lunedì 7 settembre 2020

La Chiesa della "recondita armonia..." di Tosca e Cavaradossi

Prologo
La storia di "S. Andrea della Valle", bellissima chiesa di Roma che sorge tra Corso Rinascimento e Piazza Vidoni, è disseminata di litigi, ripicche ed incomprensioni. La prima che incontriamo si riferisce “alla valle”. 
Questo appellativo deriva dal fatto che, anticamente, ma proprio molto anticamente, l’area era una zona depressa dove si convogliavano le acque di quello che si definiva “il lago di Agrippa”. 
Nerone, che tutti abbiamo sentito almeno nominare, si divertiva a giocare in questa specie di stagno organizzando battaglie navali e, non so se è solo fantasia, anche orge a bordo di una grande barca ornata d’oro ed avorio. (Per i pragmatici e i ricercatori di documentazione confesso di non avere, purtroppo, foto d’epoca e giornali di quei giorni). 

La cupola del Maderno
1° atto
Successivamente bonificata, la valle venne livellata e, verso la fine del Cinquecento, venne costruita la chiesa, o meglio iniziarono i lavori. Progetto del Grimaldi e di Giacomo della Porta. Verso la metà del Seicento erano stati costruiti solo il corpo centrale e la cupola del Maderno (la seconda più alta di Roma dopo quella di San Pietro) mancava ancora la facciata. 

Subentrò ai lavori Carlo Rainaldi al quale non piaceva il progetto della facciata lasciato dal Maderno e, quindi, cerò di modificarla tentando, allo stesso tempo, di soddisfare le richieste e le aspettative del pontefice Alessandro VII (senese, nato Fabio Chigi. È sepolto nella Basilica di San Pietro. 
Il monumento sepolcrale a lui dedicato fu realizzato dal suo artista prediletto, Gian Lorenzo Bernini). 
Rainaldi pensò di colmare la differenza tra la parte inferiore e quella superiore della facciata senza ricorrere al tipico espediente architettonico barocco delle volute, ma realizzando al loro posto due angeli da affiancare allo stemma della famiglia Chigi (sei colli sormontati da una stella). 
Questa era l’idea, solo che passando dalla teoria alla pratica si scatenò il primo dramma. 
Quando Ercole Ferrata, incaricato di eseguire i due angeli, presentò la prima scultura finita, fu ricoperto dalle più aspre critiche proprio dal Pontefice che, senza mezze parole disse che quell'angelo era orrendo, specialmente con quelle ali: una piegata e l’altra distesa. 
Ovviamente, come possiamo immaginare, l’artista non prese proprio molto bene i giudizi del Pontefice, ma rispose a tono rifiutandosi di scolpire il secondo angelo e suggerendo al Papa che, se lo voleva, se lo facesse lui! 

Intermezzo
A questo punto cala la tela sul primo atto di questo dramma con l’abbandono del Ferrata dalla scena e la facciata così asimmetrica. Così è rimasta, con il vuoto lasciato dall’angelo mancante e il superstite con le ali sbilenche, una delle quali appoggiata in modo anomalo alla parete, proprio come se volesse sorreggerla. 
La strana posizione dell’angelo non passò inosservata e, come capita spesso agli artisti “incompresi” fu anche oggetto di molti commenti negativi da parte del popolo. Pasquino (una delle statue parlanti di Roma) volle interpretare i pensieri dell’infelice angelo scrivendo una delle sue famose “pasquinate”: Vorrei volare al pari di un uccello, ma qui fui posto a far da puntello ! 


2° atto
Il secondo atto si svolge all’interno della chiesa. Sulla scena il Domenichino e il Lanfranco, entrambi allievi del grande Annibale Carracci. Il Domenichino è un personaggio strano, soprannominato il “bue” per la sua rinomata lentezza, timidissimo e taciturno, ma talmente bravo da essere il preferito dal maestro che gli passava le commissioni migliori e, come accade in questo casi, era anche il più odiato dai colleghi, tra cui – appunto – il Lanfranco. 
Siamo attorno al 1620 quando Domenichino ottenne l’ambito incarico di realizzare gli affreschi dell’abside e della cupola di Sant’Andrea della Valle. Si mise subito al lavoro, dedicandosi per mesi e mesi alla preparazione delle opere, ma durante questo tempo il Lanfranco approfittò per lavorarsi a puntino i frati, criticando lo stile “ormai superato” del collega e celebrando, invece, il suo: proiettato verso la nuova ed innovativa moda barocca. 
Quando Domenichino si accinse ad iniziare le sue opere, il Lanfranco – molto più svelto – era già arrampicato sulla cupola ed era molto, ma molto avanti coi lavori. Al Domenichino non restarono che gli affreschi del transetto absidale e i pennacchi sotto la cupola. 
Immaginiamo quali sentimenti si agitarono nell'animo del Domenichino, fatto sta che un giorno Lanfranco stava per salire sui ponteggi per lavorare agli affreschi quando si accorse che erano stati manomessi. Senza scomodare Poirot o il Tenente Colombo, tutti i sospetti ricaddero sul suo antagonista. Furono però solo sospetti in quanto, il giallo, non venne mai risolto. 
Per fortuna di tante scaramucce, liti e ripicche rimangono la Gloria del Paradiso del Lanfranco che domina la cupola e i Quattro Evangelisti di Domenichino che la vigilano dai pennacchi in cui sono posti. 
Delle diatribe fra i due grandi rimane solo che la bellezza, lo splendore e magia che generano l’Arte, quella con la A maiuscola, immortale ed eterna.
La Cappella Barberini
3° atto

 A proposito di arte, arriviamo al terzo “finto” dramma che si svolge tra le mura di questa chiesa. Una scena che ha come palcoscenico proprio la prima cappella che troviamo entrando in chiesa, a sinistra. 
Gli appassionati della lirica conoscono bene la Chiesa di Sant’Andrea della Valle in quanto vi è ambientato il primo atto di Tosca, una delle più famose opere di Puccini.
E’ infatti nella prima cappella che il pittore Cavaradossi lavora al ritratto della Maddalena dipingendola col viso della marchesa Attavanti, scatenando la gelosia della sua amante Tosca. 
La cappella in questione in realtà è la Cappella Barberini, ormai la più famosa della chiesa proprio per l’uso che ne ha fatto Puccini. 
E con Tosca cala anche il sipario su Sant’Andrea della Valle, luogo di ripicche, di  litigi e colpi di pennello e….  anche acuti e melodie.
   Nino Secchi d'Oriola


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