NELLA CHIESA DI S.MARGHERITA (PR) UNA TELA DA RISCOPRIRE:
“S.ANTONIO E LE ANIME PURGANTI “ DI GRISANTE CASANA
L’autore (1738-1782) è stato a lungo confuso in passato con
il padre Luca , che fu allievo e collaboratore di G.B.Tagliasacchi.
G. Casana, 1762.”Sant’Antonio e le Anime Purganti”. Chiesa Parrocchiale di Santa Margherita, Fidenza (PR). Foto di I. Cogato |
Tra le testimonianze
più significative, va certamente inclusa
la bella tela raffigurante “Sant’Antonio da Padova e le Anime Purganti”, collocata sull’altare del
santo, nella seconda cappella di sinistra, eseguita, come provano gli atti
archivio, nel 1762 dal borghigiano Grisante
Casana (1738-1782), l’opera, tuttora inedita, è ancor più interessante,
in quanto ci permette finalmente di
conoscere da vicino la personalità di
questo valente pittore, confuso in passato con il padre Luca (1706 - notizie fino al 1742), allievo e primo collaboratore di
Giovan Battista Tagliasacchi (1696-1737).
Noto finora solo
grazie ad una piccola, ma deliziosa, immagine di Santa Maria Maddalena
penitente (1752), di proprietà privata, pubblicata da Augusta Ghidiglia
Quintavalle nel lontano 1956, Grisante rivela una pennellata sciolta e
un’indubbia abilità compositiva. Il pittore fidentino riesce a fondere, in un’unica scena, due
distinti temi della classica iconografia antoniana: la famosa apparizione del
Santo Bambino, descritta dal “Liber Miraculorum”, ove si sottolinea la
speciale devozione di sant’Antonio verso la natività del Signore, e il
suffragio dei defunti, motivo legato invece alla sua fama di potente intercessore.
Per adeguarsi al
duplice soggetto, il pittore fa svolgere
l’estasi del santo sui gradini di una
massiccia scala in pietra (ma la
struttura ricorda anche l’arcata di un ponte) che attraversa diagonalmente la
parte inferiore del quadro e sale, fino a confondersi con le nuvole del cielo, mentre al di sotto, come in una oscura fornace
sotterranea, divampano le fiamme che avvolgono uomini e donne: sono le anime
purganti sulle quali si estende la protezione del santo, come egli stesso
suggerisce con l’ampio gesto della mano. Ad esse però si rivolge pietoso anche
un angelo dai folti capelli neri che regge il giglio, classico attributo di
sant’Antonio. L’incantevole essere alato sembra voler rassicurare, col suo
slancio affettuoso, le povere anime che attendono di essere condotte al
refrigerio e alla gioia del Paradiso.
Ma è principalmente
attraverso il ricorso alla simbologia della scala che emerge il significato
profondo di questa originale sacra rappresentazione; la scala, che richiama la
celeberrima visione di Giacobbe, fa pensare anche all’impianto Purgatorio
dantesco, “dove l’umano spirito si purga e di salir al ciel diventa degno” Pg.
I, 5-6, all’erto cammino scavato nella roccia, che nella seconda cantica
evidenzia il passaggio dal peccato allo stato di grazia. Un percorso di
purificazione che conduce gradualmente alla visio Dei, come, d’altra
parte, attestano le esperienze di numerosi mistici: non un luogo fisico, come
puntualizzano i teologi, ma una condizione spirituale, per cui la scelta del
Casana di ricorrere all’ allegoria architettonica dimostra di essere ben
meditata, avendo come riferimento ultimo la beatitudine evangelica dei puri di
cuore.
L’enfasi celestiale, con cui il pittore fidentino descrive
l’incontro tra Gesù Bambino ed il popolarissimo seguace di san Francesco, è sostenuta da un solido disegno e da una insistita ricercatezza formale, che ingentilisce i
gesti e le espressioni dei volti: da quello estasiato ma del tutto autentico
del santo, all’atteggiamento spontaneo e confidenziale del divino Infante, che accarezza benevolo il giovane
frate; dalla rigidità delle pose delle anime in pena, alla leggerezza e
vivacità con cui il grande angelo, dalle ali dischiuse, si libra sulle nubi,
insieme ad altri vispi, biondi angioletti, che non nascondono l’emozione per l’inatteso incontro alle
soglie del Regno, in netto contrappunto con l’espressione assorta del
cherubino-cariatide che fa da sgabello e
si lascia docilmente calpestare dal piccolo Gesù.
Allo stesso modo, il fumo, che esce dal Purgatorio, sembra quasi confondersi
nella stessa grande nube vaporosa, dove siede il Dio Bambino che accoglie il
testimone della “perfetta castità”, l’umile
frate, che ha come emblema il bianco giglio simbolo della purezza , ma
il cui significato include anche la grandezza d’animo, la bellezza
ineguagliabile, la grazia raggiunta dopo la remissione dei peccati, la rinascita
dopo la morte, la luce, la conoscenza, la creatività e l’aspirazione alla
perfezione.
Sul piano prettamente stilistico, l’innegabile eleganza della piccola pala d’altare sembra
riecheggiare, sia pur in maniera assai
filtrata (dal padre Luca), la splendida lezione del Tagliasacchi (1696-1737), dal
quale Grisante Casana ha
probabilmente attinto attraverso i disegni visti nello studio
paterno: una chiara citazione tagliasacchiana del quadro piacentino della Gloria di sant’Ignazio di Loyola, è
indubbiamente il dorso dell’uomo barbuto, in primo piano a sinistra; echi del
Tagliasacchi si avvertono anche nell’unico volto femminile, tra le anime del Purgatorio, nei panneggi, nelle movenze
graziose degli angeli e nella luce radente del saio di sant’Antonio.
Come scrive Vito Ghizzoni in un indimenticabile saggio monografico, apparso su “Parma nell’arte” nel 1970, il Settecento fidentino non cessa di riservare continue sorprese: ne è buon esempio questa piccola pala d’altare, che, nella chiesa di Santa Margherita, ci segnala con discrezione l’insospettata presenza di un altro ragguardevole protagonista della nostra stagione tardo barocca.
Guglielmo Ponzi
Bravo Mino!
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