"Per cento giorni e notti condussi questa vita dannata, senza mai avere pace. Pochissime volte potei spogliarmi e lavarmi: quanti pidocchi, bianchi e rossi sentii per il corpo e a centinaia li vidi negli indumenti e quanto fastidio mi davano, soprattutto quando volevo dormire. Fu davvero una dannazione peggio della morte. La mente e lo spirito già vagavano nell'oblio, la luce pallida e senza colore e calore; senza profumi i pochi fiori campestri e gli uccelli erano neri corvi, falchi e aquile rapaci.
Infatti il 31 dicembre 1943, stanchi, affamati, sfiniti e ammalati discendiamo a Elbasan, dai tedeschi. Sono le sei del mattino quando cominciamo a scendere dalle montagne; già siamo sotto le pinete e i faggeti quando l'aria si fa più tiepida e il terreno più fino; la strada si fa di un bel verde. Giunti in città, accompagnati dai nazionalisti ci buttiamo nei primi negozi per chiedere un po' di pane che subito divoriamo. Pane che non mangiavamo da tre mesi e mezzo.
Dopo averci portato al comando dei lealisti ci conducono a quello tedesco ove siamo subito interrogati e chiusi in un vecchio carcere. Il 7 gennaio del 44, con nostro grande sollievo, ci fanno salire su automezzi per lasciare finalmente, e forse per sempre, quella maledetta canaglia di briganti, inospitali e vili.
La notte arriviamo a Bitoli, fredda e con molta neve; dopo tre giorni partiamo anche dalla Bulgaria su carri bestiame per raggiungere Belgrado.
I servizi igienici: un unico mastello. Per dissetarmi cercavo di prendere una manciata di neve, nera, dal tetto del vagone. Dopo non so quanti giorni arrivammo a Belgrado ove ci internarono nel campo di concentramento di Semlin. Dopo pochi giorni, nel mese di gennaio mi ammalai gravemente."
Ambrogio, non ti ho mai chiesto se tuo Padre abbia mai raccontato a voi figli, le atrocità subite. Se ti senti e se lo credi opportuno, ti leggerei volentieri.
RispondiEliminaAlla pagina www.ponziettore.it scegliendo il link Memorie trovi il suo diario. Molte altre cose ho poi ricostruito attraverso contatti in Albania e Serbia: luoghi, fatti. Sul discorso dei campi di concentramento la retorica imperante, l'approssimazione ed gli "eroi" mi consigliano di star fuori dal coro e dai piagnistei. Ho avuto occasione di parlarne due anni fa a un folto uditorio di studenti, è stata una esperienza straordinaria. Qualora dovessi ripeterla ti avviserò. Le parole parlate dicono spesso molto di più di molti scritti.
EliminaGrazie.
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