martedì 6 febbraio 2024

Via delle Zoccolette a Roma



Via delle Zoccolette, da Nino...curiosità romane 

Le strade hanno la loro storia e le loro curiosità, e la toponomastica ce ne parla. Una famosa strada romana è certamente Via delle Zoccolette, la strada che si trova nel rione Regola, tra il Campo de’ Fiori e il Lungotevere, nelle vicinanze di Ponte Garibaldi e anche da Ponte Sisto, indubbiamente una delle più belle zone di Roma, ricca di storia, arte e romanità. 
 
Leggendo la targa in marmo, ovviamente si accosta il nome alle “ragazze da facili costumi”. 
Forse, ho pensato, era giusto intitolare una via a quel genere di lavoratrici che, da quando mondo è mondo, hanno sempre esercitato una non facile professione. Ma la storia, e il barista a cui ho chiesto lumi (fra parentesi un ottimo caffè e romanesca simpatia) mi dicono ben altro. 

Le Zoccolette erano delle pie ragazze orfane, e in questa strada fu fondato un orfanotrofio nel 1715 da papa Clemente XI con il nome di Conservatorio dei Santi Clemente e Crescentino per le povere zitelle e Zoccolette. 
Ma chi erano le Zoccolette e perché avevano questo soprannome? 

Le Zoccolette erano le fanciulle rimaste orfane di entrambi i genitori o della sola madre, che venivano accolte nel conservatorio per essere educate secondo i principi cristiani e per imparare un mestiere. Il mestiere più diffuso era quello di cucire, ricamare e confezionare zoccoli, ovvero le tipiche calzature in legno che si usavano all’epoca. 
Da qui il nome di Zoccolette, che potrebbe indicare sia la loro attività sia il loro abbigliamento. 

L’orfanotrofio delle zoccolette era situato all’interno dell’Ospizio dei Mendicanti, un grande edificio che ospitava diverse categorie di bisognosi: poveri, vecchi, infermi, pazzi, ciechi e sordomuti. 
Il conservatorio occupava una parte del primo piano e aveva una propria cappella dedicata ai santi Clemente e Crescentino, i patroni delle zoccolette. Le regole del conservatorio erano molto severe e miravano a preservare la moralità e la virtù delle ospiti. 

Dovevano seguire un rigido orario che prevedeva la preghiera, il lavoro, lo studio e il riposo. Non potevano uscire dal conservatorio se non per andare in chiesa o per fare qualche commissione. Non potevano ricevere visite se non da parenti stretti o da persone autorizzate. Non potevano parlare con gli uomini se non con il permesso della superiora. Non potevano portare gioielli, ornamenti o vestiti eleganti. Non potevano leggere libri proibiti o ascoltare musica profana… insomma, per farla breve possiamo dire che non potevano fare quasi nulla se non il lavoro e la preghiera. 
Le zoccolette erano sorvegliate da una superiora, da alcune maestre e da alcune monache. Queste ultime erano spesso ex-zoccolette che avevano scelto di prendere i voti e di rimanere nel conservatorio come religiose. Alcune di loro erano anche le insegnanti delle zoccolette, che impartivano lezioni di catechismo, lettura, scrittura, aritmetica e musica. 
Le zoccolette ricevevano anche una dote dal conservatorio quando uscivano dall’istituto. La dote consisteva in una somma di denaro e in alcuni oggetti personali, come vestiti, biancheria e utensili da cucina. 
La dote serviva a facilitare il matrimonio delle zoccolette o a permetterle di avviare una piccola attività. Tuttavia, la dote era spesso insufficiente a garantire una vita dignitosa alle ex-zoccolette, che si trovavano a dover affrontare le difficoltà di una società spietata e ingiusta.

Nonostante la rigida educazione e i buoni propositi dell’istituto, molte delle ospiti del conservatorio, una volta raggiunta la maggiore età e dovendo lasciare l’istituto, non trovavano una sistemazione onesta e finivano per esercitare la prostituzione, l’attività più diffusa insieme a quella ecclesiastica nella città dei Papi. 
Così, il popolo romano iniziò a usare l’appellativo di zoccolette (sue abbreviazioni o corrispondenti), probabilmente per distinguere le meretrici provenienti dall’istituto da altre, facendone di fatto un sinonimo entrato poi nel gergo comune. 
Come comune divenne un altro appellativo coniato dai Romani, derivante dalla fredda burocrazia con cui venivano classificati gli orfani: P. IGNOTO e M. IGNOTA, dove P e M stanno ad indicare Padre e Madre. 
La storpiatura del secondo divenne un appellativo per i figli di cui non si conosceva la madre. 
Questi termini possono definirsi, a ragione, “volgari” ma non nell’accezione dispregiativa, ma proprio perché provengono dal “volgo”, ovvero il popolo.


Nino Secchi

1 commento:

  1. Molto interessante! Sono gli angoli della storia umana che aiutano a capire la grande Storia.
    San Crescentino, o Crescenziano, appartiene a quella schiera di martiri che, abbracciato il Cristianesimo, rifiutarono di riconoscere onori divini all’ imperatore.
    Anche lui come San Donnino era un legionario al tempo di Diocleziano, la sua morte è fissata al 303. Gli fu tagliata la testa dopo che altri tentativi erano falliti. Propriamente martire di Città di Castello, i suoi resti furono portati nel Medio Evo a Urbino di cui divenne patrono festeggiato l’1 giugno. Solo la testa rimase nel luogo del martirio.
    Da lui vengono le denominazioni di crescentine, piadine, e crescia , focaccia, come specialità di Urbino.

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