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venerdì 26 maggio 2017

El prufessur Dòrmia

L'indialetto
Io feci il mio primo incontro con l'indialetto appena dopo la laurea, leggendo il tema di un mio cuginetto comasco, dedicato a sua nonna, la quale, aveva scritto, tra l'altro, parlava sempre l'indialetto. Alla mia costernazione, rispose che, quando chiedeva in che modo parlasse la nonna, gli rispondevano : “In dialetto”. Lui poi, correttamente, ci aveva preposto l'articolo e ne era uscito, appunto, l'indialetto.
Io ho sentito parlare il milanese e il comasco, per una vita, in famiglia, e il dialetto di Salsomaggiore e di Fidenza, fuori di essa. I fidentini e i salsesi del sasso parlano tutti, fin dalla più tenera età, con una R di gorgia arrotatissima. Gli snob locali insistono sul fatto che sia un'eredità dei francesi, ma si tratta, con ogni probabilità, di una caratteristica locale antichissima, dei tempi dei Celti. Io ho imparato qualche cosa del dialetto locale ascoltando avidamente i parlanti, fin dai primi anni '50; assomiglia più al piacentino, che non al parmigiano. Infatti, ho notato, che le domande, specie tra i fidentini, come per i piacentini, terminano sempre con una finale strascicata, del tipo: “Hai mangiatoooo? Ti sei divertitooooo”; inoltre, specie un tempo, certi termini erano tradotti dal dialetto -o indialetto- in italico, storpiati, secondo un gergo-slang-argot, tipicamente locale: chefè-caffè, esìlo-asilo, quanto-quando, ascia-asse, cortello-coltello, sialpa-sciarpa, pese-pesce, scepe-siepe. E poi, sempre, piassa, tassa -del chefè-, matarazzo-materasso, pagare le tazze, cioè le tasse, pastasiùtta, lesagne col regù. I congiuntivi più usati erano “venghi, vadi, eschi, salghi”; ed anche Dassi e Stassi. E quando qualcosa non si paga, è “A gratis”. Certi miei alunni mi confessavano che, davanti alla TV, gli era venuta “una sonno terribile”, che si erano beccati la raffreddore, che il padre aveva l'urciola allo stomeco, e che certi bimbi ancora si prendevano la tosse chetìva, ossia la pertosse. A tavola, i locali amano sorseggiare il Lembrusco, la Barbera o la Malvesìa, gustano la gongorsòla e il presiùtto, cotto o crudo, e il rosto con le petate, rosto, anche quelle. Quando li solleciti a fare qualche cosa, rispondono sempre:”Desso poi vengo!” Adesso o poi? Le persone si dividono sempre tra sempatiche o antepatiche. Una mia conoscente mi venne a trovare all'ospedale e mi chiese se, per l'operazione, mi avevano dato la dòrmia, ossia l'anestesia. Ma io amo tanto anche questi sfondoni popolari, ora sostituiti da sussiegosi vocaboli inglesi, e capto sempre con piacere, fuori patria, il tipico accento di Salsomaggiore e Fidenza, condito con una Erre al limite della rottura delle corde vocali. Caro il mio indialetto!...
Franco Bifani


5 commenti:

  1. Che fatica in prima elementare, e anche oltre, tradurre il dialetto in italiano storpiato per adeguarsi ai piassarott che avevano frequentato l'esilo, mentre io avevo frequentato la scuola dei campi e delle piantate!

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  2. La scuola dei campi e delle piante insegna molte cose più utili di quelle che si imparano all'asilo. Signora Marisa, qualche tempo fa, una ragazza del Sud-Tirol mi diceva che le era più facile passare dal suo dialetto all'italiano, che non al tedesco; ero convinto del contrario!

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    1. L'area era compresa nella grande regione in cui si parlava Ladino, vera e propria lingua molto anteriore all'italiano e alle altre lingue neolatine.

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  3. Simpaticissimo articolo. Avrei tante cose da aggiungere, ma, poiché da gran pezza, mi spariscono tutti i commenti (causa la linea) evito di scrivere a lungo, per non sprecare tempo.

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  4. Ista volta parché än n'ho ditt niênt in tütt, l'é mîa sparì.

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