giovedì 7 settembre 2017

8 settembre 1943: "Non c'è ragione per cui la guerra non debba finire domani"

Immagine del campo PG49 ripreso dal retro
Fontanellato 1943

Il giorno dell'8 di settembre del 43 si concluse quel breve periodo in cui le speranze ed i timori degli italiani furono, rispettivamente, delusi e confermati. Fu chiamato in vari modi questo giorno in cui gli italiani si sentirono traditi, dallo Stato, dal Re e dal governo. L'armistizio firmato a Cassibile fu reso pubblico dagli americani, stanchi delle titubanze badogliane. 
Le massime cariche dello stato rapidamente misero in atto un piano di fuga accuratamente preparato, la liberazione di Mussolini, prigioniero al Gran Sasso in Abruzzo faceva parte di questo piano come contropartita della "libertà di fuga" del Re e del suo entourage.
Non ci fu attenzione alcuna per quegli italiani che la guerra aveva portato lontano sui vari fronti, quasi un milione di uomini nei Balcani ed in Albania, in Grecia e nelle Isole dell'Egeo, ma anche in Francia, abbandonati senza disposizioni precise, senza preparazione.

Pianta dell'edificio, tuttora esistente, utilizzato come luogo d'internamento.

L'edificio oggi

Ma tutto questo ormai lo sappiamo, e. per ricordare quel giorno ci poniamo da un altro punto di vista e riportiamo sotto alcune pagine di un diario di un soldato britannico, un ufficiale il cui nome di comodo o reale è Robert, che visse quella giornata all'interno del campo di concentramento PG 49 di Fontanellato e che il giorno dopo insieme ad altri seicento militari si sparse nelle nostre campagne e colline. 
I più riuscirono a raggiungere l'approdo della Svizzera aiutati da uno di loro che mise in piedi con l'aiuto di persone delle nostri parti un vero e proprio centro di smistamento in località Trinità nell'alta val Stirone. 
Questa parte del diario si conclude con “c'erano molte esplosioni in lontananza”, in quelle cannonate il dramma ed il sacrificio dei carristi partiti da Fidenza a sostenere il tentativo di resistenza che si ebbe a Parma.
Ambrogio Ponzi

A sinistra Robert, presunto autore del diario, con Giuseppe, altro ex prigioniero, tra le sue gambe, indifferente al fotografo, sono io.


Accadde la sera dell'8 settembre. Ero seduto alla tavola di legno coi cavalletti nella nostra mensa del P.G. 49, gustando una bottiglia di aranciata ghiacciata, pensando a niente di particolare eccetto forse che le serate stavano diventando più accettabili per temperatura in confronto a quelle insopportabili dei mesi estivi, e anche, forse, guardando alle superfici sporche del tavolo, che Griffiths non si era preso abbastanza disturbo per mantenerle pulite, lui che aveva preso proprio il mio posto.
Il C.P.G. 49 era un orfanotrofio riconvertito situato alla periferia di Fontanellato,un piccolo ma apparentemente importante centro per contadini che vivevano nella zona circostante, giudicando dalla folla che appariva sempre in "festa" in quei giorni, e i camion i trattori che andavano e venivano nei giorni lavorativi.

Guardavo fuori dalla finestra in quella particolare sera, prima delle 8, la scena era come il solito delle altre sere. La gente soprattutto donne e ragazze, facevano pigramente la passeggiata, sotto braccio, lungo la strada vicino al campo, talvolta una di loro proprio dietro la capanna della distribuzione dei viveri, rischiando un attraversamento veloce, in risposta ad un gruppo di "lady killers" , lo stesso gruppo che era stato visto seduto all'esterno del filo spinato, ogni notte da quando il campo era stato aperto 6 mesi prima. 
Una o due biciclette erano intralciate quelli che passeggiavano, come facevano sempre, non essendoci apparentemente alcuna legge che tenesse i pedoni da una parte della strada e permettesse il libero passaggio al traffico su ruote. Mi ha sempre divertito come un pesante camioncino o un autobus, (un autobus passava 4 volte al giorno di fuori del campo)  invariabilmente attraversava il paese senza rallentare, e suonando il clacson continuamente, senza alcuna interruzione, cominciava un chilometro fuori dal paese, finendo un chilometro dopo, i pedoni che si dividevano lentamente, senza alcuna parola eccitata o aspra, davanti all'irrompente veicolo. Spesse volte questo accadeva con un macchina, ma questo non mi divertiva mai così tanto.

Poco più avanti sulla tavola, alla mia destra, una discussione era in corso tra un gruppo di sedicenti generali su un certo tratto della linea principale tedesca dell'avanzata in Calabria. Si fermarono e tutti si piegarono sulla mappa, tagliata dal Corriere della Sera e poi ripresero a parlare tutti insieme all'improvviso, come facevano di solito. 
Alla tavola dietro un'altra discussione era in corso, qualcuno diceva "Non c'è ragione per cui la guerra non debba finire domani" e una voce triste lentamente :"No! Altri due anni". Ma ne avevo incontrati tanti nei campi di prigionia come loro!. 
Dall'altra parte della mensa uno arrabbiato ruggiva al ragazzo che vendeva vino perché non lo vendeva abbastanza in fretta. Sopra il ronzare di molte conversazioni e discussioni attraverso la porta perveniva alternativamente uno miagolio e un grugnire simile a un gatto e un maiale da ingrasso, il gatto come se gli avessero pestato una zampa e il maiale come se lo stessero trascinando per le orecchie. 
Era il trombettiere che suonava giocherellando alcune combinazioni in preparazione della mezz'ora di ballo prima del pranzo di domani con l'orchestra del campo. Era proprio poco dopo le otto.

Guardando attraverso la finestra, un soldato italiano apparve alla porta della capanna: con un ghigno che gli divideva la faccia in due, i pugni stretti, leggermente incurvato sulla soglia. Improvvisamente fu catapultato lontano da dove stava, da quattro o cinque dietro di lui. Alcuni di loro guardarono nella nostra direzione e sollevarono i pollici in aria, altri corsero in direzione dei loro dormitori, urlando una volta arrivati, il resto dava calci agli elmetti buttandoli in aria. Guardando oltre la capanna, alla strada la vita stava cominciando ad accelerare: i ciclisti pedalavano più veloce, quelli che stavano passeggiando si misero a correre, e in breve tempo una nuvola di polvere inondò la strada sollevata da ciclisti che pedalavano follemente e altri che correvano più veloci che potevano. All'interno della mensa le discussioni si allentarono e uno o due si prendevano in giro in modo indagatore. Una delle ragazze"Killer" vedendo che stava succedendo qualcosa, rischiò la galera e chiamò la sentinella sulla torretta e chiese quale fosse il motivo di tale eccitazione. "Tutto finito" rispose. Cosa significa chiese qualcuno, pensando tutti, ma non osando suggerire che egli potesse riferirsi alla guerra, perché sbagliarsi in qualche modo sulle notizie di guerra avrebbe portato rimproveri e prese in giro da tutte le parti.
L'eccitazione si sparse: qualcuno che era stato a parlare con la guardia al cancello rientrò e disse che la guerra era finita. Immediatamente io e alcuni altri uscimmo e incontrammo due Carabinieri ma non sapevano niente e passarono oltre per ritornare poco dopo per riferire che c'era stato un armistizio. Dissi, pensando ai tedeschi: " Perché . . . . .. non aprono i cancelli" Ma nessuno rispose.

Salii al piano superiore nella stanza che condividevo con altri 30 prigionieri alla sommità della costruzione. Aprii la porta. C'era calma all'interno: tutti stavano facendo qualcosa: chi leggeva, dormiva, rammendava, parlava sottovoce. Dissi con la voce più normale possibile "Fate i bagagli, gente si torna a casa" proprio come se stessi ricordando loro "Porridge a colazione di mattina", come avevo sempre fatto prima. Il silenzio continuò. Qualcuno che aveva alzato la testa quando parlai, si rimise a fare quello che stava facendo. "Non sono allodole" ( Non è uno scherzo) Continuai. Qualcuno che stava guardando fuori dalla finestra "Qualcosa accade, comunque, sono tutti svaniti, fuori" Allora tutti si alzarono insieme. Golden entrò e disse che erano tutte balle, tutti stavano parlando, Entrarono altri. Alcuni andarono alla finestra e salutarono gli italiani con le mani, alcuni dei quali alzarono i loro fucili verso le finestre come sempre facevano quando erano eccitati.

Lasciai di nuovo la stanza e scesi nella stanza principale aspettando che accadesse qualcosa, (benché non fossi esattamente sicuro di cosa sarebbe dovuto accadere). Ogni sera, in questa stanza si giocava a bridge, e anche quella sera avevano cominciato a giocare prima della cena. Ma ognuno aveva la mia stessa idea e una regolare corrente passava tra le porte. Gli entusiasti del bridge persero presto il loro entusiasmo e anche i più accaniti furono costretti a smettere per la gene che spingeva vicino al tavolo e ogni tanto S.B.O. saliva sulla sedia per parlare e sembrava che ognuno dei 600 P.O.W. si infilasse nella stanza per ascoltarlo. Non ricordo esattamente cosa disse, ma era relativo a quanto era accaduto in un  campo precedente. Ci raccontò di quando Mussolini aveva fatto i bagagli. Naturalmente ce lo aveva già detto altre volte.
Improvvisamente, un numero non meglio precisato di ufficiali aveva cominciato a baciare i Carabinieri, pensando che la guerra fosse finita. Ovviamente non si era visto nulla di simile prima, ma ora dovevano realmente saperlo. Disse anche che un armistizio non voleva dire assolutamente nulla e che le ostilità avrebbero potuto comunque ricominciare in ogni momento. Bene, una nazione sarebbe stata delusa. Gli eventi successivamente gli avrebbero dato ragione. Finì col dire che ciascuno doveva continuare a fare quello che faceva come se nulla fosse accaduto, il che era sicuramente chiedere molto.

Non appena salii le scale per andare al piano di sopra, sentii qualcuno dire che i Gerries stavano andando via e la via Emilia era intasata di veicoli che andavano verso Nord, che quello che il Carabiniere aveva riportato la mattina doveva essere stato corretto. Gli eventi provarono che la prima parte era del tutto errata e che il carabiniere non distingueva il nord dal sud. 
Più tardi, quando l'eccitazione si era calmata e ciascuno era in grado di pensare con più calma, sembrò ridicolo supporre che i tedeschi si sarebbero ritirati in questo modo lasciando alle forze britanniche di raggiungere i confini della Germania combattendo solo un'azione di retroguardia.
Ma io non avevo alcun dubbio, che fosse l'eccitazione di quel momento e quel fasullo generale, che avevano generato il mio dubbio iniziale su quello che la Germania avrebbe fatto.

Solo alcuni giorni prima dell'armistizio, in risposta una domanda che un ufficiale mi aveva posto a proposito di quando saremmo tornati a casa, dissi "dipende da quello che questi Gerries faranno qui. Se è un'occupazione militare, ci si può aspettare di essere in Germania molto presto. Dopo l'arresto di Mussolini le truppe tedesche si sparsero in Italia e si videro andare avanti e indietro giù per la strada del campo, ogni giorno. 
Ogni giorno su biciclette, cavalli e carretti, moto a due tempi, macchine e carrozze, camion, ogni cosa, come non avevo mai visto nei due anni e mezzo precedenti, se non due soldati tedeschi, a Piacenza, sulla strada tra Rezzanello e Fontanellato. Aveva riso e aveva detto che lui non la pensava così : andai a letto quella sera non pensando più ai tedeschi.

Parlando con Les Woodwards e John Rogers proprio prima di girarmi, dissi “sento che qualcosa sta per accadere. C'è troppa calma." Quando rividi Rogers circa una settimana dopo mi ricordò quelle parole. Non era così felice allora, dopo aver dormito tre o quattro notti sotto.... (?) sulla riva di un fiume molto umida senza una cerata sotto la schiena e solo una mezza coperta.

9 settembre

Mi svegliai quella mattina, proprio quando cominciava ad albeggiare, circa alle sei. Mentre me ne stavo sdraiato, sveglio, pensando di alzarmi dal letto, realizzai che c'erano molte esplosioni in lontananza. Più tardi venimmo a sapere che c'era una battaglia tra tedeschi e italiani per la stazione ferroviaria di Parma. 

L'integrale contenuto del diario in lingua inglese è pubblicato alla pagina:
http://www.pegasusarchive.org/pow/frames.htm

7 commenti:

  1. Purtroppo, noi italiani siamo campioni del mondo di salto sul carro del vincitore e di presenza di un solo sedere su due cavalli, da secoli. Abbiamo iniziato, nel 1915, una guerra offensiva, prendendole di santa ragione vino all'ultimo. Ci siamo schierati con un genocida come Hitler, poi lo abbiamo mollato, a guerra chiaramente persa.
    Ho avuto degli alunni con madri austriache, che, ridendo e scherzando, ma nemmeno tanto, mi dissero pressapoco così: "Ah, prof, però, foi taliani, ci afete molàto tue folte!" Io rimanevo molto imbarazzato, facevo un sorrisetto tirato.
    Il re-soldato Sciaboletta e il suo seguito furono vili e vergognosi, hanno sulla coscienza migliaia di poveri soldati, lasciati allo sbando.

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    1. Penso che usare l'espressione "noi italiani..." non sia corretto.Così si presentano tutti gli italiani come ingenui e poco intelligenti, il solito ritratto da barzelletta.
      Vediamo un pò a chi dare la colpa....
      Nella prima guerra mondiale molti erano contrari a fare la guerra, che è stata decisa da pochi potenti, mentre le persone semplici sono state costrette a fare la guerra e sono state usate come bestie da macello.
      Nella seconda guerra mondiale la decisione di fare la guerra e di allearsi con Hitler non è stata presa dagli italiani, ma da un dittatore, che aveva un suo originale concetto della democrazia e della pace tra i popoli e del valore della vita umana.

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    2. Anonimo, la tua puntualizzazione è inutile. Ma quale popolo mai decide per la guerra, sono sempre e solo i vari governi, da milioni di anni. Quanto alla distinzione puntigliosa tra Italiani, genericamente, e Solo alcuni italiani, mi pare ecessiva, non ho affatto scritto Tutti.
      Comunque, dal 25 aprile in poi, ci siamo ben allenati al gioco dei quattro cantoni, da fascistissimi a tutti partigiani, tutti DC, poi PCI, da MSI a PSI e così via. Esemplari i nostri parlamentari, nelle loro transumanze, ma sono stati imitati alla perfezione da tanti, non tutti, italiani, forse anche a Fidenza. O no?

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    3. D'accordo per la prima considerazione, un pò meno per la seconda. Ricordiamoci delle ovazioni nelle piazze piene. C'eravamo tutti o quasi.
      Ritengo che noi italiani, nel secolo XX, non siamo mai stati educati ad una democrazia seria; manipolati da santoni e guaritori ora siamo resi totalmente indifferenti, tirando a campare, ovviamente salvo chi come sempre ha qualche interesse diretto.

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  2. Salvo qualche eccezione,gli italiani sono portati, o per interesse o per ignoranza, a seguire chi promette di più o chi urla più forte. Perciò è giusto dire non gli italiani, ma la maggioranza degli italiani. Quelli che non seguono l'andazzo, non hanno però un leader forte e preparato da seguire e da proporre, quindi continuano a governarci quelli che promettono di più e che gridano più forte.

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  3. Condivido l'ultimo intervento; Analisi corretta e veritiera.
    Basterebbe documentarsi, individuare le forme di informazione meno invasive, dopo averle confrontate il giorno dopo con la realtà per individuare le più attendibili e scegliere di conseguenza.
    Non seguiremo la moda ma agiremo con consapevolezza, perseguendo i nostri ideali. Eviteremo di salire e poi scendere dal carro di urla più forte a secondo del suo tornaconto in ogni circostanza.
    Dobbiamo crescere l'autostima, confrontarci più spesso e scegliere le competenze ogni qualvolta si debbono affrontare i bisogni della gente.
    l'Anonimo di Borgo.

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  4. Sono l'anonimo della prima risposta.

    Ribadisco che generalizzare, fare di tutti un mucchio solo, usando espressione come "noi italiani", "noi abbiamo..." è un modo molto superficiale di considerare le persone.
    La mia puntualizzazione non la ritengo inutile, perchè le parole hanno un peso, e ad esempio io non mi riconosco in quel "noi", che non mi appartiene.
    Parlare degli italiani come se fossero una sola persona, contribuisce a penalizzare le tante persone italiane silenziose e dimenticate, che non erano superficiali, che erano oneste, che non volevano fare del male a nessuno, e che magari sono morte per colpa di qualcuno che aveva potere o che era disonesto o violento o capace di urlare più forte.
    Rispetto per loro.

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