venerdì 16 dicembre 2022

Il Conte Luigi Sanvitale Vescovo a Borgo San Donnino grazie alla Duchessa Maria Luigia

(f. 1) C. A. Dal Verme, Ritratto di Mons. Luigi Sanvitale,
inchiostro nero a penna e acquerello grigio, Fidenza, collezione privata.

Mi sono care tutte le persone che nel corso degli ultimi venticinque anni mi hanno aiutato a far conoscere la vicenda umana e la portata storica dell’Opera dell’abate Pietro Zani, e anche tutte quelle che gli hanno voluto bene durante la sua travagliata vita, tra cui il Vescovo dell’allora Borgo San Donnino il conte mons. Luigi Sanvitale.
Ecco... mi sembra una bella occasione ricordarlo, nel 250 anniversario della nascita, il 26 dicembre prossimo.

Ci ragguaglia sulla figura del grande uomo di fede, lo storico, archivista e giornalista Dario Soresina nella sua preziosa Enciclopedia Diocesana Fidentina - edita in tre volumi – nel 1° dei quali, “I Personaggi”, dove dedica ben sei pagine fitte di notizie all’illustre Prelato.

Luigi nasce a Parma, in una delle più antiche e nobili famiglie aristocratiche italiane - potente in Città, secondo Sansovino, fin dal 930 - il 26 dicembre 1772, dal conte Alessandro, letterato e uomo di carità, e dalla contessa Costanza Scotti di Montalbo, nobildonna piacentina di austeri costumi.
Intelligente e amante dello studio, grazie alla vigile arte educativa dei genitori si forma con un’elevatezza di modi e di ideali, continuando la tradizione signorile del casato (f. 2).

(f. 2) Stemma Sanvitale. Banda rossa in campo argento sormontato da corona su cui due grifoni rampanti affiancano la sfera che regge la dea fortuna con palma e lancia.

Nel 1780 riceve la prima tonsura dal Vescovo di Parma e veste l’abito talare. Accompagnato a Roma da uno zio per studiare presso i Padri Somaschi si distingue tra gli allievi migliori. A dodici anni gli sono conferiti gli ordini minori: secondo l’usanza e per i diritti di casa Sanvitale, è nominato prevosto di Priorato e di Fontanellato, luogo dove la famiglia, antica feudataria di quelle terre, è patrona della chiesa parrocchiale per diritto attribuito da Papa Bonifacio IX - con bolla 9 dicembre 1400 - e proprietaria della splendida Rocca (f. 3) e di ricche tenute. 

(f. 3) G. Alinovi , Veduta della Rocca di Fontanellato, olio su tela, 1825, Rocca Sanvitale.

Gli viene comunque concessa la dispensa dalla Santa Sede per l’età, anche se il piccolo conte palesa eccellente disposizione alla carriera ecclesiastica. La vocazione, però, prima che nella sua mente, era maturata in quella dei genitori che avevano predisposto le sorti dei figli in modo da mantenere inalterato il ruolo illustre della famiglia: al primogenito Stefano, i possedimenti dell’intero casato da tramandare ai posteri, al secondogenito Federico l’iscrizione all’Ordine di Malta, al terzogenito Luigi la prevostura con il Priorato. Alle quattro figlie matrimoni con esponenti di nobili famiglie.

L’investitura della parrocchia viene fatta per procura, trovandosi egli ancora a Roma per studi. Torna a Parma nel 1792.
Qui, il regno del duca Ferdinando di Borbone, uomo molto religioso e grande mecenate (tra l’altro spesso generosamente in soccorso del ‘nostro’ Abate in difficoltà finanziarie), risente dei turbamenti e dell’incertezza del momento per il sopraggiungere delle armate napoleoniche.

Luigi si iscrive a Teologia avendo come meta il sacerdozio, ma a questo ruolo si considera mai pronto, e anche dopo l’ordinazione ricevuta il 31 dicembre 1797 da mons. Adeodato Turchi, indugia alcuni anni prima di prendere possesso della parrocchia di Fontanellato.
Insegna storia ecclesiastica all’Università e pubblica un volumetto di novelle, edito a Parma nel 1803 con i tipi di Bodoni. È particolarmente predisposto alla predicazione, cui si dedica con cura sia in città, sia in campagna.

Intanto con la morte del duca Ferdinando a Fontevivo, per avvelenamento, il 9 ottobre 1802 (giorno di San Donnino), gli Stati di Parma Piacenza e Guastalla vengono assoggettati alla Repubblica Francese con l’insediamento del ministro Moreau de Saint-Mery.

Nel 1804 il conte Luigi prende possesso della Prevostura e del Priorato (f. 4). Conduce a termine le opere del predecessore rimaste incompiute, compila uno stato d’anime e fa redigere un elenco delle suppellettili religiose appartenenti alle chiese a lui soggette - Priorato, Fontanellato e Cannetolo - mantenendo ottimi rapporti con i rispettivi sacerdoti. È particolarmente devoto alla Madonna del Santo Rosario invocata nel rinomato Santuario locale.

(f. 4) Chiesa di San Benedetto, Priorato di Fontanellato.
 
Il 9 novembre 1804 la nobile famiglia Sanvitale ha l’onore di ospitare in Rocca Papa Pio VII di passaggio da Roma a Parigi per andare ad incoronare l’Imperatore.
Sicuramente con meno entusiasmo, ospita poi, il 26 giugno 1805, lo stesso Bonaparte. Pochi giorni prima, infatti, veniva firmato il decreto di soppressione dei religiosi Domenicani con confisca di convento, chiesa e terreni.
Anche la benefica istituzione fondata dal Prevosto insieme al fratello Stefano come Casa di educazione e di lavoro per la gioventù, ospitata per apprendere un mestiere, è costretta a chiudere nel 1811.

Dopo la destituzione di Moreau per una rivolta non sedata nel piacentino (1806), si susseguono ancora momenti difficili, fino all’assegnazione del Ducato a Maria Luigia d’Austria (Trattato di Fontainebleau del 1814), confermata nel Congresso di Vienna del 1815. Inizia finalmente l’anno dopo, con l’ingresso a Parma della duchessa, un mite governo.

I due fratelli Sanvitale grazie alla nuova regnante riescono ad aprire alle suore Domenicane del soppresso monastero di Colorno, il convento di Fontanellato.
Maria Luigia venuta a conoscenza della cattedra episcopale fidentina vacante ormai da tempo per la morte del vescovo Garimberti, pensa di proporre il conte Luigi alla nomina, non prima di assicurarsi della sua accettazione.

Incarica il generale Neipperg, suo cavaliere d’onore, di mettersi in contatto col conte Stefano per sondare l’animo del fratello. Dal carteggio pubblicato da mons. Grassi si apprende che pur essendo il nobile renitente ad accettare, viene ugualmente inoltrata dalla Duchessa la richiesta al Papa. La sovrana stessa l’11 marzo 1817 invia al nuovo vescovo la bolla di nomina accompagnandola con una lettera con cui si compiace “di rendere giustizia ai meriti, alla pietà e alla dottrina particolare di lui” e “di contribuire così al bene spirituale dei suoi sudditi della diocesi di Borgo San Donnino”.

(f. 5) P. Bozzini, Ritratto di Mons. Luigi Sanvitale,
olio su tela, 1843, Piacenza.

Mons. Sanvitale (f. 5) viene consacrato nella Chiesa del Gesù a Roma, il 3 agosto 1817, dal cardinale Giulio Della Somalia, insieme al vescovo di Piacenza. Nello stesso giorno indirizza al clero e ai fedeli una comunicazione di benevolenza in latino.
Viene accolto con esultanza a Borgo il 28 settembre successivo con varie dimostrazioni di affetto riverente ed espressioni letterarie, come i due sonetti - di Michele Leoni e del canonico Giuseppe Rovaldi - citati da mons. Grassi, il di lui biografo.

Indice subito una Visita Pastorale. Regola l’uso degli strumenti musicali in chiesa, adottando la severità dell’organo, senza aggiunte. In Duomo restaura la Cappella dell’Immacolata, dona un ricco piviale, un artistico calice d’argento con fregi in rilievo dorato e numerosi altri oggetti d’argento.

Uomo di grande cultura e spessore, sa trattare con i dotti e con gli umili. Sin dal 1805 Papa Pio VII l’aveva annoverato tra i suoi prelati domestici e Maria Luigia, oltre a conferirgli nel 1825 la commenda dell’Ordine Costantiniano, gli concede dieci anni dopo l’alta onorificenza di Senatore gran croce dello stesso Ordine.

Purtroppo per i Fidentini, rimasta vacante la sede episcopale di Piacenza, la Duchessa pensa di destinarvi mons. Sanvitale, che accetta. Fa così richiesta a Roma per la promozione. Il 21 novembre 1836 viene annunciato come vescovo di Piacenza.
Egli indirizza allora una lettera di commiato alla Diocesi di San Donnino con commosse parole di affetto, dopo esservi stato pastore d’anime per diciannove anni.

L’ingresso solenne nella nuova sede avviene il 7 maggio 1837.
La molteplice sua attività al servizio della Chiesa piacentina può essere riassunta negli otto volumi sulla Sacra Visita Pastorale e in diciannove altri volumi di Decreti da lui emessi in dodici anni.
Rinuncia alla prevostura e al priorato di Fontanellato che aveva fino allora mantenuto, continuando comunque a trattenere importanti rapporti spirituali e soggiornando nel luogo nel mese di settembre di ogni anno.

Le continue fatiche apostoliche contribuiscono però a peggiorare la salute delicata del Prelato: già nell’anno di nomina soffre di risipola (infezione della pelle) e tumefazione ad una gamba, e tre anni dopo si ammala gravemente per infiammazione di petto e febbre gastrica. Consapevole delle preoccupanti sue condizioni che non lasciano ben sperare, rivolge il pensiero alla Beata Vergine di Fontanellato, non già per ottenere la guarigione, ma un sereno trapasso da questa vita all’eternità.
La Madonna gli concede invece la grazia.

Così il 1° luglio 1840 egli si reca in pellegrinaggio al Santuario per una solenne funzione di ringraziamento che vede raccolti nel sacro tempio gran numero di parenti ed amici festanti.
Dopo la prodigiosa guarigione continua con più fervore la sua missione, accresce il decoro della Cattedrale piacentina dotandola di un’ampia gradinata e cura la fondazione del Seminario di Bedonia sui monti di Parma.

Mantiene un atteggiamento accorto e prudente verso i movimenti nazionali e patriottici della prima metà dell’Ottocento, ma cerca di interpretare le legittime aspirazioni dei suoi fedeli. Così precorre i tempi. Mentre ancora vive Maria Luigia – scrive mons. Grassi - sebbene inferma, e col suo Ducato ormai staccato da lei, nella confusione che regna, e interpretando così l’adesione di Papa Pio IX alle aspirazioni italiche, pone la sua Diocesi sotto la protezione di Sua Maestà Carlo Alberto. Il 1 gennaio 1847 canta in Cattedrale un solenne Te-Deum di ringraziamento al Signore perché il Re Sabaudo si degni di accogliere la sua Piacenza sotto la propria tutela, considerandola materialmente e spiritualmente parte del suo Regno.

Questa decisione procura a mons. Sanvitale una corrente di simpatia progressista, e gli vale il conferimento il 18 giugno 1848 della Croce di commendatore dei Santi Maurizio e Lazzaro, che lo stesso Carlo Alberto gli assegna tramite il commissario regio di Piacenza.

Alla fine dell’estate di quell’anno, però, il male ritorna nuovamente con maggiore intensità, per cui si prepara a render l’anima a Dio implorando una santa morte che giunge il 25 ottobre.

Riposa nella cripta della Cattedrale piacentina.

Ecco...
    che mons. Luigi Sanvitale volesse bene al ‘nostro’ Abate lo dimostrano queste pagine che riprendo dal volume sul personaggio scritto con, e soprattutto per merito, del Preside Paolo Mesolella (2016):

Una lettera del Vescovo, del 4 maggio 1847, rappresenta una bella testimonianza in ricordo di Pietro Zani. Lo scritto, in Archivio di Stato a Parma, riportato nella monografia sul pittore “Dal Verme” (A. Leandri, 2007), accompagna la restituzione al Seminario di Borgo del ritratto dell’illustre fidentino inciso a Parigi da Denon.
Il Prelato l’aveva tolto dai manoscritti lasciati da don Pietro al Seminario, perché gli era molto caro, e l’aveva portato con sé a Piacenza, incorniciato e appeso nello studio, ora, “con un piè nella fossa”, lo rimanda, insieme ad alcuni cenni sulla vita dell’Abate e aggiungendo aneddoti conosciuti da lui stesso e da pochi altri, per conservarne memoria.
Lo cita come “Il pio sacerdote e dotto nella sua sfera, […] figlio d’un servo d’Enrichetta […]”. Ricorda i suoi studi, il libro sull’incisione, la “celebrata opera” enciclopedica, la sua rassegnazione ai voleri di Dio sul letto di morte, pur dispiaciuto per “le molte ed utili cognizioni, non ancora gittate in carta, che seco recatasi al sepolcro”.

Considera la grande perdita, che impedirà di distinguere le stampe originali da quelle contraffatte, decifrate “dall’occhio indagatore dello Zani”. “Non ne restano che dei frammenti. L’indugiar suo procedette dalla vastità delle notizie, dalla mancanza dei mezzi per le spese d’incisioni e di amanuensi, e più ancora per volerla dedicata a Don Ferdinando di Borbone Signore già di questi stati”.

Prosegue riferendo la proposta “dello stampatore e libraio di Bassano Remondini” e del rifiuto di Zani per intitolarla al suo mecenate. Nomina poi “la regnante clementissima Maria Luigia [che] accettò la dedica”. “Restò quindi l’opera da tant’anni desiderata imperfetta per morte di colui che solo era capace di compierla”.

Scrive ancora dell’incontro con Napoleone e dei denari ricevuti per andare a Parigi. Racconta della ricerca diligente, fatta dall’Abate, della prima stampa di Finiguerra tratta dalla Pace in argento con l’Assunzione che esiste in Firenze e del ritrovamento avvenuto nella capitale francese dopo aver passato l’enorme quantità di stampe, senza esito. “Indi si fa ad interrogare il Custode Denon se abbia altro da mostrargli. Null’altro rispose, se non fossero le scartate cianfrusaglie. Vedrò volentieri, riprese lo Zani, pure esse.

Oh stupore! Oh vista! Non v’ha più incertezza, la decantata carta del Fiorentino Maso Finiguerra è qui. Tosto divide collo stesso Denon la sorpresa e il gaudio.
Ricompensollo l’Incisore e Custode Denon coll’effigiarlo in atto di esaminare la tanto contrastata carta del Finiguerra.
Questo ritratto ritrovato tra le carte dello Zani restituisco al Seminario di Borgo San Donnino, cui egli lasciò libri e manoscritti, […]”.

Nelle note aggiunge che:
“Al prescritto dal S. Concilio di Trento riguardo all’abito clericale […] rispose sempre con esattezza lo Zani. Non si vergognò egli di mostrarsi così in Parigi, né maggiori riguardi si ebbe a Dresda. Un letterato di quella città, scherzando secolui, gli diceva, Voi siete la Fenice [persona rara], poiché qua della Riforma nessuno si arrischiò comparire con abito alla romana”. A nessun prete cattolico, infatti, era concesso, se non ai confessori nel loro ufficio, ma con cravatta bianca.

Indicava così, con orgoglio, il suo status o, viste le ristrettezze economiche in cui si trovava, non aveva altro da indossare.
Prosegue poi il Vescovo descrivendolo come uomo di fede: “Preciso negli ecclesiastici officii... […] nella Chiesa di S. Pietro [...] (riportato su questo blog il 14 luglio 2018).

Esalta pure “il suo zelo per onor di Dio pubblicamente in Parigi quando entrato di mattino in un caffè gittò l’occhio sopra un giornale, e lettovi messa in ridicolo la processione del Corpo del Signore seguita in una città della Francia, talmente si scaldò, che alzatosi proruppe in una verrina [accusa] contra l’irreligioso giornalista. Il giorno doppoi un Sacerdote, al medesimo sconosciuto, gli si fa incontro, lo abbraccia, lo bacia, e senza dir motto, segue il suo cammino. Convien dire che il Sacerdote avesse udito parlare dell’aneddoto del giorno precedente”. Ricorda anche il suo amor di patria manifestato a un letterato borghigiano che preferiva Parma alla sua città. Infine l’aneddoto di Napoleone a Milano a colloquio con lui: “[…] Presentossi al balcone, ed agli iterati strepitosi plausi corrispose il Monarca con un piegare il capo, e ritornossene allo Zani che in piedi l’attendeva”.

L’incisione di Denon è andata dispersa con i bombardamenti (o magari qualcuno l’ha raccolta, come ha fatto con il grande ritratto dipinto a Vienna dall’Unterberger, finito poi sul mercato antiquario), ce la ricordano comunque gli esemplari conservati al British Museum di Londra e la litografia sul libro di Duchesne.

Rimane solo questo scritto, chissà come finito a Parma, a testimoniare ai posteri l’affetto, la stima e la considerazione dell’illustre uomo di Chiesa per il “Nostro” prete.

Il cavalier Dominique Vivant, barone Denon (1747-1825), definito dall’Abate “bravissimo disegnatore, incisore e scrittore”, ha inciso per i nostri occhi un’istantanea che fissa un momento importante della vita di quest’uomo e del mondo dell’arte, momento giunto nel 1797, dopo tante ed estenuanti ricerche nelle collezioni d’arte di mezz’Europa.

Don Pietro con i capelli lunghi raccolti in un codino, è ripreso di profilo verso sinistra, nell’atto di osservare la stampa di Maso Finiguerra, concentrato, attraverso la lente tenuta con delicatezza nella mano destra, sulla visione insperata. Attorno a lui, il mondo non esiste più, si sente il silenzio, non solo perché è sordo...

Il British Museum di Londra conserva tre esemplari del ritratto stampati in colori diversi. Si tratta di un’incisione eseguita all’acquaforte e acquatinta, ma Denon fece esperimenti che è difficile precisare.
Ne diede notizia sulla Gazzetta locale (2013) Angela Leandri di Pieveottoville, responsabile dell’archivio Storico di Colorno, sempre attenta e in ricerca sul personaggio fidentino; e solo grazie all’aiuto di Laura Aldovini, di Cassano d’Adda, Direttore dei Musei Civici di Pavia, ho potuto pubblicarli.

(f. 6)  D. V. Denon, L'ABBÈ ZANI,
acquaforte e acquatinta, 1797, Londra, British Museum.

(f. 7) D. V. Denon, L'ABBÈ ZANI,
acquaforte e acquatinta, 1797, Londra, British Museum
.

Una prima prova è stampata in inchiostro nero su carta normale che appare beige ed è stata acquistata dal museo inglese nel 1871 (f. 6).
Una seconda prova è, sempre in nero, su carta azzurra, con aggiunta di sfondo blu ottenuto con altra matrice, pure acquistata nel 1871 (f. 7).
Una terza prova L’ABBÉ ZANI “Denon del [ineavit] et scul. [psit]”, è stampata pure in nero ma su carta marroncina, con aggiunta di sfondo rossiccio ed è completa dell’iscrizione in francese nella parte inferiore. Acquistata nel 1867 (f. 8).

(f. 8) D. V. Denon, L'ABBÈ ZANI,
acquaforte e acquatinta, 1797, Londra British Museum
.

 Traduzione:
“Denon disegnò e incise. L’Abate Zani mentre fa, nel Gabinetto Nazionale delle stampe di Parigi, l’interessante scoperta di una incisione di Maso Finiguerra di cui non si conosce ancora una seconda prova e la sola può essere quella che qui esiste: essa rappresenta l’Assunzione o l’Incoronazione della Vergine. Questa lastra in argento che fu dorata, smaltata e niellata nel 1452 da Maso Finiguerra stesso, per servire da Pace o Patena, appartiene alla Chiesa di San Giovanni di Firenze, e lo zolfo che ne è stato tratto si vede nella sua stessa città presso il Signor Consigliere Seratti”.

Sapremo mai di quale colore era l’incisione in possesso del Vescovo Sanvitale?

Vorrei comunque sottolineare, con un pizzico di orgoglio da fidentina acquisita - che spero contagioso - l’onore, il prestigio, la fama, l’ammirazione, rimarcati dai responsabili del Museo inglese verso il nostro concittadino acquisendo le stampe dal mercato antiquario, considerando il fatto che mai lo studioso aveva messo piede a Londra!

In altre pagine che riportano in parte il “Carteggio Malaspina” (Albertario, Aldovini, Tolomelli, Pavia, 2014), l’Abate in una lettera al marchese Luigi Malaspina del 19 giugno 1818 aveva parlato del Prelato e del suo amore per le stampe:
“Giorni sono fui ad ossequiare personalmente il nostro adorabile vescovo, il signor conte Luigi Sanvitale, al quale portai a far vedere in ammasso tutte le cose relative a questa mia miserabil patria, ed al suo santo protettore Donnino. Ne restò egli maravigliato, e mi fece vedere le stampe da lui comperate a Roma, cioè alcune del Volpato, e altre del Morghen.
Io, tra le tante stampe che possedea un giorno, e che giustamente, quantunque povero poteva contarmi per un de’principali amatori dell’Italia in quanto alla loro sceltezza, bellezza, e conservazione, ora non ne posseggo che due sole, cioè la ‘Santa Cecilia’ regalata gentilmente dal signor Mauro Gandolfi, ed il ‘Riposo dal ritorno d’Egitto’, da lei graziosamente a me fattane un altro dono.
Monsignore volle vederle, e la bellezza di detto ‘Riposo’ gli passò dagli occhi al cuore, e tosto ne divenne un appassionato amante. Ed un tale amore in lui si accrebbe allor quando gli narrai, che lei possedeva il quadro originale dipinto da Raffaello, e che l’aveva fatta incidere lei stessa a sue spese. Questo Prelato hammi dunque pregato di procurargliene un esemplare alla lettera pronto subito a sborsare il soldo del suo costo” (C. M. n. 100).
Don Pietro conferma la richiesta il 26 luglio seguente:
“Giorni sono ebbi l’onore d’esser invitato a pranzo con lettera sua propria da questo nostro adorabile Vescovo, il signor conte Luigi Sanvitale di cui le tenni discorso nell’ultima mia lettera. Si parlò della stampa dell’Urbinate incisa dal signor Giovita, e di bel nuovo mi impegnò a procurargliene un esemplare. A lei dunque ricorro supplicandola di ricercarlo e indi spedirlo in Parma per quel limpido canale del quale sono stato altre volte favorito, e alla consegna della stampa, sarà presentato il soldo da lei sborsato” (C. M. n. 102).
Nella lettera in cui ringrazia dell’invio, ritroviamo ancora la sua “povera famiglia”, ma da chi mai sarà stata composta? Scrive, infatti, il 25 agosto:
“Giorni sono mi fu portata dal cameriere del degnissimo signor Robaglia la desiderata stampa, e nell’atto stesso sborsa nelle mani del detto cameriere tre napoleoni; soldo che è già stato rimborsato dal mio Vescovo alla mia povera famiglia lasciata a Borgo. Monsignore è stato contento, e mi impone di ringraziarla” (C. M. n. 105).
Alessandro Toscani, nel suo volumetto su “Pietro Zani” (1893), ci fa sapere che l’Abate, sentendosi vicino alla morte, volle rivedere il suo vescovo e amico mons. Luigi dei conti Sanvitale.
L’incontro e il colloquio tra i due religiosi furono pieni di tenerezza e di pianto. L’Abate “parlò, rassegnato e calmo, della morte imminente (la morte non spaventa il giusto!), preoccupato solo dal pensiero dell’Enciclopedia” che era stata pubblicata solo in parte.

Il 26 marzo precedente, il Prelato aveva chiesto a don Pietro, con una lettera confidenziale, autografa, conservata a Fidenza, un manoscritto del defunto canonico del duomo Alfonso Trecasali per scrivere memorie sulla Diocesi, pensando fosse nelle sue mani (riportata su questo blog l’11 agosto 2021).

Secondo Aimi e Copelli, che si riferiscono al manoscritto Riccardi, il 6 aprile, l’Abate aveva mandato al Monsignore, per mezzo di Tommasini, le iscrizioni del duomo copiate da Antonio Corini “veri capi d’opera per la loro fedeltà” e i disegni dei bassorilievi dell’urna del “bravissimo disegnatore e pittore Angiolo Dal Verme”.

Tra quei fogli, Riccardi cita anche il Crocifisso posto nel teatro, un tempo Ospedale della Maddalena, la pila dell’acqua santa che “servì anticamente per il fonte battesimale, le pitture di S. Antonio del Repetti e del Gelati” (Aimi, Copelli, 1982).

La fede, l’amore per la conoscenza, l’amore per l’arte della propria terra e per le stampe, univano i due religiosi in un’intesa reciproca.

A loro modo hanno lasciato un’impronta nella storia.
È doveroso ricordarli.

Mirella Capretti
Fidenza 10 dicembre 2022 


3 commenti:

  1. Mirella, grazie. Bravissima come sempre.

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  2. Grazie cara Professoressa, è sempre un piacere leggere quanto scrive!

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  3. Molto interessante. Uno dei grandi personaggi borghigiani di cui sapevo poco e niente

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