Settantatrè anni fa i centri rivieraschi del Po vivevano una delle pagine più drammatiche e pesanti della loro storia: quella della grande piena del Po del 1951.
Pesantissime furono le conseguenze soprattutto nel Polesine. Quella del è infatti una data tristemente famosa per l’alluvione del Polesine, che causò più di un centinaio di vittime, la morte per annegamento di migliaia di capi di bestiame, oltre 180.000 sfollati, molti dei quali non fecero mai ritorno nelle loro terre, dopo la fuoriuscita di quasi 8 miliardi di metri cubi di acqua su quel pezzo di Pianura Padana. Fuoriuscita che continuò ininterrottamente per ben 37 giorni. Il Polesine non si riprese mai del tutto, e lo testimonia la “fuga” dei polesani: dopo il 1951 infatti lasciarono in modo definitivo il Polesine circa 110mila abitanti.
Tornando alle nostre terre si tratta di un evento mai dimenticato. Per quanto riguarda Cremona e provincia si rimanda direttamente all’articolo di Mario Silla (leggi qui)
Oggi è giusto portare i lettori alla scoperta anche di quanto avvenne sulla sponda emiliana del Po. Di quell’evento sono rimasti tanti ricordi ed immagini, raccontati all’epoca da storiche firme della Gazzetta di Parma: quelle di Alfonso Madeo, Baldassarre Molossi e Aldo Curti. Ne hanno scritto anche firme del calibro di Cesare Zavattini, Gianni Brera e Giovannino Guareschi e sono sopravvissute immagini di maestri fotografi quali Ezio Quiresi, Giovanni Amoretti, Bruno Vaghi.
Ma sono rimaste anche le memorie, tante, di coloro che l’hanno vissuta sulla loro pelle, nelle loro case, nelle loro campagne. Nelle memorie degli uomini e delle donne del Po, abituati a conoscere il fiume, fonte di vita, ispiratore di mille tradizioni, ma anche motivo di una lotta antica, e spesso impari, con la sua furia. L’ira di un fiume che sa sfogarsi, sa essere dirompente e devastante, sa coprire di limo ciò che invade, per poi tornare in silenzio, nel suo “letto”, proseguendo il suo costante viaggio verso il mare.
Settantatrè anni dopo, oltre a raccontare ancora una volta i noti fatti dell’epoca, è anche significativo ripercorrere i grandi valori che, anche in quella occasione, gli uomini e le donne del Po, emiliani e lombardi, piemontesi e veneti, avevano saputo, come sempre del resto, mettere in campo fornendo molteplici prove di coraggio, generosità, solidarietà e altruismo, tirandosi su le maniche per salvare il salvabile, aiutare (prima, durante e dopo) chi aveva bisogno, rispondendo “presente” ai rintocchi dei campanili e agli appelli delle autorità. Non erano affatto tempi facili, molti di loro portavano ancora nelle mente e nel corpo i segni della guerra finita solo pochi anni prima. Molti erano stati protagonisti della Resistenza; altri ancora avevano tirato avanti la “baracca” tra mille difficoltà e crescente povertà; altri avevano pianto la scomparsa, tragica e improvvisa, di figli e nipoti, genitori e fratelli. Ma, nonostante le frustrazioni e i dolori, si erano di nuovo messi in trincea, per la pesante disputa contro il fiume.
I giorni più difficili furono quelli compresi tra l’8 e il 21 novembre (con i momenti più critici toccati tra il 13 ed il 14 novembre), con il Grande fiume che allagò ettari ed ettari di golene; provocò centinaia di sfollati e fece una quantità notevolissima di danni.
Tra le pagine più dure, quella della rottura dell’argine maestro a Mezzano Rondani, con l’acqua che arrivò ad allagare parte di Colorno, oltre a Copermio, Sacca e Sacchetta; mentre tra i fatti più memorabili, la straordinaria prova fornita dagli abitanti di Stagno di Roccabianca (che all’epoca era immerso in golena) che, a costo di salvare il loro paese dalla furia del Po finirono nell’acqua fino alla cintola utilizzando tutte le difese possibili, ripetendo che piuttosto che far allagare le loro case l’acqua l’avrebbero bevuta tutta.
Il fiume arrivò a toccare gli 8 metri e mezzo sopra lo zero idrometrico e, il giorno 14, la sua portata arrivò a superare i 12mila metri cubi al secondo. L’ex sindaco di Zibello Gaetano Mistura, al quale si deve sempre dire Grazie per il suo immenso impegno nella tutela, nella valorizzazione e nella promozione della storica locale, rendendo pubbliche le memorie del padre Fausto, raccolte nel diario inedito “1951: la Grande Alluvione, ovvero quello che a memoria d’uomo non si era mai visto” in cui, tra le altre cose, si legge che il 10 novembre “Il Po ha cominciato la sua fase terrorizzante e spaventevole, la crescita continua con una media di 4/5 centimetri orari e così di seguito fino alla sera di domenica undici. A sera tardi e per quasi tutta la notte un impetuosissimo vento, torrenziali piogge, tuoni e lampi, han fatto sì da rendere la situazione assai allarmante, tanto è vero che il giorno seguente (12 novembre) il Genio Civile ha dato ordine alle famiglie di Zibello, Pieve, Ragazzola, Polesine, Roccabianca, Stagno abitanti fra l’argine di Comprensorio e l’argine Maestro di evacuare, perché il pericolo poteva essere imminente. Infatti la crescita continua, senza interruzioni, dai cinque ai sei centimetri orari. Le famiglie sfollano premurosamente oltre l’argine Maestro. In qualche modo i proprietari di bestiame collocano i loro animali presso parenti e amici, in capannoni o barchesse e così le loro principali sostanze. Ma gli interessati tentano ugualmente con ogni sacrificio di evitare una sciagura e con sacchi di terra, creste fatte con badili e motori si riesce a tenere l’invasione delle acque in questo territorio e così si lavora intensamente tutta la notte”.
I momenti più drammatici vennero vissuti fra il 13 ed il 14 novembre, con campagne, casolari, edifici totalmente allagati, persone evacuate, altre radunate sugli argini con le loro masserizie; le campane a martello per tener vivo l’allarme. A Pieveottoville, nella chiesetta della “Madonnina del Po” (conosciuta anche come Santa Lucia) si registrarono 80 centimetri d’acqua.
“Furono ore drammatiche – scriveva ancora Mistura – da varie parti si udivano grida; erano persone che chiedevano pietosamente aiuto, da alberi a cui stentatamente avevano potuto giungere ed aggrapparsi; altri a nuoto raggiunsero le più vicine case; altri poterono trarsi in salvo sfidando il pericolo e attraversando l’impetuosa ondata e raggiungere l’argine. Un ottimo giovane, incurante del pericolo, dà mano ad una barca, voga accanitamente, raggiunge i disgraziati e li porta in salvo”.
Ancora nel diario di Mistura si legge che “Purtroppo arriva la tragica sera del 14, quando già si viveva tranquilli e si pensava che ormai il pericolo fosse scongiurato. Appena scoccate le 20.30 si udì dai campanili di Roccabianca, Ragazzola, Pieve suonare campane a martello; le competenti autorità invitavano insistentemente la popolazione ad evacuare, in special modo si raccomandavano le donne, i bambini e vecchi. Nessuno ancora sapeva donde venisse il pericolo, non si sapeva quale via pigliare sembravano tutti istupiditi dallo spavento. La stretta necessità scosse gli animi e si decise sul daffarsi. Si seppe in questo momento che la chiavica di Stagno detta dei “Rami” in località Tolarolo si era ormai resa pericolosissima, anche l’argine ebbe un piccolo cedimento; i tecnici gridarono alla gente di allontanarsi immediatamente. La volta della chiavica aveva ceduto; nel mezzo dell’argine, subito una grossa fontana si era sviluppata e metteva acqua torbida, potevano bastare ancora pochi minuti perché tutto fosse spinto via, non valse l’aiuto dei tecnici del Genio né quelli privati, neppure l’opera degli accorsi dei paesi circostanti, tutto sembrava ormai inevitabile; il pericolo era ormai imminente, tanto è vero che anche il Genio abbandonò l’impresa. Fu in questo momento che bravi giovani di Stagno si accollarono la responsabilità. In brevi istanti procurarono da privati teloni impermeabili e ad uno ad uno li poterono porre davanti alla falla. Questi subito tolsero la pressione di quella bocca d’acqua Chiavica dei Rami demolita nel giugno 1952 che sgorgava nel centro dell’argine. Fatto questo fu maggiormente facile buttare in questa breccia un gran numero di sacchi e l’aiuto di una seconda frana tamponò la falla, salvando così dall’allagamento Roccabianca e i paesi viciniori. Solo a tarda notte verso le due del 15 si poterono avere le prime confortanti notizie”.
Ma quando il peggio sembrava ormai passato, a causa di nuove perturbazioni, tra il 21 ed il 22 novembre io fiume tornò ad allagare le zone già colpite, causando ancora l’evacuazione di persone ed allevamenti, ma fermandosi ad una quota inferiore di circa 80 centimetri rispetto a quella toccata precedentemente. “Passarono almeno otto giorni – scriveva ancora Fausto Mistura – prima di vedere quasi totalmente il terreno. Con grande desolazione potemmo vedere quale disastro ci lasciarono le acque”.
La storica piena del Po del 1951 non va ricordata solo per la devastazione, la desolazione e la morte che seminò ma anche per le immense prove di solidarietà, generosità e coraggio che la gente seppe realizzare. Fatti ancora vivi nella mente di coloro che la piena l’hanno vissuta sulla loro pelle, nelle loro case, nelle loro campagne. Eventi fissati nelle memorie degli uomini e delle donne del Po, abituati a conoscere il fiume, fonte di vita, ispiratore di mille tradizioni, ma anche motivo di una lotta antica, e spesso impari, con la sua furia. L’ira di un fiume che sa sfogarsi, sa essere dirompente e devastante, sa coprire di limo ciò che invade, per poi tornare in silenzio, nel suo letto, proseguendo il suo costante viaggio verso il mare.
Settantatrè anni dopo è certamente significativo ripercorrere i grandi valori che, anche in quella occasione, gli uomini e le donne del Po, emiliani e lombardi, piemontesi e veneti, avevano saputo, come sempre del resto, mettere in campo fornendo molteplici prove di coraggio, generosità, solidarietà e altruismo, tirandosi su le maniche per salvare il salvabile, aiutare (prima, durante e dopo) chi aveva bisogno, rispondendo presente ai rintocchi dei campanili e agli appelli delle autorità.
Non erano affatto tempi facili, molti di loro portavano ancora nelle mente e nel corpo i segni della guerra finita solo pochi anni prima. Molti erano stati protagonisti della Resistenza; altri ancora avevano tirato avanti la “baracca” tra mille difficoltà e crescente povertà; altri avevano pianto la scomparsa, tragica e improvvisa, di figli e nipoti, genitori e fratelli. Ma, nonostante le frustrazioni e i dolori, si erano di nuovo messi in trincea, per la pesante disputa contro il fiume. Una nuova e dura prova, che la gente aveva appunto affrontato, e superato, tra prove di coraggio, solidarietà e generosità. Anche le più piccole comunità si erano mobilitate.
Soltanto a Santa Croce, frazione di Polesine Parmense, come si evince dalle memorie, inedite, dell’allora parroco don Adamo Cicognini si era fatta una raccolta “bussando a tutte le porte” scriveva don Adamo aggiungendo che “il generoso contributo di ognuno ha fatto sì che siano raccolte 220mila e 200lire; quintali 15,62 di viveri, indumenti vari ed in buono stato”.
All’epoca era tanta roba e parecchie altre, ovunque, su entrambe le rive, erano state le prove di solidarietà, altruismo e generosità realizzate dalle genti, tutte, del Po. Gente dal carattere sanguigno e tenace, ma con un cuore sempre estremamente grande, capace di gesti di generosità e di altruismo del tutto speciali, in ogni tempo e in ogni stagione.
Poichè le persone passano, ma la storia e i fatti che la costruiscono restano nell’occasione del settantatreesimo della piena del 1951, non può che essere utile per ricordare le più grandi inondazioni del Po. Queste avvennero negli anni 886, 1014, 1082, 1085, 1087, 1152, 1240, 1278, 1280, 1293, 1294, 1327, 1331, 1336, 1341 (in questa occasione il fiume demolì le mura di Cremona), 1386, 1394, 1411, 1437 (con rottura totale degli argini nel Casalasco) , 1440, 1454, 1467, 1470, 1474, 1478, 1494, 1496, 1522, 1524, 1527, 1541, 1560, 1585 (con rottura degli argini a Casalmaggiore e allagamento di Sabbioneta e Viadana), 1595, 1596, 1609, 1640, 1647 (vennero inondate Cremona e Casalmaggiore), 1652, 1654, 1658, 1685, 1702, 1704, 1705, 1706, 1733, 1741, 1755, 1765, 1801, 1830, 1833, 1839, 1868, 1879, 1886, 1951, 1994 e 2000. Per la cronaca la sola alluvione del 1331 causò oltre 100mila morti e tra il 1801 ed il 1876 il fiume ruppe gli argini più di duecento volte. Solo dopo i primi interventi di difesa con la costruzione degli argini le alluvioni si ridussero drasticamente. Tra le più drammatiche anche quella del 1741, in occasione della quale vennero suonate per tre giorni le campane a martello (come segno di pericolo e richiamo). Secondo i Bandi generali del 1597, sopra le acque erano obbligati ad accorrere con badili e zappe tutti gli uomini dai 14 ai 70 anni. Per gli inadempienti, cinquanta scudi d’oro di “sanzione” e tre tratti di corsa; indulgenze invece per quelli che pregavano durante le alluvioni. Pillole e pezzi di storia di un fiume che, la storia, quella delle nostre terre, la scrive, in silenzio o nel frastuono di una piena, tutti i giorni. Sempre attingendo alla storia, ci sono quelle alluvioni, mai dimenticate, rimaste indelebilmente scolpite sulle pietre. Come accade in pieno centro a Cella dati dove una lapide a ridosso dei portici ricorda le pesanti inondazioni degli anni 1654 e 1705 e come accade anche nei pressi di Cingia dè Botti dove un paio di lapidi su una abitazione, attentamente e saggiamente immortalate da Lilluccio Bartoli, altra “miniera” di storia dei nostri territori, ricordano l’esondazione del 1868 che arrivò a toccare la frazione di Casaletto di Sotto. “Pietre parlanti”, che narrano della furia del Po, anche a Zibello, sui portici dello storico palazzo Pallavicino. Si tratta, in questo caso, di graffiti che rimandano ad esondazioni del Po, alle epidemie di peste e di colera e, come accade per la chiesa, anche semplici autografi, lasciati dai “cronisti” di allora che, in questo modo, hanno fissato e custodito la storia.
“O gran Po…” si legge in una delle tracce mentre un’altra, molto eloquente, dice “1705 Die…maxima Padi excrement” facendo riferimento chiaro alla devastante alluvione del novembre 1705 (che evidentemente raggiunse anche la piazza del paese): una delle più drammatiche di sempre per l’estensione dei territori allagati e per i gravissimi danni arrecati alle popolazioni sia in termini di vite umane che di distruzione di beni materiali.
Martedì 3 Novembre 1705, giusto ricordarlo, la piena dopo aver devastato già le aree più a monte, arrivò in Emilia. Il Po straripò allagando sia i territori emiliani che quelli lombardi, fino a Fombio nel lodigiano, gli argini cedettero anche nei pressi di Borgoforte (Mantova) ed una enorme massa d’ acqua invase un vasto territorio compreso tra il Po e il Mincio, fino a Mantova.
Mercoledì 4 Novembre tutto l’oltre Po pavese fu sommerso da un catastrofica alluvione causata dalla piena del Po e dei suoi affluenti. La città di Pavia fu allagata, e in alcune zone è probabile che l’ altezza dell’ acqua sia stata superiore a tre metri, ad Albaredo Arnoboldi (Pavia) l’ altezza dell’ acqua fu di due metri. Furono sommerse la Lomellina, e tutte le campagne comprese tra il fiume Ticino e il Gravellone. Una strage che solo nella Provincia di Pavia causò migliaia di morti. In una missiva conservata all’ Archivio di Stato di Como si parla di 1700 morti nella sola zona di Pavia. Anche Cremona ed il suo territorio furono sommersi dall’ alluvione e ci furono tanti morti e danni incalcolabili. Sempre il 4 Novembre si aprirono quattordici rotte negli argini del Po nella zona di Casalmaggiore, e l’ acqua uscì con una tale violenza che devastò ogni opera umana, facendo crollare le case e uccidendo uomini e animali. A Sabbioneta l’ acqua raggiunse i due metri e mezzo di altezza. Anche la provincia di Parma fu colpita in modo pesantissimo dall’ alluvione, sommergendo alcune zone tra cui quelle di Polesine, Vidalenzo, Zibello e altri paesi vicini, ma le acque alluvionali almeno non arrivarono a Busseto e a Parma. Nel pomeriggio del 4 Novembre il cedimento di quasi 800 metri dell’ argine del Po nei pressi di Luzzara (Reggio Emilia) provocò una rovinosa alluvione in tutta la bassa pianura mantovana e modenese, aggravata il 6 Novembre da nuove rotture dell’ argine in zone vicine.
Tutte pagine di storia che meritano di essere conservate, custodite, studiate e conosciute.
Con un grande grazie, per le immagini dell'epoca agli amici Gaetano Mistura, Paolo Capelli e all'indimenticata Ebe Bottazzi
PAOLO PANNI
Eremita del Po
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