sabato 4 maggio 2024

Frammenti di Rinascimento fidentino

Fidenza, Cappella della Beata Vergine della Ferrata, esterno sud
 

La Rocca e la Cappella della Ferrata:

 frammenti di Rinascimento fidentino


La Rocca di Borgo San Donnino

Ottaviano Pallavicino (Busseto 1452 -Fidenza 1519), figura di spicco nella corte milanese sforzesca, che gli studiosi non esitano ad identificare con il messer Ottavian che procurò una copia del trattato di Vitruvio a Leonardo da Vinci («da messer Ottavian, il Vitruvio […]» Trattato della pittura di Lionardo da Vinci, Milano, 1804, p. 107), fu signore di Borgo San Donnino dal 1502 al 1519. Vero protagonista del rinascimento fidentino, egli viene ricordato soprattutto per la trasformazione dell’antica Rocca da fortilizio medioevale a ricca dimora signorile, nelle forme che abbiamo conosciuto prima della distruzione causata dalla Seconda guerra mondiale

Si tratta di un intervento certamente importante destinato ad incidere nella storia e nell’evoluzione urbanistica di Fidenza, ma che chiaramente rientra nell’ottica di un programma di promozione del lignaggio pallavicino avviato nella seconda metà del Quattrocento con le importanti realizzazioni di Castellauro (Cortemaggiore), Monticelli, Zibello, Busseto ecc.

Non deve quindi sorprendere la decisione di Ottaviano di affidare l’incarico dei lavori a Bernardino Boccoli detto De Lera (Cremona 1519): una delle personalità più rappresentative dell’architettura cremonese tra la seconda metà del Quattrocento e il primo ventennio del XVI secolo, il cui rapporto coi Pallavicino risale al 1489 con la costruzione del palazzo di Rolando II, signore di Cortemaggiore e primo cugino di Ottaviano.

 A Fidenza il nome di Bernardino De Lera compare in due contratti del 1503 e 1504 per l'adattamento degli ambienti interni alla Rocca e la realizzazione nei lati sud ed est di una serie di loggette il cui impianto è ancora in parte leggibile nelle rare immagini novecentesche. La sua presenza autorizza a pensare a qualcosa di più complesso, a un progetto esteso anche ad altre parti dell’edificio.

La scarsità di notizie e la scomparsa dell’edificio rendono tuttavia difficile valutare la reale entità e le caratteristiche dei lavori. 

Uno spunto interessante in questo senso ci viene offerto da un autentico conoscitore di Borgo, il pittore Ettore Ponzi (1908-1992), autore di una tarda ma attendibile ricostruzione del cortile interno della Rocca che rivela l’esistenza di due porticati sui lati est e ovest di cui si era persa memoria: un impianto tipicamente quattro-cinquecentesco che richiama quello delle corti della Rocca di Soragna e di San Secondo, come confermano le antiche mappe e, in particolare, i rilievi ottocenteschi da cui emerge abbastanza chiaramente il collegamento tra lo scalone d’onore e il colonnato che si affaccia sul lato di destra del cortile interno.

Ed è proprio da questo atrio-porticato, di cui non si conoscono, al momento, altre immagini, che proviene una testimonianza concreta del carattere raffinato della dimora di Ottaviano. Si tratta della superstite colonna in pietra smontata e collocata negli anni Cinquanta in un’aiuola del Parco delle Rimembranze ed inspiegabilmente scomparsa in tempi recenti.


Parco delle Rimembranze: colonna e capitello (foto, 1980 c.)

La sua origine è documentata dalla fotografia che qui pubblichiamo per la prima volta e da una seconda rarissima foto scattata nel cortile della Rocca ormai semidistrutta dove s’intravvede la stessa colonna archivoltata, ancora intatta, ergersi solitaria tra le macerie che ostruiscono l’ingresso principale.


Come  si evince dalla prima fotografia, la colonna ha il fusto liscio e rastremato, il capitello ionico decorato con ovuli e perline e caratterizzato dal lungo collo scanalato e rudentato: una tipologia prettamente rinascimentale che ricorda i capitelli del cortile di Palazzo Fodri e, soprattutto, del chiostro del convento di Sant Abbondio, tra i più noti e importanti complessi architettonici cremonesi in cui risulta attivo, agli inizi del Cinquecento, Bernardino De Lera e, per quanto riguarda la fornitura delle colonne in pietra, lo scultore Pietro Da Rho suo collaboratore il quale potrebbe aver procurato anche i materiali lapidei della vecchia Rocca

Ma la colonna cinquecentesca non è forse l’unico reperto miracolosamente sopravvissuto alle distruzioni della guerra e alle successive demolizioni: resta infatti da confermare l’origine di altre quattro colonne molto simili, due composite e due corinzie, oggi inserite in un contesto rustico nei pressi di Siccomonte, ma già collocate nel pronao posticcio dell’ ottocentesca dimora dei conti Baffoli  a Fidenza, in via N. Sauro, abbattuta negli settanta per far posto all’edilizia speculativa come documenta  una foto di quello stesso periodo.

Ai fasti rinascimentali della Rocca di Borgo ed alle dispersioni successive rimanda anche un inedito foglio ottocentesco conservato negli archivi diocesani (Fondo Pincolini); il documento di eccezionale valore storico ed evocativo descrive un frammento lapideo ritrovato nei fossati della Rocca e poi di nuovo scomparso, nel quale sono riconoscibili lo stemma con  il  quinconce sormontato dall’aquila imperiale e le abbreviature OT· PA· BL· PA· riferibili a Ottaviano Pallavicino e alla seconda moglie Bianca (Blancha) Maria de Federici. 

L’impegno di Ottaviano per il rinnovamento architettonico e urbanistico di Borgo non sembra limitarsi al recupero delle vecchie mura medioevali della Rocca . Le fonti storiche tradizionali, Pincolini e Zani, danno infatti notizia di un palazzo con doppio loggiato affacciato sulla piazza grande in angolo con la via Claudia progettato nel 1510 e forse mai realizzato, del raddrizzamento e della pavimentazione dell’intero tratto urbano della stessa via Claudia o strada maestra realizzato nel 1506 nonché della ricostruzione di un isolato urbano tra san Giovanni e la Chiesa dei Disciplinati (attuale Chiesa di S. Maria Assunta), sempre su iniziativa di Ottaviano.  Anche di tali opere rimane poco o nulla.   


 

La Cappella della Ferrata

Ma c’è una traccia che nei secoli è rimasta ancora ben visibile e che ci riporta a questa breve ma importante stagione culturale fidentina: la ‘bramantesca’ Cappella della Ferrata del Duomo, una « delle poche sopravvivenze di un momento fiorente per l’architettura a Borgo San Donnino» che, come ha scritto Jessica Britti, «è in grado di mostrare oggi un preciso aggiornamento e orientamento, probabilmente anche grazie al clima impostato dai primi anni del XVI secolo proprio da Ottaviano Pallavicino» (Jessica Gritti, La cappella della Ferrata nel Duomo di Fidenza: architettura e plastica decorativa, Milano 2011, p. 394). 

Eretta forse prima del 1506, ma non abbiamo notizie certe al riguardo, e adibita a battistero a partire dal 1513, secondo alcuni storici locali la cappella - solo in seguito dedicata alla B.V. della Ferrata - sarebbe stata progettata e realizzata dallo stesso Bernardino De Lera già attivo nei cantieri della Rocca

La questione attributiva è in realtà molto più complessa come dimostrano le approfondite indagini stilistiche e documentarie della stessa Britti la quale ha individuato nella famosa stampa Prevedari un sicuro modello di riferimento che spiega l’eccezionalità architettonica e decorativa del tempietto sorto sul fianco sud del Duomo, le sue analogie con l'oratorio del Redentore e il chiostro di Sant’Abbondio di Cremona.

Diventa a questo punto importante capire se l'ipotesi della studiosa milanese possa essere estesa anche al pregevole fonte battesimale in marmo bianco conservato nella prima cappella a sinistra, entrando nella Cattedrale di Fidenza, ma che sappiamo essere stato scolpito nel 1513 proprio per la cappella della Ferrata. 

Ora, la sua caratteristica conformazione e, in particolare, l’elegante base quadrangolare sono ripresi pari pari dalla parte centrale della grande candelabra sormontata dalla croce nell’ Interno di un tempio con figure che l’orafo lombardo Bernardo Prevedari incise nel 1481 su disegno di Donato Bramante (Interno di un tempio con figure - Incisione Prevedari -Milano, Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli).       

Verrebbe quasi da pensare ad un velato omaggio al grande architetto urbinate il cui nome è ben visibile nell’iscrizione incisa nel plinto su cui poggia la base della maestosa e ornatissima candelabra: elemento quadrangolare che ritorna identico nella pisside dorata che accompagna simbolicamente l’immagine dolente del Cristo alla colonna, dipinta dallo stesso Bramante sul finire del Quattrocento, e nel Duomo di Fidenza dove esso (ri)appare ingentilito da volute, zampe leonine e teste d’ariete. 

 

Alla luce di questo inedito confronto è, forse, da rileggere con maggiore attenzione l’atto notarile stipulato nel febbraio del 1513 da cui risulta che il fonte battesimale, costato 25 fiorini d’oro e 12 soldi, è stato donato alla Chiesa di San Donnino da Bernardino Felini, un devoto borghigiano qualificato come magister draperius ma confuso in passato con l’omonimo magister cui si deve il progetto del fonte «in ligno turnito ac et in carta designato» (si tratta evidentemente di due personaggi distinti, il committente e il progettista, il mercante o il (mastro) fabbricatore di stoffe e l’architetto. Di quest’ultimo non conosciamo altre opere a suo nome: mi sembra ragionevole pensare che magister Bernardinus possa essere identificato, pur in assenza di documenti diretti a supporto di tale ipotesi, con Bernardino De Lera. 


Ma vi sono altri indizi importanti che ci portano ad attribuire a De Lera non solo  il fonte battesimale ma anche l’importante architettura della  cappella destinata ad accoglierlo: si tratta della coincidenza tra la data  del fonte battesimale e gli affreschi ultimati il 21 settembre 1513 oltre all’iconografia  dedicata al  primo sacramento: la colomba dello Spirito Santo, la frase evangelica che ricorda il battesimo di Cristo e i ritratti dei quattro evangelisti.

 





Di sicuro interesse, per ricostruire la storia del piccolo edificio bramantesco che si protende sul lato sud del duomo sono anche alcune tracce murarie venute alla luce nel corso di recenti restauri, che fanno ritenere che il tempietto bramantesco sia stato eretto in almeno due fasi abbastanza distanziate nel tempo e completate solo nel 1513 con la posa del fonte marmoreo al centro della nuova cappella ove non fatichiamo ad immaginarlo elevato da uno-due gradoni sull’esempio della candelabra disegnata da Bramante. 

Anche lo stile degli affreschi merita di essere attentamente analizzato. Esso ci riporta nuovamente Cremona: non a Tommaso Aleni, come è stato sbrigativamente affermato, bensì ad Alessandro Pampurino (Cremona 1460-1523) per evidenti analogie stilistiche in particolare con il ciclo affrescato della chiesa vecchia di Scandolara Rivara. 

Da notare che Alessandro Pampurino è il secondogenito di Francesco, mastro muratore e stretto collaboratore dell’architetto cremonese, presente nei principali cantieri e citato, come testimone a favore, negli atti di un noto processo che coinvolse De Lera: è forse all’interno di  questa ristretta cerchia di rapporti professionali o di amicizia gravitanti attorno alla figura dell’architetto impresario cremonese che potrebbe essere maturato l’incarico ad Alessandro Pampurino di affrescare la cappella battesimale del Duomo di Fidenza.  

L’enorme successo della stampa bramantesca, soprattutto tra gli artisti di area lombarda, e che si riflette anche nell’arca di San Donnino inaugurata nel 1488, ben tre lustri prima della cappella della Ferrata, spiega solo in parte l’eccezionalità del tempietto-battistero fidentino: la sua esuberanza decorativa e monumentale che non trova facile riscontro nelle opere note di Bernardino De Lera.  

Nel caso di Fidenza, l’adesione convinta ai canoni bramanteschi sembra esprimere la volontà di De Lera di adeguarsi ad un esempio illustre, ad una architettura ideale, una scelta molto probabilmente condizionata dalla vicinanza di Ottaviano Pallavicino, con il quale l’architetto cremonese è impegnato tra il 1502 e il 1504 per gli importanti lavori nella Rocca. 

Nulla esclude che tra committente e artista si sia sviluppato un rapporto di stima e di amicizia e che proprio il colto signore di Borgo, già in relazione con Leonardo da Vinci a Milano, abbia indicato, di persona, la preziosa stampa milanese come esempio di “modernità” umanistico-rinascimentale. 

Il coinvolgimento di Ottaviano, avvenuto forse nella fase progettuale, non farebbe che confermare l’antico legame che unisce la grande famiglia feudataria alla Chiesa di San Donnino. Sul possibile ruolo mecenatizio di Ottaviano non abbiamo documenti certi ma solo la notizia della donazione di alcune preziose suppellettili liturgiche tra cui il «bel vaso d’argento per le cresime» (A. Aimi- A. Copelli, op. cit., p. 119), elemento oltremodo significativo in quanto associabile ai riti celebrati nella cappella battesimale.

Il rapporto tra Bernardino De Lera e Ottaviano rimane tuttavia una questione aperta come pure il Rinascimento fidentino: un campo ancora poco frequentato dagli studiosi che meriterebbe di essere ulteriormente studiato e approfondito. 

Ottaviano Pallavicino muore nel 1519 (lo stesso anno della scomparsa di Bernardino De Lera) e viene sepolto  nel coro del Duomo; il suo monumento funebre verrà rimosso nel 1568. 

            Oggi, con il restauro della cappella della Ferrata e dell’arca di San Donnino, che il vescovo Ovidio Vezzoli ha voluto significativamente collocare al suo interno, restituendola alla fruibilità immediata del fedele o del visitatore, si ricompone un altro frammento della storia religiosa e artistica della città di Fidenza, tra Umanesimo e Rinascimento.  

Guglielmo Ponzi

Nota: il testo presente articolo, qui arricchito di una maggiore documentazione di immagini, è stato pubblicato in due puntate dal settimanale diocesano "il Risveglio" nel novembre 2020. 

Questo articolo è scaricabile in formato PDF al link Academia-Edu 

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