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giovedì 18 luglio 2024

19-20 Luglio 1944 - La tragedia di Sidolo, frazione di Bardi

 

19 e 20 luglio 1944, l'Operazione Wallenstein e i martiri della Val Taro


Ottant'anni  fa, nel mese di luglio, nelle valli dell'appennino si scatenò la furia nazi-fascista più crudele. Obiettivo dell'Operazione Wallenstein era quello di "ripulire" il territorio a nord dei passi appeninici. 
La presenza di forze partigiane avrebbe infatti potuto indebolire la linea difensiva nazista nell'imminente "resa dei conti militare" con le forze alleate avanzanti dal sud.   
La mobilità tattica adottata dalle formazioni partigiane rese inutile militarmente l'operazione, ma la popolazione civile fu investita dalla terribile, quanto inutile, ritorsione.
Cereseto, Sidolo, Strela, Compiano, e poi ancora altri luoghi, altre sofferenze. 
In quei momenti, per scelta o per caso, valligiano o prete, si è tutti eroi!
A. P.

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20 LUGLIO 1944
LA TRAGEDIA Dl SIDOLO

Contemporaneamente alle vicende di Cereseto, lo stesso giorno 20 luglio, si svolgevano quelle di Sidolo, frazione del comune di Bardi, di 200 abitanti circa, situata al fianco destro del Toncino, sul costone che dal Pelpi si allontana verso il Noveglia tra un folto continuo castagneto.

La narrazione è fatta sulla scorta di testimonianze veritiere di persone che assistettero alle scene svoltesi.

Una colonna nazifascista, dopo aver stampate orme sanguigne su Strela e dintorni, piombava sul paesetto alle ore 8 del mattino di quello stesso giorno.
Anche qui gli uomini si erano dati alla macchia per paura dei tedeschi. Rimanevano in paese alcuni vecchi, le donne e i bambini, e in Canonica due Sacerdoti e un Chierico: l'Arciprete Don Giuseppe Beotti, il Prevosto di Porcigatone Don Francesco Delnevo, sfuggito al rastrellamento della propria Parrocchia e qui rifugiatosi la sera avanti, e Italo Subacchi, bardigiano, alunno del Seminario di Parma e amico di Don Giuseppe presso il quale si era ritirato per un periodo di vacanze. La sera prima questi si erano accordati di affrontare il pericolo Imminente.
Don Giuseppe aveva appena terminata la Messa, quando fu sorpreso, in Chiesa, dal Comandante tedesco che gli chiese se vi fossero banditi. Alla risposta negativa, i tre Preti furono fermati, condotti fuori di Canonica e sorvegliati da due mitragliatrici. Nel frattempo, il comandante e alcuni soldati compivano la perlustrazione della casa, finita la quale, senza aver trovato ombra di sospetti, vennero perquisite le persone sacre.

Don Giuseppe, con il suo naturale buon umore, levando di tasca un temperino, rivolto ai visitatori molesti, rispose: «Ecco tutte le mie armi!».
I tre furono rilasciati completamente liberi e i tedeschi, fattisi servire una buona colazione, salirono in paese.
L'ufficiale aveva espresso la sua soddisfazione al Parroco e l'aveva assicurato di non temere... Sarebbe stato il momento buono quello di trafugarsi, onde evitare ulteriori seccature. Ma oltre il fatto di non prevedere il futuro, vi era il proposito di Don Giuseppe di rimanere al suo posto di pastore, come aveva predicato al suo popolo la domenica precedente.
«Finchè ci sarà una persona in paese, io rimarrò!»
Intanto i soldati, dispersi per il paese, mettevano sossopra le case e incendiavano l'abitazione del Sig. Luigi Berni, per motivi non ancor precisati (forse perché arieggiante l'inglese).

Proprio in quell'ora Cereseto presentava anche agli spettatori lontani la sua cupa visione di fiamme. Don Giuseppe ne provò vivissimo rammarico e nel suo cuore caritatevole espresse alla sorella la sua volontà che la Canonica fosse aperta a tutti per ricevere le famiglie senza tetto.

Trascorsero le ore antimeridiane senza che nient'altro succedesse di notevole. I tre Sacerdoti conversavano familiarmente e Don Giuseppe confidava alla sorella il suo voto fatto di dare tutto ai poveri in riconoscenza al Signore per lo scampato pericolo. Invece all'una e mezza circa, un soldato armato fino ai denti, si presentava con aria sospetta alla Canonica per prelevare il Parroco e i due compagni.

Don Giuseppe parve allora intuire la gravità della situazione perchè diede alla sorella uno sguardo così compassionevole, che essa se ne meravigliò. Poi come un agnello mansueto condotto al macello, seguì il soldato, tra i due confratelli, sulla strada che conduce a Dilàdelrio. 
Poco dopo un gruppo di facinorosi si buttava al saccheggio della Chiesa e della Canonica, sotto gli occhi della sorella dell'Arciprete che davanti a quell'improvviso cambiamento di scena si sentì mancare le forze. 

In quel momento era sola in casa e dovette difendersi dalle minaccie e dalle vessazioni dei soldati. Abiti, biancheria scomparvero. Anche le bussole della Chiesa furono scassate e i pochi soldi intascati o dispersi. I tre Preti avevano consegnato il denaro che tenevano in tasca, perchè fosse più al sicuro, alla sorella di Don Giuseppe e alla Sig.na Giacomina Cassani, di Bardi, presente a quei fatti. Ma anch'esse furono perquisite e derubate di ogni loro avere.

Don Giuseppe, dal luogo del suo supplizio, dovette assistere impotente all'indegna razzia cui era sottoposta la sua casa e la sua Chiesa. Si lagnò amaramente con quelle poche persone che erano di passaggio sulla strada. Avrebbe desiderato di vedere, almeno da lontano, sua sorella. Il che era impossibile, perchè questa non si era ancora ristabilita dal suo malore. Un soldato le aveva offerto un po' di cognac che invece di rianimarla l'aveva maggiormente indisposta.

I tre sacerdoti erano stati allineati lungo il muricciolo che protegge un piccolo appezzamento, di proprietà della Chiesa. Di fronte a loro, poco discosto stava appostato sulla strada un fucile mitragliatore maneggiato da un brutto ceffo che con voluttà sadica sogghignava e scherniva.

Un soldato, al momento della cattura, rivolto ai tre Pastori, si era espresso in questi termini:

«Voi...in cielo... pregare per noi!...».

E quella frase, pronunciata in tale circostanza, dovette essere per i tre sacri prigionieri, la rivelazione di un misfatto atroce di cui essi erano le vittime designate.

Su quel Calvario, tra un succedersi continuo di soldati che passavano beffardamente davanti a loro, essi, vissero l'ultima ora tragica di vita, in un'angoscia spasmodica attendendo e assaporando la morte goccia a goccia...
(D. Riccardo Molinari - Montagne insanguinate, 1947)




Italo Subacchi, orfano a sette anni, era cresciuto in un istituto. Tornò a Bardi da seminarista nel 1944. Tra le otto vittime dell’eccidio nazista di Sidolo del 20 luglio 1944, subì la sorte di chi lo aveva accolto: il presbitero piacentino don Giuseppe Beotti


1 commento:

  1. Fa sempre bene, alla mente e al cuore, " ri-leggere" queste pagine del nostro passato, soprattutto, oggi, nell'incertezza del presente: "un'idea morta produce più fanatismo di un'idea viva; anzi ,soltanto quella morta ne produce. Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte" ( L. Sciascia, 1979)

    Fausto Cremona

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