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lunedì 5 dicembre 2016

Michele Leoni e la "diletta Città, dov'ebbe la cuna"

Michele Leoni 
Disegno di L. Torelli - inc. di L. Roda.

Michele Leoni

“A egregie cose il forte animo accendono l'urne dei forti...” scrisse Ugo Foscolo ( 1778- 1827).

Le dedicazioni di vie e luoghi dovrebbero svolgere la stessa funzione, ma spesso sono nomi persi nella memoria del passato e il loro valore è ignorato se non cancellato e travolto da un presente sempre più irriverente.
Contemporaneo e amico di Foscolo, con cui divise momenti di vita e di passione letteraria, è Michele Leoni, nato a Borgo San Donnino il 5 marzo 1776, da Giuseppe e Apollonia Paini. Con queste parole nel 1846 dedicava alcuni scritti alla sua città:
“A te, diletta Città, dov'ebbi la cuna mi è dolce indirizzare questa poca scrittura... Io mi distaccai da Te ancor giovinetto: ma per fermo soltanto colla persona, non punto coll'anima. Ché, ancor a lontano, io mi confortai sempre ne' tuoi avvantaggi, e di tue non desiderate fortune mi dolsi....E ora che mi trovo poco meno che sul dismontar della vita, io vengo a ricordarmi a Te, tutto pago del meglio al quale ogni giorno ti avvii, e avvalorato sempre nella speranza che i tuoi Abitatori, pur buoni, non cessino d'intendere Essi medesimi ai mezzi che valgano a renderti sempre più degna di prosperità e d'onore”.
La famiglia era di modeste possibilità, ma ciò non impedì al figlio di compiere i suoi studi a Parma e di laurearsi in filosofia nel 1795. Per mantenersi si diede al commercio e fu per alcuni anni presso il banchiere Serventi.

Si dimostrò subito appassionato alle lettere e a Milano, dove si era recato nei primi anni del secolo, si fece conoscere per i suoi componimenti. Il medico parmense Rasori nel 1810 gli affidò la redazione della parte letteraria degli Annali di scienze e lettere, testata culturale che ebbe anche una breve collaborazione di Ugo Foscolo. Fu probabilmente la vicinanza del dottor Rasori, cultore della lingua inglese, che lo convinse ad iniziare la sua attività di traduttore, a cui pensava già da qualche tempo. Milton , Collins , Byron , Hume, Smith...ma soprattutto Shakespeare di cui pubblicò, in 14 volumi, tutte le Tragedie tra il 1819 e il 1822.
Nel primo numero dell'anno 1820 della Biblioteca Italiana si legge: “Il nome del Signor Michele Leoni s'incontra sempre dove si parli di traduzioni dall'inglese".
La sua attività di traduttore fu intensa e rivolta non solo ad autori inglesi, ma anche Schiller, Lamartine, Giovenale , Omero....
Era ormai introdotto nella cerchia degli scrittori, citato da M.me de Staël e dal Berchet; a Firenze, frequentatore del salotto della Contessa D'Albany, conobbe i letterati del tempo che facevano capo all'Antologia del Gabinetto Vieusseux.
Leoni, però, desiderava tornare a Parma ed entrare a far parte della vita culturale che si muoveva intorno alla Duchessa Maria Luigia.
Nella Raccolta generale delle Leggi per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla, in data 7 maggio 1823, si legge: “Noi Maria Luigia....abbiamo risoluto quanto segue: Michele Leoni è nominato Professore di Letteratura Italiana nella Ducale Università degli Studi”e più avanti “Il suddetto Michele Leoni è nominato segretario della Ducale Parmense Accademia di Belle Arti”
Con questo atto la Sovrana stabiliva anche il compenso spettante: Lire nuove 1050 per l'incarico di Segretario e Lire nuove 950 come Professore , per un totale annuo di L. n. 2000.
Nella Gazzetta di Parma del 16 luglio 1825 si ha notizia di un presente di “una scatola d'oro con cifra , per la Cantata da esso lui scritta in occasione dell'arrivo delle LL. MM. l'Imperatore e l'Imperatrice d'Austria.”
Non cessò mai la sua passione di scrivere dei più svariati argomenti, da quelli relativi agli artisti del Rinascimento ai personaggi del suo tempo.
In una prosa in cui tratta del Correggio, in poche parole delinea l'arte, secondo il suo punto di vista, di tre Grandi:
“Si direbbe aver avuto Raffaello da natura, quel caldo ed abbondante ingegno che sol si compiace delle vive e forti espressioni.”“Placida e lieta indole il Correggio, vaga solo del tenero e del dilettevole.” “Sensi più materiali il Tiziano che intese a ritrar l'essere e la qualità degli oggetti secondo le apparenze loro proprie , e nulla più.”
Scorrere le pagine delle sue prose significa entrare non solo nei suoi interessi culturali , ma scoprire il tempo e la vita, i personaggi e le passioni della prima metà dell'800.
Dall'Arte alla Musica, alla Letteratura, egli si sofferma ad analizzare e a considerare autori ed opere, mantenendo un equilibrio di giudizio e soprattutto un garbo discreto senza eccedere nei toni, pur esponendo e lasciando intendere chiaramente le sue opinioni.
In occasione della rappresentazione del Nabucco al Teatro Ducale di Parma nel 1843 , non parla dell' esecuzione, ma del compositore ponendolo in relazione con le due figure di musicisti suoi contemporanei e in auge in quel momento: Rossini e Bellini.
“Il Verdi, considerando il dissimil carattere del compor di que' due, volle porsi come in mezzo a loro e tra la copia dell' uno e le soavità dell' altro, dar vita a una musica.... tutta opera sua. Non confuso viluppo di note ti affatica: non romore ti assorda: non plebea cantilena ti annoja. Un concento, vario sì ma misurato e solenne.”
Da buon osservatore delle mode e dei costumi del suo tempo, lascia le sue considerazioni sulla musica in chiesa, ma anche sul nuovo ballo, il valzer, sui nuovi musicisti.... Si pone il problema morale dell'Uomo, riflette sugli esempi dell'antichità e li raffronta con quelli del suo presente.
“Guadagno e godimenti: ecco gli oggetti massimi di oggidì. Quindi le delicatezze domestiche e gli esterni spettacoli compri a gran prezzo, a fine di confortare o distrarre il cuore vòto di grandi affetti.” “Qual monumento arriverà ai futuri ad attestar loro quello che fummo?" “Però ciascuno è diventato per sé stesso mercante: lo scrittore come il droghiere: il pittore come il ballerino.”
Nel libretto, uscito nel 1846 dalla tipografia di Giuseppe Vecchi di Borgo S. D., è contenuto il frammento di un carme in cui ricorda la sua città, "oh Patria, lo Stirone, il tuo Torrente, il Duomo, il maggior de' tuoi Tempi, antiqua mole, dell'arte testimon, che i passi primo movea fuor della notte, onde l'avvolse la Gotica fortuna. Con malinconia e rimpianto rammenta i suoi familiari , la madre e, con parole che richiamano il Foscolo, scrive:
”tutti li copre forse una pietra e l'oblio. Nè, se la Parca ancor ne serba i dì, più a me concesso o mai saria raffigurarne i volti .”
Muore a Parma a 82 anni il 27 agosto 1858 e viene sepolto nel cimitero della Villetta.
Nell'epitaffio in latino sono ricordati la memoria tenacissima, l'erudizione ragguardevole e i costumi integerrimi. Erede universale dello zio e benefattore fu la nipote Zelinda.

Fidenza, dopo aver a lui intitolato una piccola via del centro storico a pochi anni dalla morte, nel 1939 gli dedicò la Biblioteca Comunale.

Marisa Guidorzi


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