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domenica 8 settembre 2013

Tre ragazzi fidentini il 9 settembre 1943


Il vecchio acquedotto della stazione, di cui si parla nell'articolo e che compare nella foto, adesso non c'è più e quindi rende ancor più interessante questa testimonianza.
Dei tre protagonisti è ancora vivente solo Plizza, che tra l'altro ha salvato Anna (bambina) che aveva trovato una bomba a mano nei pressi della De Amicis (ex Rosa Maltoni) e la teneva stretta come un giocattolo.
Plizza fu fra quelli che riuscirono a convincerla a lasciare la bomba in cambio di un piccolo dono.
Episodio (inedito) che lo stesso Plizza ricorda spesso ad Anna che gli è molto riconoscente.
Anna è anche l'autrice dell'articolo del 8 settembre 1993, cinquantenario dei fatti narrati, e ripresi sotto.

SALVARONO OLTRE DUECENTO CARRISTI
DIRETTI AI CAMPI DI CONCENTRAMENTO

Il 9 settembre 1943 tre ragazzi fidentini si resero protagonisti di una delle più belle pagine di solidarietà mai scritte nella nostra storia recente. Franco Plizza, 18 anni Bruno Frati e Nando Amadei entrambi diciassettenni dipendenti delle Ferrovie dello Stato con un contratto a termine, aiutarono a sfuggire ai tedeschi invasori circa duecento giovani carristi destinati ai campi di concentramento.
Del fatto, probabilmente unico in Italia per dimensioni e modalità, si fa cenno nell'opuscolo “Fidenza nella Resistenza” di Aimi e Copelli e la curiosità di saperne di più ci ha spinto a cercare quei tre ragazzi temerari oggi tranquilli pensionati sulla settantina. La reazione di Bruno Frati, il primo che rintracciammo telefonicamente, è di sorpresa. “E' un episodio - confessa - di cui non ho mai parlato con nessuno”.
Ma acconsente volentieri a raccontarlo per i lettori della «Gazzetta», «in loco» insieme all'antico collega Franco Plizza; gravi problemi familiari impediscono a terzo protagonista, Nando Amadei, di partecipare a questo «amarcord» in chiave bellica.
I due pensionati ci accompagnano alla stazione ferroviaria fidentina, teatro del loro straordinario gesto di coraggio, frutto di un irrefrenabile impulso di solidarietà condito di un pizzico di incoscienza giovanile. 
“Se ci fossimo fermati a riflettere sui rischi - dicono - forse non l'avremmo fatto” Sostano davanti all'edificio, ricostruito dopo la guerra, dove si trovava il loro ufficio «gestione merci» mezzo secolo fa. “Vede? - continuano - da finestre come queste i carristi vestiti in borghese saltavano, filandosela velocemente”.

- Ma che cosa era successo?
“Dopo la dichiarazione dell'armistizio, l'8 settembre, il cui si ebbe notizia nella serata dello stesso giorno, anche Fidenza piombò nel caos. Il mattino successivo, saranno state le 6, invece di presentarci al lavoro noi tre siamo volati alla Rocca, sede della caserma dei carristi del 433° Battaglione, per resistere con loro ai tedeschi. Incrociammo invece ufficiali che se la stavano svignando abbandonando i soldati alloro destino, per cui, delusi, tornammo al lavoro”.
“Ecco che a un certo punto - aggiungono - abbiamo visto arrivare gruppi di carristi catturati e convogliati in stazione in attesa di venire caricati su treni diretti in Germania. In breve circa duecento militari erano ammassati sotto la pensilina guardati da un esiguo numero di tedeschi, forse cinque o sei, che, piazzati su sidecar, scorrazzavano con gran fracasso lungo i binari. Non abbiamo avuto un attimo di esitazione: dovevamo salvare quei giovani, non potevamo restare indifferenti alla loro sorte”.

- E che cosa decideste?
“Cominciammo col farli entrare a piccoli gruppi nel nostro ufficio dove si toglievano la divisa, indossando abiti civili. In un primo tempo abbiamo provveduto noi con vestaglie da ferroviere e, per rendere più credibile il travestimento, dotavamo i militari delle nostre lanterne”.
Poi si verificò il miracolo. Un «tam tam» attraversò la città e dalle case, specie le più povere, cominciò ad arrivare gente con sacchi zeppi di indumenti, scarpe, cappelli. Donavano di tutto.
“Furono ore frenetiche - prosegue il racconto di Frati e Plizza - e praticamente sotto gli occhi dei tedeschi i carristi diminuivano di numero, inghiottiti da quell'ufficio senza che il personale, pur non aiutandoci, ci ostacolasse. La gente di Fidenza è stata, meravigliosa, voleva bene ai carristi, tanto che nel Natale del '42 nessun militare era rimasto in caserma. Tutti furono ospiti nelle case dei fidentini che impararono così a conoscerli e quando si trattò di salvarli nessuno si tirò indietro”.

- Che cosa dicevano qui giovani mentre si cambiavano, ringraziavano?
“Non c'era nemmeno il tempo di guardarci in faccia - rispondono i nostri interlocutori - tutto si svolgeva freneticamente e l'importante era far presto. Il miglior ringraziamento era vederli uscire dalla finestra. verso la salvezza”. 
La montagna di divise lasciate dai carristi venne stipata nelle toilettes e nel serbatoio dell'acqua, l'unico elemento rimasto intatto da allora. "Quando i tedeschi si resero conto che i prigionieri si erano volatilizzati si limitarono a sparare rabbiosamente alcuni colpi in aria e, visto che i rinforzi no arrivavano, preferirono battere in ritirata”.
Plizza, sull'onda dei ricordi che a mezzo secolo di distanza affiorano ancora nitidissimi, parla della P38 celata sotto il tavolo dell'ufficio e delle bombe a mano nascoste nel cestino della carta straccia.
“Per poco non saltavamo tutti in aria - sorride (ma soltanto adesso) - quando un certo Cichén, l'uomo delle pulizie, ritirò il cestino per vuotarne il contenuto nella -caldaia... furono attimi da brivido”. Ma i brividi, a Franco Plizza, vengono ancora oggi, soltanto a sentire parlare tedesco!

- Rifareste tutto quanto?
“Allora è stata una decisione che ci siamo sentiti di prendere accomunati dagli stessi ideali di libertà e di giustizia. Ne parliamo pubblicamente solo oggi, sollecitati dalla Gazzetta, ma sia chiaro che non ci sentiamo eroi”. Bruno Frati, ultimati gli studi, è diventato in seguito direttore tecnico di multinazionali di informatica;
Plizza e Amadei hanno invece continuato a lavorare in stazione per quasi quarant'anni ricoprendo incarichi di responsabilità. Tutti e tre si sono portati dentro, gelosamente, una ricchezza che oggi, dopo cinquant'anni, hanno condiviso con noi, regalandoci una pagina inedita di storia locale.

Anna Orzi
Da "La Gazzetta di Parma" del 8 settembre 1993

Nota: 
Il serbatoio dell'acqua è sparito senza avviso tra il 27 febbraio e il 10 agosto del 2009, queste sono infatti le date delle due foto che rispettivamente aprono e chiudono questo post.





3 commenti:

  1. Dei tre, è ancora in vita qualcuno?

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  2. Lo si dice all'inizio: "Dei tre protagonisti è ancora vivente solo Plizza".

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  3. L'ho riletto ancora volentieri.

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