Questo manifesto fu affisso il 9 marzo 1945 sulle porte delle case di Rimale. |
10.3.1945 Carzole
La notte tra l'8 e il 9 marzo 1945 i partigiani della 31a Brigata Garibaldi “Forni” in missione sulla via Emilia attaccano un convoglio militare tedesco dipendente dal Comando di Piacenza, nei pressi di Fidenza. Trascorsero meno di quarantotto ore e i tedeschi misero in atto la loro rappresaglia. La sera seguente quindici partigiani vennero prelevati dalle carceri di Piacenza e condotti nel luogo in cui si era verificato l’attacco partigiano. I militi della locale Brigata nera li avvertirono che nella zona era segnalata una probabile presenza di partigiani. Venne deciso di trasferire i prigionieri sul lato opposto della città, in località Coduro, zona ritenuta più sicura dai comandi militari. I partigiani vennero fatti sdraiare a faccia in giù, due o tre alla volta, e uccisi con un colpo sparato, sembrerebbe, dall’ufficiale tedesco in comando. Tredici in tutto furono le vittime della strage, due riuscirono a salvarsi in modo a dir poco rocambolesco: Renato Sichel colpendo all’improvviso con un calcio l'ufficiale e fuggendo prima che i militari potessero colpirlo e Alberto Baldini, solo ferito dal primo colpo, fingendosi morto. Entrambi riuscirono a raggiungere successivamente i partigiani sui monti. Guariti dalle ferite ripresero la lotta fino alla Liberazione.
Filippo Colli, Francesco Cavanna, Giuseppe Ghirlanda, Galiano Pavesi, Giuseppe Risoli, Raffaele Cerlesi, Luciano Berté, Giannino Verzé, Valentino Belriguardo, Primo Guerzoni, Carlo Santini, Mario Sessenna, Eusebio Saletti
10.3.1945 Via Baracca
Il 10 marzo 1945 partigiani del distaccamento Barabaschi (31a Brigata Garibaldi “Forni”) al rientro da un’azione si scontrarono con una pattuglia della Brigata nera all’altezza di via Baracca a Fidenza. Nel conflitto a fuoco che ne seguì un milite fascista rimase ferito. Quella sera stessa scattò la rappresaglia. Tre partigiani della zona vennero prelevati dalle carceri di San Francesco a Parma, condotti nei pressi del luogo dello scontro al crocicchio di via Baracca e fucilati.
Celino Brambilla (Fontanellato, 26 anni), Arnaldo Fava (Fidenza, 35 anni), Luigi Pezzali (Soragna, 24 anni)
La ricostruzione di quegli eventi
(con alcune lacune ed incertezze)
(con alcune lacune ed incertezze)
Con queste poche righe il sito eccidi nazifascisti.parma racconta due episodi accaduti nella nostra città negli ultimi giorni di un inverno duro quanto freddo. Maggiori dettagli aggiunge il volumetto edito dall'ANPI di Fidenza "Una comunità in guerra".
L'inverno che si stava chiudendo aveva visto, come dice il libro citato, una riduzione dell'impegno dei partigiani locali che così dicono di quei giorni:
L'inverno che si stava chiudendo aveva visto, come dice il libro citato, una riduzione dell'impegno dei partigiani locali che così dicono di quei giorni:
"Alcuni ripararono in case abbandonate, altri riuscirono a tornare a casa e si nascosero....", "...siamo scappati tutti e abbiamo fatto i rifugiati per una quarantina di giorni ........", "a casa stavamo nascosti dove abito io .. ne terragli di San Pietro...". In generale direi non ci discostiamo dal quadro generale così ben delineato a pagina 93 del volume "1943-1945 Testimonianze di partigiani fidentini" che dice "Noi non seguivamo mai le strade ma i sentieri dei boschi e le strade secondarie. Così, quando i tedeschi venivano su per un rastrellamento seguendo la strada principale, noi, attraverso i boschi, scendevamo in pianura. Quando i tedeschi, finito il rastrellamento, ritornavano in pianura, noi sempre per la campagna e i boschi salivamo in montagna."
A febbraio si registra il riformarsi delle bande e si assistette al loro progressivo ingrossarsi per le copiose adesioni tanto che fu necessario riorganizzare e talvolta dividere i raggruppamenti diventati troppo numerosi. Nel campo avverso si registrarono alcune diserzioni collettive e passaggi di campo, segno di una minor determinazione, in generale la situazione sul territorio diventò favorevole ai partigiani rendendo possibili azioni isolate di disturbo lungo l'arteria principale.
In questo contesto si inquadrano i due episodi avvenuti tra l'otto ed il dieci marzo alla periferia della città e in prossimità di Rimale.
In quest'ultimo episodio dalle testimonianze risultarono uccisi "alcuni militari" germanici, anche il manifesto affisso il 9 marzo che riporta l'elenco dei condannati parla di vittime senza precisarne il numero. Nel manifesto risultano 14 condannati, manca infatti il nome di Renato Sichel che tuttavia scamperà all'esecuzione.
La testimonianza di Renato Sichel è conservata nell'archivio Isrec, sezione 4.
La testimonianza di Renato Sichel è conservata nell'archivio Isrec, sezione 4.
Non risulta dagli scritti citati se, nel tempo intercorrente tra i fatti narrati e le esecuzioni, siano intercorse azioni dalle autorità locali e tanto meno siano state condotte trattative. I partigiani appostati appostati nelle vicinanze "vedono passare i tedeschi con in mezzo i prigionieri. Non comprendono affatto che i prigionieri sono condotti a morte.
I partigiani non attaccano per paura di uccidere i prigionieri." Così si esprime Don Amos Aimi nel suo volume "Fidenza nella resistenza". Questo comportamento non fu condiviso dal partigiano Guido Seletti che, "ferito nella sua sensibilità e determinazione", abbandona il gruppo e dopo poche ore con azione personale cattura un camion e si avvia verso le colline.
L'azione si concluderà con l'uccisione di un milite fascista innescando la reazione che porterà al secondo eccidio questa volta ad opera della Brigata Nera. E' da notare come la dinamica di questi ultimi fatti raccontata nel volume di Don Aimi è diversa da quella ufficiale riportata all'inizio e ripresa dal volume citato "Una comunità in guerra".
Fu fatta girare la voce che l'allora Podestà Mosè Cesari non abbia tentato di dissuadere i tedeschi dal compiere le esecuzioni per paura. Ma l'avvocato Nino Denti ebbe a scrivere che "In realtà sembra accertato che il Cesari fosse all’oscuro di quanto stava accadendo e poté intervenire solo a fucilazione avvenuta.". Resta il fatto che a pagare alle Carzole vennero chiamate persone non del luogo e, nella maggior parte, giovani che avevano eventualmente operato in tutt'altra zona.
Delle salme dei tredici ragazzi delle Carzole si prese cura il parroco di Coduro don Francesco Stringhini che con l'aiuto del Podestà ottiene l'anticipata rimozione delle salme e nel luglio del 1945 fece erigere una croce nel luogo dell'accaduto.
I partigiani non attaccano per paura di uccidere i prigionieri." Così si esprime Don Amos Aimi nel suo volume "Fidenza nella resistenza". Questo comportamento non fu condiviso dal partigiano Guido Seletti che, "ferito nella sua sensibilità e determinazione", abbandona il gruppo e dopo poche ore con azione personale cattura un camion e si avvia verso le colline.
L'azione si concluderà con l'uccisione di un milite fascista innescando la reazione che porterà al secondo eccidio questa volta ad opera della Brigata Nera. E' da notare come la dinamica di questi ultimi fatti raccontata nel volume di Don Aimi è diversa da quella ufficiale riportata all'inizio e ripresa dal volume citato "Una comunità in guerra".
Fu fatta girare la voce che l'allora Podestà Mosè Cesari non abbia tentato di dissuadere i tedeschi dal compiere le esecuzioni per paura. Ma l'avvocato Nino Denti ebbe a scrivere che "In realtà sembra accertato che il Cesari fosse all’oscuro di quanto stava accadendo e poté intervenire solo a fucilazione avvenuta.". Resta il fatto che a pagare alle Carzole vennero chiamate persone non del luogo e, nella maggior parte, giovani che avevano eventualmente operato in tutt'altra zona.
Delle salme dei tredici ragazzi delle Carzole si prese cura il parroco di Coduro don Francesco Stringhini che con l'aiuto del Podestà ottiene l'anticipata rimozione delle salme e nel luglio del 1945 fece erigere una croce nel luogo dell'accaduto.
Ricordo infine che con alcuni di loro la mia famiglia, sfollata nelle colline di Vernasca, aveva in precedenza avuto occasione di far conoscenza; erano educati e corretti, non di quelli che "davano pugni alle porte di notte".
Ambrogio Ponzi
10/3/2012
Ambrogio Ponzi
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P. S. Come giustamente segnalato nel commento ricevuto ricordiamo che il volume citato nel testo, "Una comunità in guerra", edito dal Comune di Fidenza è di Margherita Becchetti e Ilaria La Fata. Con l'occasione ricordiamo anche il volume "Fidenza nella resistenza", pure edito dal Comune di Fidenza è di Amos Aimi e Aldo Copelli. 10/3/2012
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Carissimi , solo per ricordarvi che il "volumetto" edito dal Comune di Fidenza nel 2005, "Una comunità in guerra", ha anche due autrici che si chiamano MARGHERITA BECCHETTI e ILARIA LA FATA e che è correttezza citare e riconoscere il lavoro altrui, soprattutto quando conferma le proprie tesi.
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