indelebile dei pomeriggi trascorsi insieme a scambiarsi opinioni sulla comprensione e decifrazione dei rilievi scolpiti sulla nostra singolare architettura sacra, senza peraltro trovare un accordo e una condivisione, ma nel rispetto reciproco (ognuno vede quello che conosce, che sente, e che porta nel cuore), e conservando addirittura alcuni appunti di quelle interpretazioni in foglietti che ha portato con sé...!

Ancora più recentemente il dott. Ambrogio Ponzi, in questo suo Blog, gli ha reso omaggio ricordando la sua appassionata petizione all’allora Sindaco di Fidenza, Cerri, nel 2005, per il restauro e il recupero dal forte degrado della Cappella nel Duomo dedicata a Sant’Andrea Avellino, compatrono della Città, di proprietà comunale, con una documentazione magistrale, esempio significativo del suo straordinario amore per il patrimonio storico, monumentale e artistico locale.

Ho chiesto alla sorella Roberta di raccontarmi un po’ della sua vita...

Amos è nato a Roncole Verdi il 5 maggio 1934, nel giorno del compleanno del padre Angelo (coincidenza accolta come buon auspicio), primogenito, cui sono seguite due sorelle gemelle. La mamma voleva chiamarlo Roberto, come il nonno paterno, ma è stato proprio il papà ad insistere per dargli nome Amos, in ricordo di un suo caro amico morto nella Prima guerra mondiale.
Angelo era un contadino povero, di famiglia numerosa originaria di Busseto sempre rimasta unita - come usava un tempo - che diventa mezzadro, con tre mucche, a Roncole. Si trasferisce, poi, insieme ai genitori e ai fratelli a Pieveottoville, nello stesso anno, per San Martino, nel podere parrocchiale più grande e con più animali. La madre, Linda Filippini, era pure contadina, di famiglia originaria di Carzeto di Soragna.

Amos ha frequentato le Scuole elementari a Pieve, e già da piccolino si portava spesso nella chiesa del paese, e, finita la Messa, si fermava a pregare, quasi rapito davanti alla cappella che riproduce la grotta di Lourdes con la Madonna e Bernardette.
Forse lì è nata la sua vocazione.

Era un bambino vivace, ma sempre molto ubbidiente. Bravissimo a giocare a pallone: appena poteva, andava nel campo sportivo locale con il cugino Romano, coetaneo e i ragazzi del paese; non aveva però molta simpatia per i cani, perché era stato morso nell’aia di casa.
La sorella Roberta nata con Luisa sette anni dopo, era molto più discola, camminava già a nove mesi e in quel tempo ne combina una delle sue quando, trovato in terra lo zoccolo che si era tolto la mamma, lo prende, e con tutta la forza che ha, lo tira in testa ad Amos. Purtroppo questo aveva anche un chiodo sporgente che provoca una brutta ferita al Nostro, chiusa con tre punti... e “mai dimenticata”, come riferiva, sorridendo, nei suoi racconti!

Quando decide di intraprendere la Scuola del Seminario, il padre è molto contento, aveva desiderato anche lui frequentarla per avere un titolo di studio, ma non era stato accolto perché la famiglia non aveva soldi.

All’età di 11 anni, quando il padre muore, lui è già allievo del Seminario, ma non nello storico edificio ubicato di fianco al Duomo, bombardato l’anno prima, ma a Campolasso, la villeggiatura estiva del Seminario Vescovile fidentino, sulle prime colline di Tabiano, dov’era stato trasferito l’insegnamento.
Un paio d’anni dopo si ammala gravemente di tifo e rischia la vita. In ospedale la suora gli suggerisce di prepararsi a morire e ad andare con gli angeli (questo lo ricorderà sempre), ma la mamma, saputo ciò, lo dice al medico di famiglia, il Dott. Corbellini, che lo fa portare a casa, e prestandogli molte e assidue cure, dopo lunga convalescenza riesce a guarirlo.

Il ricordo di un avvenimento funesto accaduto un’estate quando aveva sedici anni rimane nel cuore di Don Amos per tutta la vita: un giorno con il cugino e altri ragazzi accompagna al Po per andare a nuotare, il ‘mutino’, il suo più grande amico, che si esprimeva solo a gesti perché sordomuto. Questi, però, non vuole entrare in acqua, rimane in piedi sulla spiaggia ad aspettare i compagni. Quando essi risalgono, l’amico non c’è più... drammaticamente risucchiato da un vortice sotto la sabbia, come solo il Grande Fiume sa fare. Non è stato più trovato. Un dolore grande che il sacerdote, in età matura, tradurrà anche in una delle sue poesie.

Dopo la morte del padre, uno degli zii, Gino, che aveva pure un figlio, Aldo, in Seminario, per diversi anni sostiene la spesa della retta per tutti e due, ma quando Roberta compie dodici anni le fa capire che deve darsi da fare per suo fratello con un lavoro fuori, non basta il suo impegno in campagna, perché lui, che ha altri due figli, Anna e Romano, ed è vedovo, non riesce più a pagare, e ha intenzione di lasciarlo a casa.

Anche allora, come oggi, con la terra si viveva a fatica...
Tutti i componenti della grande famiglia erano infatti impegnati nel podere, anche i piccoli contribuivano accompagnando gli animali nei campi per svolgere i vari lavori. Roberta, insieme ai cugini più grandi, già a cinque anni stava davanti ai buoi che tiravano l’aratro.

La sorella Luisa, invece, più fragile e cagionevole di salute, causa la sofferenza avuta durante la nascita che la segna per la vita (la madre, in ospedale a Parma, era stata lasciata sola in sala parto dai medici scappati per paura dei bombardamenti al rombo degli aerei), si dedicava a piccoli lavori domestici.

Roberta riesce a farsi assumere nella Fabbrica del tabacco di Pieveottoville e con il suo piccolo stipendio Amos può finire gli studi. Frequenta gli ultimi due anni nel Seminario Nuovo di Via Palestro a Fidenza.

Mamma Linda, prima della sua ordinazione, visto che molti studiavano in Seminario, ma pochi diventavano preti, per capire se la sua era vera vocazione, lo manda a San Giovanni Rotondo a chiedere lumi a Padre Pio, il frate cappuccino che aveva fama di veggente. Amos parte in treno, viaggia tutta la notte e, al mattino presto, si mette in fila con tanta gente per incontrarlo. Essendo vestito da novizio, lo fanno passare avanti e così, d’un tratto, si trova, timoroso come non mai, davanti a lui.
“Oh guagliò chevvuoi?”,

“Mia madre mi ha mandato per chiederle se io...”.
Padre Pio si mette a ridere. Poi gli dice: “Si, sacerdote si, ma missionario...”.

E in confessione - e questo l’ha raccontato anche a me - gli fa vivere un momento straordinario con la visione del Paradiso, un luogo immenso con una luce splendida, indescrivibile – mi aveva accennato all’ingresso del Louvre - in un attimo di sogno (come se si fosse addormentato).

Don Amos è stato ordinato sacerdote il 14 luglio del 1957 nel Duomo di Fidenza dal Vescovo Paolo Rota.

Don Amos, con il Vescovo Rota, a destra. 

Il ricordo della sua Prima Messa a Pieveottoville è indelebile nel cuore di Roberta: una cerimonia bellissima in chiesa e il pranzo in canonica con tutti i parenti.

Don Amos, Prima Messa a Pieveottoville.

Ha il suo primo incarico come curato a Roncole Verdi, dove stava un parroco vecchio e malandato. La strada era lunga per andare avanti e indietro in bicicletta, per cui la mamma gli compera un motorino ‘Motom’ e due maglie nuove.

Rimane fino al 1960, abitando in canonica, ma porta a casa i panni da lavare, e qui si prende quei due sonori ceffoni di cui ho già scritto tempo fa: l’incontro con Padre Dagnino, francescano, che finita la guerra girava per le parrocchie della provincia in cerca di vestiario e aiuti per i poveracci disperati che vivevano nei ‘capannoni’ a Parma, l’aveva convinto a donare le uniche due belle maglie che la mamma aveva comperato con tanti sacrifici. Non avendo altro.

E quel “Non te ne sei ancora accorto che i poveri siamo noi!”, urlato, non è servito da lezione nella sua vita, rimasta sempre intrisa di grande generosità e altruismo.
So di giacche e scarpe che gli hanno comprato senza mai vedergliele addosso...

A lui piaceva molto stare a Roncole, è sempre stato fiero di essere nato nella patria di Giuseppe Verdi, e avrebbe voluto rimanere lì tutta la vita.

Don Amos, curato a Roncole Verdi.

Nel 1961, come parroco più giovane della Diocesi, è mandato invece a San Giovanni in Contignaco (Piè di Via). Il luogo era molto lontano da Pieveottoville, per cui lo seguono la mamma, le sorelle e una zia paterna non sposata, Marina.
Roberta, l’anno dopo, viene assunta nella Ditta SGM di Parola di Fidenza (che produceva tubetti di metallo), sobbarcandosi ogni giorno diciassette chilometri in motorino per andare e venire, anche in inverno, con nebbia, pioggia o neve, allora copiosa... sempre orgogliosa, però, di contribuire al sostentamento della famiglia e di aiutare il fratello che riteneva molto dotato.

La parrocchiale del paese, una delle più antiche della zona insieme a quella di San Nicomede, aveva la cella campanaria tutta affrescata in stato di degrado. Don Amos, da sempre amante dell’arte, interpella con entusiasmo il prof. Pasqui della Soprintendenza di Bologna e in quattro anni riesce a far staccare tutti i dipinti e farli collocare in chiesa, con il contributo della Regione.

In quel periodo, per le insistenze di Roberta che lo desiderava laureato per valorizzare la sua vocazione e perché insegnasse nelle Scuole pubbliche con uno stipendio (faceva già lezione in Seminario a Fidenza, dove arrivava in Vespa, ma non era pagato), si iscrive a Teologia, all’Università del Seminario Arcivescovile di Milano di Venegono Inferiore (Varese), dove andava in treno. Dopo due anni di frequenza attiva ed entusiasta, improvvisamente decide di smettere, con grande disappunto della sorella, per fare il Corso da Archivista che durava solo un anno. Il motivo? Andare a Teologia perdeva troppo tempo e non poteva fare il doposcuola ai bambini della parrocchia, cui teneva tanto!

Nel 1964 muore Mons. Costa e si libera la parrocchia di Fornio, più vicina a Fidenza; chiedono a Don Amos se vuole accettare, lui tentenna: gli piaceva molto stare a Piè di Via, ma accetta, pensando al sacrificio quotidiano di Roberta.
Continua ad insegnare in Seminario greco e latino, e l’anno dopo si trova anche un lavoro in fabbrica, nella Ditta Ferri che produceva colle, in località Rimale sulla Via Emilia (perderà pure la falange di un dito per infortunio). Si impegna così al mattino per due anni, perché desidera incrementare le poche entrate, dimostrare che si può fare il parroco lavorando, capire le condizioni degli operai, lui che, frequentando l’Istituto ecclesiastico, è rimasto lontano dalla fatica dei famigliari nei campi. Può, in questo modo, anche acquistare qualche quadro, la sua grande passione, a rate; o realizzare qualche suo desiderio, come il viaggio a Parigi, a sue spese, per cercare documenti su... Borgo San Donnino (ecco perché mi aveva chiesto se avevo visto il Louvre!).

Si dedica pure al settimanale diocesano “il Risveglio”.
Oltre alla parrocchia di Fornio, dove, grazie a lui nasce anche un Circolo Folcloristico Sportivo, segue quella di Rimale,

Conosce Oreste Emanuelli (O. Elli) quando gli muore la moglie, perché voleva seppellirla nel cimitero di Fornio. Nasce un’amicizia, e il pittore comincia a portarsi da quelle parti per dipingere. Un giorno Don Amos avvisa Roberta che nel pomeriggio arriva Emanuelli: di aprirgli la canonica. Quando lei sente il campanello, corre ad aprire, ma vede un uomo così macilento che scambia per un barbone in cerca di qualcosa da mangiare, e sta per chiedere “Ha bisogno...”, solo allora vede spuntare il cavalletto:
“Aah, lei è il pittore?!”, “Si, mi posso mettere qui?”

Quel giorno dipinge il cimitero di Fornio, non il nuovo dove riposava la moglie, ma il vecchio. Ritornerà poi tante volte anche con le sue allieve, Maria Fontana e Domenica Rossi, e con il suo amico Rino Sgavetta.
Roberta che desiderava tanto avere un ritratto, non viene accontentata: O. Elli voleva ritrarre la mamma e la sorella Luisa perché avevano bellissimi capelli mossi, che a lui piacevano tanto, ma loro non hanno voluto.
Più avanti nel tempo ritrarrà invece i nipoti Pietro e Angela.

Pure il pittore Ettore Ponzi con la moglie Albertina Vajenti era spesso ospite in canonica a Fornio, in momenti di convivialità. Roberta li ricorda molto bene: “Guai per Don Amos!”.

In tanti, pittori, studenti, studiosi, sono accolti nella casa della frazione fidentina: lo scultore Alberto Allegri, con cui collaborerà per i restauri in Città, con una frequentazione molto assidua di grande e reciproca stima; il pittore Mario Alfieri che ha illustrato le sue poesie nei Quaderni Fidentini, collana dove il sacerdote ha pure scritto molto; il prof. Mino Ponzi, Presidente di ‘Italia Nostra’, associazione in cui il Don Amos era iscritto da quando stava a Piè di Via, e altri...

Nel 1965 celebra il matrimonio della sorella Roberta con Carlo, nella chiesa di Fornio.
Con l’aiuto del nucleo famigliare rimasto, la madre, la sorella Luisa cui era stata riconosciuta la patologia e la zia, compera la prima macchina, una Innocenti bianca, piccolina, la ‘bianchina’, per fare attività parrocchiale con i bambini. Con quella li va a prendere nelle campagne e li porta in giro: in canonica per la dottrina, a Messa a fare da chierichetti, a benedire le case, anche al mare. E sempre con quella porta i libri e i documenti al Centro di Restauro della Soprintendenza a Palazzo Pitti in Firenze.

Comincia infatti il riordinamento dell’Archivio della Diocesi che si era salvato dai bombardamenti del Vecchio Seminario, stipato in cantine.
Immerso nel fare sacerdotale, e pure proiettato verso ogni forma d’arte, architettura, scultura, pittura - uno dei suoi desideri era che tutti i pittori del territorio fossero conosciuti e rivalutati, ad esempio – musica (suonava un po’ il pianoforte), poesia: nel ‘68 con ‘Italia Nostra’ promuove il restauro della chiesa di San Faustino in Fidenza – a lato della Via Emilia, periferia ovest - convinto di poter poi celebrarvi la Messa.

Anni dopo, sempre con lo stesso sodalizio, nel restauro della chiesa di San Giorgio, ubicata nel centro storico della Città, grazie a una sua intuizione viene scoperto sotto l’intonaco il bellissimo affresco del santo cavaliere, che verrà poi strappato e collocato in Duomo. Rimane la sinopia in loco.

Tra gli studiosi conosce il prof. Aldo Copelli con cui collabora alla stesura della voluminosa ‘Storia di Fidenza’.

Nel 1979 muore la madre Linda, la colonna della casa, e la sorella Luisa si aggrava.
Nell’ ‘85, con l’eredità materna, il contributo delle sorelle, e un mutuo, Don Amos riesce ad acquistare un appartamento a Fidenza, in Piazza Gioberti.
Nello stesso anno in aggiunta alle parrocchie di Fornio e Rimale, gli viene chiesto di celebrare Messa anche Bastelli dove manca il prete.
L’anno dopo altro dolore si aggiunge alla vita del sacerdote con la perdita di Luisa.

Il Vicario generale della Diocesi Mons. Aldo Aimi, suo cugino, per un periodo di due mesi, lo manda in missione in Venezuela. Torna molto rinfrancato dall’esperienza.
Nell’agosto ’87 il Vescovo Mario Zanchin gli affida definitivamente la parrocchia di Bastelli, la cui chiesa è intitolata a ‘Sant’Anna madre di Maria SS’.

Don Amos, Festa di Sant'Anna, Bastelli, 2009

Lui si è sempre dato da fare per le parrocchie piccole, perché diceva che sarebbero diventate come un deserto se non avessero avuto un prete a prendersi cura di loro.
Ricordo la volta in cui mi ha detto che ai primi tempi a Bastelli diceva Messa per qualche persona solamente...

Coinvolge con il suo entusiasmo gli abitanti della frazione: nasce il Circolo Ricreativo locale, civile, importante, si per la Festa annuale del 26 luglio, ma non solo.
Cominciano a fiorire le sue idee: una Corale, il Presepe Vivente (il primo Gesù Bambino è stato un mio alunno!), la Passione Vivente.
Organizza processioni nelle varie feste dei Santi, attirando fedeli, soprattutto i piccoli, che, crescendo, si impegnano poi nella comunità, come Savino che lo accompagna nelle diverse attività parrocchiali e nei momenti organizzativi della Festa di Sant’Anna, con pesca di beneficienza e altro...

Con l’impegno di tutti i parrocchiani prendono vita varie iniziative e si comincia a ristrutturare e abbellire il luogo: la parte abitativa adiacente la chiesa, tutta la canonica (sopra cui si faceva dottrina), il sagrato che non c’era; viene sistemato il campo di calcio, fatti gli spogliatoi (si giocheranno qui tornei di calcio), e tanto altro.

Più avanti nel tempo Don Amos fa erigere in fondo al prato la stele dedicata alla Madonna, alla quale accompagna i fedeli - invitandoli come lui a camminare a piedi nudi sull’erba per cogliere energia salutare dal respiro della terra - per recitare le preghiere di guarigione. Lui insegnava anche questo. E lo ricordo.

I pittori che frequentavano la canonica di Fornio, lo seguono a Bastelli, e lì ricevono incarichi per dipingere la chiesa: Mario Alfieri decora i sottarchi...
Vari altri artisti si aggiungono: Elisabetta Levati, affresca ‘Sant’Anna’ nella calotta absidale, la ‘Natività’ nella parete destra, con i ritratti dei bimbi della frazione, e alcuni ovati con ‘Santi’. Sabina Belli e Ivan Da Palov (?) realizzano ‘L’Ultima Cena’ alla sinistra dell’altare (dov’è ritratto il padre di Don Amos, Angelo). Simone Ponzi dipinge la ‘Crocifissione’ sul lato opposto (questa doveva essere nella prima campata sinistra, ma togliendo l’intonaco per preparare il fondo è emerso il ‘Battesimo di Gesù’ di O. Elli, coperto da tempo perché eseguito da un comunista) ...

Rino Sgavetta dona una scultura di legno. Lorenza Cavalli dipingerà per Don Amos un quadro con la ‘Madonna Gratiae’ e glielo porterà, quando lui era già molto malato. Il sacerdote lo tiene per diversi giorni ai piedi del letto, poi, sentendosi alla fine, lo destina alla chiesa a lui più cara, quella di Bastelli: ora è collocato in una teca sotto il porticato attiguo al lato sinistro della facciata.

Don Amos ha risollevato e valorizzato veramente tanto la Festa di Sant’Anna della frazione, ma il suo più grande desiderio era di erigere la chiesa a Santuario dei Nonni di Gesù, Anna e Gioacchino...
Affermava in confidenza: “Cambi parrocchia, cambi dispiaceri”.

Ricordo che me l’aveva detto con una valenza delicata e sensibile che accompagna il nostro vivere, non solo di ambito religioso...
Era un piacere conversare con lui.

Nel suo piccolo con le sue doti, anche se non si era laureato, ha potuto ricercare, indagare e lasciare conoscenza con le sue molte pubblicazioni, incoraggiando, nel contempo, gli artisti, gli studiosi e gli scrittori che incontrava, a fare altrettanto.
Persone che spesso ospitava nel suo appartamento di Piazza Gioberti come la pittrice Jiannina Veit Teuten, la studiosa Yoshie Kojima, l’archivista Angela Leandri...

Ricordo le belle parole spese per la scrittrice Miriam Scotti nel discorso fatto in Municipio a Fidenza il giorno in cui ha ricevuto la Cittadinanza Onoraria. In quell’occasione i componenti del Circolo di Fornio hanno pubblicato sul loro sito questo bel commento:
“Tutti noi del Circolo di Fornio condividiamo con gioia il conferimento di questa onorificenza a un parroco che è rimasto nel cuore di molti nel nostro paese. È anche grazie a Don Amos che oggi esiste la nostra associazione. È grazie a lui che tanti di noi sono cresciuti vicini alla chiesa, perché con la sua semplicità, la sua estrema umiltà e il suo amore per la cultura e per il prossimo, ci ha trasmesso, quando ancora eravamo ragazzini, quelli che sono i veri valori del vivere insieme. E rimpiangiamo anche i tempi nei quali ogni piccolo paese di campagna aveva un parroco e le porte di ogni chiesa erano sempre aperte”.
Negli ultimi anni, per carenza di sacerdoti, anche se aveva problemi di salute, gli hanno affidato pure la parrocchia di Chiusa. Lì ho potuto ascoltarlo nelle sue ultime omelie, brevi e intense, e vederlo per l’ultima volta. Ancora mi aveva incoraggiato a proseguire nel lavoro di ricerca sull’abate Pietro Zani, dispiaciuto di non avermi potuto aiutare.

Andava e veniva con tanta fatica da Parma accompagnato dalla nipote Angela e dai componenti della famiglia di Carla Bardiani Scotti, famiglia dove era ospite, che lui aveva soccorso e aiutato nel corso degli anni, e che ora, con la cura offertagli nella malattia ricambiava il sostegno ricevuto, gli dava la possibilità di essere vicino all’ospedale per le terapie e di poter mantenere e seguire il Gruppo di preghiera molto numeroso in Città.

Con rammarico, talvolta, diceva sconsolato di aver sbagliato tutto nella vita, perché doveva fare il missionario, come gli aveva suggerito Padre Pio; ma chi gli stava vicino e gli voleva bene lo rassicurava: la sua missione infatti è avvenuta qui, nella nostra terra.

In molti ricordano con affetto la sua figura minuta aggirarsi con la valigetta per le Vie di Borgo...
Rimane un giusto riconoscimento al suo impegno culturale di uomo di fede l’importante “Premio Don Amos” istituito dal Comune di Fidenza:
“Il premio è in memoria di Don Amos Aimi, archivista della curia vescovile, bibliotecario del seminario vescovile, canonico penitenziere della Cattedrale, parroco di Bastelli, amministratore parrocchiale di Chiusa Ferranda, studioso appassionato e instancabile della Storia di Fidenza come testimoniano i saggi da lui scritti e curati”.
Ho scritto diverse volte su di lui, esprimendo umilmente la mia gratitudine per quanto ho ricevuto incontrandolo nella mia vita, come sacerdote e come studioso...
Ora ho chiesto alla Dott.ssa Angela Leandri, responsabile dell’Archivio Storico di Colorno (PR) e alla Prof.ssa Yoshie Kojima dell’Università Waseda di Tokyo (Giappone), che hanno collaborato con lui, un ricordo personale.

Angela Leandri:
Don Amos portava nel cuore la sua terra. Era di Roncole. Egli teneva a ricordarlo. Amava le proprie radici, la memoria della propria terra, la sua gente. Mi trasmetteva grande entusiasmo. Per me parlare di lui significa innanzi tutto rifarmi all’esperienza del libro Giuseppe Verdi il nipote dell’oste scritto a quattro mani.
Quando conobbi d. Amos, all’inizio degli anni Novanta, stavo collaborando con la Sovrintendenza di Parma alla schedatura degli oggetti d'arte custoditi nelle chiese della Bassa. Non era molto che mi ero laureata all’Università di Bologna con una tesi di Storia dell’Arte, per la quale avevo speso mesi di ricerca negli archivi, scoprendo così questo mondo e la mia passione per le vecchie carte.
All’epoca tenevo a racimolare competenze per lavorare, ma desideravo anche continuare a studiare, fare ricerca nel campo della storia dell’arte.
Il lavoro per la Sovrintendenza mi dava senz’altro l’opportunità di condurre indagini negli archivi sulle opere d’arte delle nostre chiese.
Ricavavo spesso notizie inedite relative ad opere e personaggi della nostra terra, che mi affascinavano. Il contatto con le testimonianze dirette del passato mi suscitava una grande passione per la storia locale, facendo nascere in me l’esigenza di farla conoscere e quindi di impegnarmi per una pubblicazione.
Incontrai così Don Amos a Fidenza durante una mia visita all'archivio della Curia.
Cogliendo la mia inclinazione, mi propose di collaborare per un libro che studiasse la Casa natale di Verdi, per liberarlo da un senso di colpa verso il Maestro e il suo paese natale, e io accettai.
D. Amos veniva spesso da me, a Pieve, e io andavo da lui a Fidenza, a casa sua, in piazza Gioberti. Passavamo ore, interi pomeriggi a ragionare. Poi lui mi scriveva, mi spronava a ricercare. E io trovavo gli inediti e lui ne era felice … e io ero felice di renderlo felice.
Come quando ritrovai l'inedito della bocciatura di Verdi al ginnasio. Quando lo seppe, stentando a crederla vera, mi espresse tutto il suo entusiasmo.
Era una notizia inaudita, che andò ad arricchire il nostro libro, poi pubblicato nel 1998, ma la ricerca su Verdi continuò.
Ritrovai perciò, nel 2001, alla Palatina, un inedito manoscritto giovanile del Maestro del 1829.
Ne parlai in un articolo sulla Gazzetta di Parma, dopo avere condiviso la scoperta con Don Amos.
Funzionò da incentivo per una ulteriore indagine, esprimendo egli l'idea che potesse trattarsi di un’esercitazione scolastica in vista dell’esame per il certificato di frequenza di Retorica, che completava il curriculum di studi bussetani del giovane Verdi.
Approfondii e ricavai parecchio materiale. Egli allora m'incoraggiò a comporlo in un testo per farlo conoscere. Formulai così un progetto.
Nel corso del tempo ho potuto rendere alla stampa alcuni articoli, frutto di quel lavoro.
L'ultimo, dal titolo Giuseppe Verdi studente di Belle Lettere, apparso nel dicembre dell'anno scorso sulla Strenna Piacentina, tratta di Verdi studente al ginnasio, chiarendo che il grande musicista non terminò la scuola nel 1826 in seguito alla nota bocciatura, ma nel 1829, compiendo quindi l'intero ciclo ginnasiale e così frequentando anche l'ultima scuola di Belle Lettere, sotto due insegnanti piacentini, Carlo Curotti e don Giacinto Volpini.
Come si è capito quel progetto mi accompagna e mi sprona tuttora. Lo ritengo un dono di d. Amos. Grazie Don Amos.
D. Amos è stata per me una persona speciale. Mi ha profondamente segnato.
Angela Leandri
Yoshie Kojima:
Viaggio oltre la nebbia – ricordi di Don Amos

Nel corso delle ricerche per la mia tesi di dottorato sulla Cattedrale di Fidenza, che ho presentato in Italia ormai diversi anni fa, Don Amos mi ha aiutato e incoraggiato davvero grandemente, trasmettendomi il suo infinito amore per Fidenza, ovvero Borgo San Donnino. È grazie a Don Amos che io, cittadina giapponese, ho ricevuto il meraviglioso onore di essere cittadina onoraria fidentina. Non so come esprimere il mio profondo affetto e apprezzamento per lui, e non so da dove cominciare a scrivere. Annoterò qui uno dei miei numerosi ricordi, sempre molto cari, che riguarda la nebbia, sperando di poter avere un’altra opportunità di scrivere in questo Blog. Ancora oggi, nel momento in cui arrivo a Fidenza, mi sembra di tornare da Don Amos, in particolare se trovo la stazione ferroviaria avvolta dalla nebbia.
Quando stavo in Italia, ho fatto molti viaggi di andata e ritorno tra Pisa, dove studiavo all'epoca, e Fidenza. Il treno interregionale percorreva un breve tratto verso nord lungo il mare Tirreno prima di svoltare verso l'interno, da Sarzana attraversava gli Appennini e scendeva verso la pianura padana. Di solito prendevo il convoglio che partiva da Pisa alle 6.08 di mattina. Questo viaggio ferroviario di tre ore era speciale per me sotto molti aspetti. L'aria, la vegetazione e la lingua cambiano radicalmente dopo il passaggio dell'Appennino. Una volta superato il valico, le voci emiliane, dolcemente sussurrate e in tono basso, come quella di Don Amos, cominciavano a sentirsi.
In inverno, una fitta nebbia avvolgeva il treno appena entrava in pianura, e con essa anche i suoni diventavano ovattati. Quando scendevo a Fidenza, il parlare delle persone e il fischio del treno mi sembravano provenire da un luogo molto lontano. Poi all'improvviso appariva Don Amos dalla nebbia bianca, accogliendomi sorridendo calorosamente, come se mi riportasse in un'altra patria.
Per me era un viaggio tra sogno e realtà. Mentre a Pisa facevo la solita vita da studentessa, stando in un collegio studentesco e frequentando l'Università, la biblioteca e a volte facendo festa con gli amici, a Fidenza potevo esplorare la storia di questa cittadina molto bella ma anche molto travagliata, e della sua sorprendente Cattedrale. Di solito dormivo a casa di Don Amos in piazza Gioberti. La sera, condividevo la cena con lui e molte volte anche con altri fidentini che parlavano con accento dolce. Il loro profondo attaccamento alla Cattedrale mi ha sempre fatto sentire impotente, come se la mia stessa ricerca fosse un'impresa immane, ma i toni gentili e i sorrisi caldissimi di Don Amos sembravano placare tutto questo.
Ora, stando in Giappone, tutti i ricordi di Don Amos e di Fidenza con la nebbia, mi sembrano un sogno, un'altra realtà, dove, se potessi, vorrei ritornare in questo momento, per riviverli, e incontrarlo ancora.
Yoshie Kojima

17.09.2013 Don Amos Cittadino Onorario di Fidenza con la
sorella Roberta e la nipote Angela.

Ringrazio la sorella di Don Amos, Roberta, e la nipote Angela per la paziente disponibilità.
Ringrazio altresì Angela e Yoshie, per il proprio affettuoso ricordo.

Una Santa Messa sarà celebrata in suffragio di Don Amos Aimi sabato 30 giorno dell’anniversario, nella Chiesa di San Pietro Apostolo in Fidenza, alle h. 17.

Fidenza 28.12.23                                                                  Mirella Capretti

1 commento:

  1. Cara Mirella, un grazie di cuore per questo esaustivo articolo, doveroso nei confronti di don Amos, persona schiva ed umile, ma grande nostro concittadino, che tanto merita.

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