giovedì 16 febbraio 2023

Stoflen e le maschere della Bassa nel racconto di Paolo Panni

Stoflen, la maschera di Zibello e l'antico arlecchino padano

In terra lombarda non ha certo bisogno di presentazioni Arlecchino la cui storia è direttamente legata alle terre che si estendono intorno all’Oglio e al Po.

Stoflen, antica maschera di Zibello e Tristano Martinelli, il più celebre Arlecchino, nato a Marcaria, Zibello.

Entra nel vivo, come ogni anno, ad ormai una manciata di giorni dall’inizio della Quaresima, il Carnevale. Torna quindi una delle feste più tradizionali, attese e folkloristiche che si conoscano, che porta a giornate fatte di divertimento, allegria e relax. Ma Carnevale è anche storia; una storia che affonda le proprie radici nella cosiddetta notte dei tempi.

Bisogna ricordare innanzitutto che la parola Carnevale deriva al latino carnem levare, ovvero eliminare la carne, riferendosi ai banchetti che si tenevano nell’ultimo giorno di Carnevale: il Martedì Grasso.

Per la tradizione cattolica, infatti, il carnevale è il momento dell’abbuffata che precede la Quaresima, il periodo di digiuno, astinenza e fioretti in vista della Pasqua. Ma al di là dell’aspetto religioso, pare che il Carnevale sia molto più antico della stessa religione cattolica. Infatti, nell’antica Roma si celebravano cerimonie pagane in onore del Dio Saturno: i Saturnali. Il Dio Saturno avrebbe propiziato l’inizio dell’anno agricolo infatti, con questa ricorrenza, si intendeva salutare l’inverno ed accogliere la primavera e la fertilità con i festeggiamenti, durante i quali non vi era più differenza tra nobili e plebei, grazie all’uso delle maschere, indossate come difesa contro le potenze diaboliche ostili, con la speranza che avrebbero reso il futuro raccolto abbondante.

Per gli antichi romani, Saturno era il Dio dell’età dell’oro, un periodo felice in cui regnava l’uguaglianza e, con i Saturnali, tutto ciò veniva festeggiato con balli, canti e tutto era fatto in chiave scherzosa, sovvertendo tutti gli obblighi sociali e di classe. A Carnevale ci si dedicava a cibo, bevande e divertimenti sfrenati. Nel Medioevo, i festeggiamenti lussuosi e goderecci sono stati ridimensionati però dalla Chiesa lasciando spazio a rappresentazioni di compagnie di attori in maschera.

Il momento clou della festa era l’uccisione di un fantoccio, che rappresentava il capro espiatorio dei mali dell’anno passato e un buon augurio per quello nuovo. Numerose, come noto, sono le maschere popolari.

In terra lombarda non ha certo bisogno di presentazioni Arlecchino la cui storia è direttamente legata alle terre che si estendono intorno all’Oglio e al Po.

Infatti Tristano Martinelli, nato a Marcaria il 7 aprile 1557 e morto a Mantova il primo marzo 1630, insieme al fratello Drusiano è considerato il più grande, ed il più celebre, tra gli antichi Arlecchini al tempo della massima fioritura della commedia dell’arte. Ma le terre del Po si caratterizzano anche per la presenza di maschere locali, più o meno conosciute.

Soltanto a Piacenza le maschere erano quattro: Vigion, caricatura dei piacentini dell’Appennino, Tulein Cücalla, ciabattino della città, e le rispettive mogli, Cesira e Lureinsa. Inoltre le sfilate carnevalesche dell’Appennino piacentino erano guidate da una maschera dalle sembianze disarmoniche e sgraziate, detta U brüttu (Il Brutto) o A Bestra (La Bestia).

A Parma, invece, la maschera tipica è quella di Al Dsèvod (L’Insipido), che è vestito con un abito a quadri gialli e blu e rappresenta un servitore della signoria locale. Ben pochi, probabilmente, sono invece quelli che sono a conoscenza del fatto che anche Zibello, terra del celebre culatello, aveva una sua maschera, scomparsa da quasi un paio di secoli.

Si chiamava Stoflen ed è citata da don Bartolomeo Zerbini nelle sue “Memorie della parrocchia di Zibello”. “La maschera di Zibello – scriveva don Zerbini – è Stoflen. Un Giulietti Cristoforo (Stoflen in vernacolo) uomo del volgo e servo di un certo Dott. Bordini, era un “mattone” che in carnevale si divertiva onestamente e faceva divertire ogni anno. Così fece per tutta sua vita che finì trent’anni or sono. I Zibellini lo richiamarono a memoria in questi anni 1871-72 ed essi… hanno la loro maschera sotto il nome di Stoffolino Gigliobello”.

Le memorie, preziose, di don Zerbini sono riprese anche nel volume “Zibello – La storia, la gente, le opere, le tradizioni” pubblicato nel 1985 dall’amministrazione comunale grazie all’idea, ancora una volta lungimirante e dettata dall’amore per la sua terra, dell’allora sindaco Gaetano Mistura.

Attingendo sempre alle memorie di don Zerbini, che parla degli anni 1871 e 1872, dal momento che evidenzia che Cristoforo Giulietti “finì trent’anni or sono”, significa che la maschera scomparve intorno al 1840. Lo stesso storico parroco scrive anche che “Nell’anno 1871 i benestanti di questa borgata tennero grandi mascherate nel giovedì grasso, nonché nella domenica e martedì di carnevale. Ripeterono le stesse carnevalesche allegrie in quest’anno (1872), con maggior pompa e più grande concorso di popolo. Ma nel martedì avanti le ceneri ne furono impediti dalla pioggia che durò tutta la giornata. A vendicarsi di Giove pluvio che intorbidò, anzi impedì le loro allegrie in quel giorno, fecero la loro solenne mascherata nella 1^ domenica di Quaresima con il permesso del Governo e la chiusero con una generale illuminazione.

Di questa contrada principale la sola casa parrocchiale era senza lumi, epperò illuminata dalla argentea luce della luna, faceva vergogna a tutte le altre. Pochi tristi se ne vendicarono tirando sassi per quattro volte alla mia porta e gridando ‘fuori i lumi’. Ma io stetti fermo e contento del solo lume della luna, e piuttosto che cedere alle minacce dei tristi avrei lasciato abbattere tutta la canonica”.

Un parroco integerrimo, d’altri tempi, dalla fede profonda e dal carisma sanguigno, di quelli che molti anni più tardi avrebbero ispirato Giovannino Guareschi nella creazione dei suoi celeberrimi personaggi: Don Camillo e Peppone. Un parroco al quale si deve eterna gratitudine per le memorie che ha lasciato e per avere tenuto viva, attraverso ai suoi scritti, la vicenda e la storia di una maschera delle terre di fiume che, chissà, un giorno potrebbe anche tornare.

Eremita del Po, Paolo Panni


1 commento:

  1. Paolo, grazie del Racconto, che tiene vivo la cultura della nostra terra,
    l'Anonimo di Borgo

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