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lunedì 14 agosto 2023

Lo Stirone, il torrente perduto


Lo Stirone e la gente di Borgo

"Granella, il guado perduto. Da anni è inaccessibile", titola così la Gazzetta di Parma dell'8 agosto 2023 parlando del disagio provocato ai residenti dell'Oltretorrente fidentino. Non hanno torto a denunciare, dopo il clamore mediatico del suo ripristino ex-novo nel 2012 la realizzazione, costata 360.000, si è dimostrata ben poca cosa, un mezzo guado rispetto al precedente. Ma il problema è che nei dodici anni di vita è rimasto chiuso praticamente sempre.
In calce pubblichiamo alcune foto scattate allora.

Abbandonando ora la cronaca di un fallimento annunciato, ci chiediamo.
 "i fidentini di oggi sanno che Fidenza ha un suo torrente, che la città è nata sulla sua sponda, che per per millenni hanno in simbiosi vissuto?"
Per rinfrescarci la memoria (collettiva) riprendiamo questa "lectio magistralis " che il nostro compianto Vittorio Chiapponi tenne al ridotto del Teatro Magnani nel lontano marzo 1976 parlando ad un pubblico che del guado o della più antica "ponzella", oltre che del torrente, aveva diretta conoscenza e non vago ricordo.
Il testo della conferenza è stato poi pubblicato dal settimanale "il Risveglio" il 27 marzo 1976, con questo commento:  
"Mentre l'opinione pubblica cittadina — per merito della Famiglia Fidentina e dell'apposito Comitato — sta sempre più interessandosi della salvaguardia dello Stirone, ci è grato riportare, per gentile concessione dell'autore, parte della relazione del geom. Vittorio Chiapponi, borghigiano del sasso, letta tempo fa al Ridotto del Magnani, sul tema «Lo Stirone nel costume e nella storia di Fidenza".
1976 - Ecco l'immagine del guado che permetteva allora il passaggio agevole dei veicoli a quattro ruote, era in grado di resistere efficacemente alle piene e di essere facilmente ripristinato in caso di danni provocati da eccezionali piene. Dopo quarant'anni di onorato servizio si arrese per vecchiaia.


L
o Stirone nel costume e nella storia della nostra città

Lo Stirone da sempre è stato la meta preferita delle gite dei borghigiani, luogo di svago, delle prime esperienze sociali. Tanto è vero che il concittadino Michele Leoni, letterato dell'Ottocento, cantando il suo luogo natale, così si esprimeva: 
"Ancor rimembro l'acqua del tuo torrente e alle sue rive i frequenti diporti...".
Le acque incontaminate fornivano ricca preda e prelibato alimento di argentei cavedani, di guizzanti 'streggi', di carnosi barbi e non rare erano le anguille. I primi esperimenti natatori avvenivano nei cosiddetti "laghi", pozze di fresche acque sorgive costellanti le sponde del torrente, col loro lucido specchio di poche decine di metri quadrati di superficie.

Alla penuria di bagni nelle case private, lusso riservato a così poche famiglie da potersi contare sulle dita di una mano, ed alla insufficienza dei bagni pubblici, non sempre impeccabili per igiene e pulizia, si ricorreva durante la bella stagione alle chiare e scorrenti acque torrentizie. Non vi erano problemi per i costumi da bagno, ignoti ai più e per le persone anziane surrogati con mutande in disuso, lunghe sino alla caviglia.

I carrettieri più giovani che andavano net torrente a far ghiaia», oltre ai ferri del mestiere, portavano con sé fionda e "pudén", una piccola roncola, insieme ad un cartoccio di sale grosso, bacche di ginepro e qualche rametto di rosmarino. Quando avvistavano un solitario pollo incautamente allontanatosi dal campo padronale, trasformati in abili frombolieri, lo stendevano con un preciso colpo. Senza spennare la preda, ne incidevano il ventre, lo ripulivano delle budella che buttavano nell'acqua come ghiotta pastura per i pesci. Ne sfregavano l'interno col sale, mettendovi il ginepro e il rosmarino. Preparato quindi un impasto d'argilla, con il cosiddetto "trencoc", lo intonacavano con cura, ponendolo a cuocere sopra un improvvisato fuoco. Nell'intervallo fra un viaggio e l'altro per scaricare la ghiaia, il ruspante cuoceva di tutto punto: ne faceva fede la crosta d'argilla indurita ed ammaronata. Con un grosso sasso l'involucro, che tratteneva le penne, era presto levato ed un fumante ed appetitoso "pollo alla cre ta" era pronto per il sacrificio.

Per i meno abbienti lo Stirone era riserva inesauribile di legna da ardere; vi si faceva pure larga incetta di vimini per la fabbricazione casalinga di cesti di ogni forma e capacità: da quelli per la merenda e per la spesa, a quelli per il bucato e la vendemmia, quest'ultimi usati spesso come rustiche culle.

Così il greto si manteneva pulito ed ordinato; rari risultavano gli scarichi di rifiuti, sia perché ostacolati dai più, sia perché allora tutto veniva sfruttato: carte, stracci, vetri erano raccolti per raggranellare un po' di spiccioli per il castagnaccio, la "gazosa" o una scodella di vino. Le erbe che crescevano sui terreni golenali venivano sfruttate per gli allevamenti familiari di ovini, gallinacei e conigli, mentre in primavera ed in autunno costituivano abbondante pascolo per le greggi transumanti. La menta, la bardana, la camomilla e la malva venivano, con cura sapiente, raccolte per ricavarne medicamentosi decotti e salutiferi beveraggi.

D'inverno il torrente si trasformava in palestra di pattinaggio per i più coraggiosi e miniera preziosa per il rifornimento delle ghiacciaie cittadine. Una continua teoria di carri e cassoni trasportava, per vari giorni, spessi lastroni di ghiaccio e neve immacolata, da costipare in cripte sotterranee, nelle quali si conservavano per le necessità domestiche e familiari.

Vittorio Chiapponi

2014  - lavori e collaudo del nuovo guado





2 commenti:

  1. Ho letto con piacere!
    Solo chi sa vedere, sa sentire e conosce, sa tradurre in parole che diventano immagine viva e coinvolgente, in questo caso per i posteri, un tempo altrimenti perduto per sempre. Gratitudine allora a Vittorio Chiapponi per aver dipinto lo Stirone nella realtà dei suoi giorni, preziosa per noi.
    E gratitudine ad Ambrogio che con passione certosina e instancabile va a cercare le tante tessere del nostro passato per riproporcele, valorizzandone la storia.
    In antico i fiumi e i torrenti erano considerati sacri. Le città nascevano sulle sponde di un corso d'acqua, fonte di vita.
    Ma quale città può vantare un Santo Patrono, martire decollato per fede cristiana, che ha attraversato con la testa in mano quelle acque per venire a posarsi per sempre "a un tiro di sasso" da esse, per far nascere poi, attorno alla sua tomba, il borgo? San Donnino, lo Stirone e Fidenza: storia unica, teniamocela cara.
    Il torrente, poi, vide sorgere sulle spoglie del Santo, nella sua riva destra, una chiesa, sempre più grande, sempre più bella... E quasi personificato, capì che il suo compito era finito... E pian piano si scostò da quella stupenda Cattedrale e dalla Città che si era sviluppata attorno, ben sapendo che con le sue piene torrentizie, un tempo molto violente, poteva essere disastroso...
    Anche per questo gli dobbiamo rispetto. Ora non c'è acqua, ma, visti i tempi, basta poco.

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