Sulla
secentesca facciata della chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo in Roncole Verdi (PR) è collocata, tra
l’ingresso di sinistra ed il portale principale, un’epigrafe in lingua latina, disposta
su cinque tavelle in cotto[1],
oramai sbrecciate dal tempo. Non sono molti quelli che vi fanno caso, ancor
meno quelli che si fermano a leggere. Qui
riportiamo il testo dell’ iscrizione, la trascrizione e la traduzione italiana:
Annibale Viola nacque alle Roncole il 24 Dicembre 1823, figlio di Giovanni Battista, agricoltore-proprietario, e di Gaetana Romani, coniugi domiciliati nella medesima parrocchia dove, il 26 dicembre, fu battezzato dal prevosto Carlo Arcari[2] coi nomi di Annibale e Stefano. Il secondo nome si deve con tutta probabilità alla felice coincidenza del nome del nonno materno con quello del santo del giorno del battesimo.
Ebbe come
padrini Giacomo Mazzera della parrocchia di Semoriva e Maria Fiorita Rastelli
della parrocchia di Busseto;[3]
testimoni dell’atto civile, figurano, invece, davanti al podestà di Busseto, Vittorio
Frondoni, il giorno 27 Dicembre, Spotti Angelo e Maradini Giuseppe, entrambi
agricoltori e domiciliati alle Roncole.
Dieci anni prima,
sempre nella stessa chiesa, era stato battezzato, nel mese di Ottobre, e sempre
dallo stesso parroco, Giuseppe [Fortunino Francesco] Verdi (1813-1901).
Formatosi
spiritualmente alla scuola di don Pietro Montanari[4],
prevosto delle Roncole dal 1827 al 1851, Annibale Viola ricevette, a sette
anni, nel 1830, il sacramento della confermazione da Mons. Luigi Sanvitale
(1817-1836), nella Chiesa Collegiata di Busseto[5],
e fu poi accolto, nel Seminario di Borgo San Donnino, da don Francesco Bonacorsi,
rettore dell’istituto (1830-1846),[6]
già prevosto di Zibello e futuro parroco in San Vitale a Parma; il suo percorso
di chierico minorista, cioè di clericus
tonsuratus nella fase preparatoria agli ordini maggiori[7],
continua sotto l’episcopato di Giovanni Neuschel (1836-1843) il quale ha, come vicario
generale, don don Giuseppe Demalde’ (1839-1843), futuro prevosto di Busseto,[8]
e si conclude col vescovo Pietro Crisologo Basetti (1843 –1857) che si avvale,
nel governo diocesano, della collaborazione vicariale di don Giuseppe Maria
Cavalli (1843-1853), già cappellano di corte di Maria Luigia[9].
Quando l’adolescente
roncolese, dalla Strada maestra, l’antica Romea, si
affaccia sull’acciottolato di Piazza
Duomo, incrocia subito la settecentesca facciata del Seminario - la
popolaresca fabrica di prêt[10]
-, allora situato sul lato destro della Cattedrale [11],
che lo accoglie con poche parole incise sopra il maestoso portone d’ingresso: D.
AUSPICE DOMNINO/STUDIOSOE AC PIAE IUVENTUTI/ STAT DOMUS/ 1709[12]
; parole lapidarie ma dense - una sorta di twet,
si direbbe oggi -, che dispiegano subito, senza tante frange, un intero
programma di vita: Sotto la protezione di
san Donnino/ per i giovani dediti alla studio e alla preghiera/ sorge questa
casa.
In realtà,
la Casa del Seminario di Borgo san
Donnino era stata fondata quasi un secolo prima per opera di don Gislamerio
Scarabelli, il quale mise a disposizione del vescovo mons. A. Pozzi una casa di
sua proprietà (oggi, Palazzo Tridenti) sita in Piazza Grande (oggi, piazza Garibaldi), inaugurata il 14 Maggio
1624 e di cui il sacerdote fu anche il primo rettore.
Nel 1690, lo stesso anno della prima pietra
della chiesa di Madonna Prati, il vescovo Niccolò Caranza diede pure inizio ai
lavori per la costruzione di un nuovo istituto religioso che fosse più vicino
alla chiesa di san Donnino; inaugurato nel 1709 ma ultimato nel 1715, subì
ampliamenti e trasformazioni nel corso dei secoli, restando al servizio della
diocesi fino al bombardamento aereo del 13 maggio 1944. Il seminario urbano troverà,
poi, naturale completamento, per iniziativa del vescovo Alessandro Garimberti, nella
sede di Campolasso: una domus
rusticationis «dalla bella sontuosità» che «adorna il castello» di Bargone (Salsomaggiore) come «vestimento di
gemma un vecchio simulacro»,[13]
dove i chierici passeranno, a partire dal 1819, la villeggiatura estiva e dove sfolleranno,
più d’un secolo dopo, durante l’ultimo conflitto bellico. I lavori di
costruzione del nuovo istituto religioso della diocesi fidentina, oggi situato in
via Palestro, e non più in media urbe,
iniziati da mons. Francesco Giberti il 12 ottobre 1949[14],
furono definitivamente completati da mons. Paolo Rota nel 1955. Ma la nuova domus, già in funzione, venne aperta
molto prima: il 5 dicembre 1950.
I primi
seminaristi dell’anno 1624 erano 12 di cui 4 scelti dalla comunità,[15] ma quando vi arriva Annibale Viola il
loro numero è assai più consistente, considerato, per esempio, che, una città
come Bologna faceva registrare, nel Settecento, la presenza d’un sacerdote ogni
45 abitanti, mentre, a Borgo san Donnino, nel 1715, si contavano tra canonici,
preti e chierici 195 ecclesiastici secolari. E negli anni successivi, dopo la
caduta di Du Tillot (1771) e della sua aspra politica anti-regolare, c’erano
ancora 156 ecclesiastici regolari (comprese le suore) su di una popolazione
urbana di 3121 abitanti[16]:
la curva discendente inizierà, praticamente senza soluzione di continuità, solo
dopo il 1861, quando la media italiana è di un prete ogni 250 abitanti[17].
In tal modo,
secondo il censimento del 1901, aggiornato al 1908, il numero dei seminaristi
di Borgo è di 70 unità, di 100 sacerdoti secolari e di 10 religiosi, a fronte di
54 parrocchie con una popolazione cattolica di 60.400 unità[18].
E’, dunque, plausibile,
che nei primi decenni dell’ Ottocento, il numero degli allievi, pur in sensibile
calo per i contraccolpi della
Rivoluzione francese, fosse ancora superiore[19]
rispetto a quello censito nei primi anni del Novecento[20].
Non deve, allora, sorprendere se in un’unica parrocchia o nello stesso territorio
ci fosse la compresenza di più seminaristi in una sorta di passaggio di
testimone tra chi veniva ordinato sacerdote e chi iniziava il percorso
ecclesiastico.
Sul
versante della “ grande storia”, la vicenda terrena di Annibale Viola incrocia,
invece, l’ultimo scorcio della Restaurazione , sotto il pontificato di Gregorio
XVI e la ducea di Maria Luisa d’Austria, concludendosi alla soglia della prima
guerra d’indipendenza : sono anni “inquieti” , segnati dai moti insurrezionali
del 1831[29]
e, sul piano culturale, dal movimento romantico - i Canti di Giacomo Leopardi (1819-1836); I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni (1827-1840), ma anche Le mie Prigioni di Silvio Pellico(1833);
Oberto (1839)… Nabucco (1842), I Lombardi
alla prima crociata (1843) di Giuseppe Verdi - ; e su quello politico- filosofico
dal pensiero di Vincenzo Gioberti, di Antonio Rosmini, di Giuseppe Mazzini, senza
dimenticare Pasquale Galluppi: una stagione culturale, insomma, ricca di
fermenti innovativi che si caratterizzò sempre, anche sul piano speculativo,
per la sua vocazione civile[30].
Biblioteca del vecchio Seminario |
|
E se già nella prima metà dell’Ottocento, l’istituto religioso poteva vantare una ricca biblioteca,[32] «un piccolo Teatro» con «palco scenario»[33] ed un attrezzato laboratorio di fisica[34], contando, inoltre, sul prestigio culturale di molti docenti, tra cui spiccano le figure di mons. Carlo Maria Fontana[35] e poi, dal 1845, di mons. Giuseppe Buscarini,[36] sarà solo a fine del secolo che il vescovo Giovambattista Tescari (1886-1902) porrà fine all’«abuso» che riguardava ancora la «maggior parte dei chierici»: essi «vivevano fuori dal seminario, frequentandone soltanto le scuole, con grave scapito della disciplina»[37].
Presentata
dal rettore o dal vescovo come la “voce di Dio”, il giovane roncolese ascolta, la
sera stessa del suo ingresso, la lettura fatta in refettorio, del Regolamento pel venerato Seminario di Borgo
san Donnino[38]
che, ripetuta a metà del corso scolastico, scandirà la giornata nei minimi
particolari: egli dovrà osservarne le norme in modo meticoloso, conformandosi con
duttilità e mansuetudine a ciò che viene considerato dai Superiori il
”dispositivo” non negoziabile del suo percorso di (tras)formazione sacerdotale.
[39]
La cosa non
deve neanche tanto sorprendere. E’ la logica conseguenza d’una mentalità ampiamente
condivisa riguardo l’immagine del prete, senza alcuna problematizzazione del
suo ruolo sociale e religioso: egli è semplicemente l’uomo della preghiera,
della vita ritirata, del sacrificio, dell’amministrazione dei sacramenti, della
dedizione al suo popolo, nella docilità all’autorità gerarchica “impressa” fin dagli
anni del seminario[40].
E Annibale
Viola prega, studia, (ri)costruisce se stesso, secondo questo modello
sacerdotale, distinguendosi subito per un profilo di alto livello sia sul piano
del profitto scolastico che su quello dello stile di vita: l’elogio affidato all’iscrizione
commemorativa roncolese , a prima vista dal tono un po’agiografico, trova,
invece, piena conferma negli esiti, sempre molto lusinghieri, che emergono dai registri
scolastici e dalle valutazioni espresse dal collegio dei docenti.
Nel corso
post-ginnasiale, allora denominato Classe
di Filosofia e Matematica,
comprendente gli insegnamenti di Logica e Metafisica, Matematica e Algebra, Aritmetica
e Geometria, Fisica ed Etica, i docenti, dinanzi a risultati classificati
sempre con «ottimo» in tutte le
discipline, lo qualificavano già da subito come «giovane di talento , diligente
e savio»: un giudizio che si fa più articolato negli anni e che, di fatto, non
viene mai smentito dai risultati; anzi l’ombra di qualche osservazione non fa
altro che rimarcare il valore delle potenzialità dell’alunno: «giovane di molto
talento e di memoria felice, studia, ma è diviso tra molte occupazioni, sicché
non pare che dia quanto l’ingegno suo dovrebbe».
E più avanti,
al 3° anno, mentre si sottolinea che «nell’esame dovrebbe fare meglio d’ogni
suo condiscepolo»[41],
si annota pure che «per mantenersi, dà molte lezioni private», concorrendo in
tal modo, pur godendo d’una sufficiente tranquillità economica, alle spese
sostenute dalla famiglia per un ammontare medio di lire 360 di pensione annua[42].
Le medesime
valutazioni ritornano per tutto il corso della Classe di Teologia comprendente gli insegnamenti di Teologia
metafisica, Dogmatica, Morale e Sacra Scrittura, e che ha già come punto di
riferimento l’autorevolezza del canonico Fontana, docente di Teologia dogmatica,
dopo il lungo ed eminente magistero di Francesco Tommaso Giovanetti [44]
e prima della prestigiosa stagione buscariniana che, nella seconda metà
dell’Ottocento, farà del seminario borghigiano «uno dei migliori centri
d’istruzione e di cultura della provincia», istituendovi, per il
Ginnasio-Liceo, la cattedra di lingua greca e, per il corso teologico, quelle
di sacra eloquenza, di storia ecclesiastica e di diritto canonico [45].
Ma il 26
Aprile 1841, durante il primo anno di Teologia, il collegio dei professori formula,
quasi sconsolato, un giudizio, dove il soddisfacente profitto scolastico
dell’alunno, passa decisamente in secondo piano: «Ci duole pronosticare che la
salute di questo giovane ci tronca, appena sorte, le speranze non ordinarie che
i talenti di lui, la buona volontà e la condotta ce ne avevano fatto concepire»[46].
Anche se nulla
si dice della patologia insorta, è tuttavia assai probabile che si tratti di
tubercolosi polmonare ove si consideri, da un lato, l’alta incidenza di questa
malattia nell’Ottocento e, dall’altro, la sua relazione con lo stato igienico-sanitario
degli spazi vissuti, davvero insufficienti quelli del seminario per gli ambienti
angusti e poco soleggiati: «dopo tanta magnificenza esteriore», lamentava il
dott. Vincenzo Plateretti, medico di Borgo, «manca dei necessari commodi, ed ha
un picciolo Cortile, pel quale le picciole abitazioni degli Alunni, e Convittori
sono assai poco areate. Se le Case contigue, già tutte acquistate dal Seminario
potessero essere ridotte a continuazione della sua Fabbrica, allora se ne
aumenterebbe il bello, e se ne farebbe l’utile;
ma le scarse entrate di questo luogo non permette di formarne neppure i voti»[47].
E’ evidente
che le osservazioni del dott. Plateretti si appuntano non (sol)tanto sulla Casa
del seminario – e questo sarebbe il meno -, ma vanno iscritte nell’ampia e più
cruda descrizione delle condizioni di vita della città agli inizi dell’Ottocento:
dalla scarsità del fabbisogno alimentare alla povertà diffusa della popolazione,
dalla «trascuranza della pubblica pulitezza » alla promiscuità di molti «abituri»;
per non dire, poi, della presenza, «nel mezzo del centro abitato», della fossa
per la macerazione (e la concia) delle pelli, «esalatrice pur essa di putridi
miasmi». Insomma, un vissuto quotidiano che, al di là d’ ogni evento estremo,
come l’epidemia di colera del 1836, poteva tenere sempre in bilico la sicurezza
della salute pubblica[48].
A diciott’anni, non ancora compiuti, si apre il calvario di
Annibale Viola.
Mons. Pier Crisologo Basetti |
E purtuttavia, la malattia non riesce a strozzare
la tenacia di questo giovane che sembra non arrendesi ad una vita non vissuta: «studia
quanto può», annotano i docenti, «e darebbe assai più se la salute lo
permettesse»; e ancora: «ha studiato assai», mentre la «buona distribuzione del
suo tempo lo rende utile agli altri». Ma quello horribilis è certamente l’anno scolastico 1843-44, quando,
costretto a lasciare il seminario, frequenta come forestiero: affronta gli ultimi esami il 16-17 Luglio 1844, l’esito
è definito, questa volta, «felicissimo»[50],
cioè eccellente, mentre tace qualsiasi altro descrittore valutativo o
situazionale: tutto è affidato a quell’unico aggettivo di grado superlativo dal
tono quasi “elegiaco”, carico di affettuosa malinconia…
E qui è il
lettore che deve sforzarsi d’ immaginare, quanto quel tempo, passato tra
speranze e timori, poté apparire anche mirabilis
al giovane roncolese: il 23 Dicembre 1843, il giorno prima del suo ventesimo
compleanno, completava il percorso di chierico minorista, ricevendo dalle mani
di mons. Basetti, in Cattedrale, gli ultimi due ordini minori: esorcistato e
accolitato.[51]
Ancora pieno
di voglia di fare lo troviamo di sfuggita, a Borgo san Donnino, il 15 Aprile
1844, da dove, con elegante e sicura grafia, scrive: «Attesto che il giovinetto
Moi Salvatore pel corso di oramai due anni frequenta con assidua diligenza le
mie lezioni sui primi precetti della lingua italiana, ne’ quali, nonostante la
sua tenera età, ha sufficientemente profittato, ond’è che mi lascia fondata
speranza d’una felice riuscita nella carriera degli studi»[52].
Ma il « morbo lento», per usare le parole di Manzoni, non perdona: pur tra ingannevoli intermittenze, uccide subdolo in silenzio, nell’impotenza della medicina del tempo[53].
Ritornato al paese natale, il giovane levita si spegne, il 17 settembre 1845, nella casa di famiglia, alle ore nove del mattino, col conforto religioso (pluries sacramentaliter confessus, sacro viatico refectus, sacra unctione corroboratus) del prevosto don Montanari e del cappellano don Antonio Masini[54], accompagnato dalla preghiera e dalla benedizione del Santo Padre (commendatione et benedictione pontiphicia in extremo agone munitus), mentre sarà proprio il genitore settantenne, a denunciare, il giorno successivo, davanti a Luigi Carrara, «primo sindaco di Busseto», delegato del podestà, la scomparsa del figlio non ancora ventiduenne[55]. Dopo i funerali nella chiesa di san Michele Arcangelo, la salma di Annibale Viola fu tumulata nel cimitero locale.
Abstulit atra dies et funere mersit acerbo esclamerebbe lo “spirito del tempo”.
Ma, al netto
d’ogni mitizzazione romantica, dovette essere soprattutto l’esemplarità di vita
del giovane seminarista a suscitare non solo commozione, ma anche pubblica
ammirazione, se fu concessa una lapide commemorativa sulla facciata della
chiesa del paese, dove di lì a poco, il clericus
in minoribus constitutus avrebbe celebrato la prima messa.
Il testimone
roncolese non andò, tuttavia, disperso: lo raccoglie subito un altro
«giovinetto di grande talento», Giovanni Fulcini,[56]
che, il 29 ottobre 1845, «porge umilmente supplica» per avere «licenza di
vestire l’abito clericale» nel seminario fidentino: poi sacerdote, canonico
della collegiata di Pieveottoville.[57]
Figure e storie sempre più sfuggenti, tra ricordanze non solo roncolesi: difficile dire se da attraversare ancora, con qualche turbamento o da riconsegnare, subito, al freddo archivio della storia, difficile dire….
Fausto Cremona
[1] Il manufatto (80x40) , con due fregi floreali nella parte
inferiore, è di fattura molto semplice, riconducibile con tutta probabilità
all’attività di fornaci locali per la
lavorazione del materiale laterizio.
[2] Arcari Carlo. Nato a Borgo
san Donnino (PR) nel 1765; ordinato nel 1789 da mons. A. Garimberti; professore
in seminario(1789 -1800); parroco a Coduro (1801-1808); prevosto alle Roncole (1808-1824),
dove morì il 21-01-1824. Cfr. D.
Soresina, Enciclopedia diocesana
fidentina, Fidenza, MCMLXXIX, III, p. 896. Da qui in poi l’opera, divisa in
tre volumi – I ( I personaggi,
Fidenza, MCMLXI), II (Città e Paesi,
Fidenza, MCMLXXV), III (Le parrocchie, i
Parroci, le Chiese, Fidenza MCMLXXIX) - è citata con la seguente
abbreviazione: EDF.
[3] Registro
dei Battesimi , Archivio della
parrocchia di Roncole Verdi (PR).
[5]
Sempre nella Collegiata bussetana, G. Verdi
aveva ricevuto, dal medesimo presule, la cresima, a sei anni, l’11 Luglio 1819,
padrino Ascanio Casali. Cfr Registro dei
confermati della parrocchia di Roncole dal 1755 al 1853.
[6] Bonacorsi Francesco. Nato a Lugagnano (PC) nel 1796; ordinato nel 1819 da mons.
Luigi Sanvitale; professore in Seminario fino al 1829; arciprete a Zibello (
1829-1830); rettore del seminario (1830- 1846); esaminatore prosinodale,
canonico teologo della cattedrale, teologo della diocesi ( 1843), rettore di S.
Maria Maddalena a Parma (1846-1859) e poi in san Vitale (1859-1874) a Parma,
dove morì nel 1874. Cfr. EDF., III, p. 1238.
[7] Dopo il concilio di Trento e fino al Vaticano II, la preparazione
agli ordini maggiori ( suddiaconato, diaconato e presbiterato) era preceduta
dagli ordini minori ( ostiariato, lettorato, esorcistato, accolitato). Ma il
preludio di tutto era la sacra tonsura (lat. eccles. clerica), cioè il taglio dei capelli in forma di corona che, assieme
all’abito talare, segnava il passaggio dallo stato laicale a quello clericale.
Il Concilio di Trento, nella sessione XXIII (15 Luglio, 1563), decreto De Reformatione, stabilisce al riguardo :« Perché
possano essere più facilmente educati alla disciplina ecclesiastica, [i
fanciulli] prenderanno subito la
tonsura e indosseranno sempre l’abito ecclesiastico» (c.
XVIII). Cfr. Enchiridion Clericorum.
Documenta Ecclesiae sacrorum alumnis insituendis, Roma, 1938, nn. 97-103.
[8] Demaldè Giuseppe. Nato a
Busseto nel 1781, fu ordinato nel 1814 dal vescovo di Parma mons. Carlo
Francesco Caselli, vacando la sede episcopale di Borgo san Donnino. Dottore in
sacra Teologia, canonico arcidiacono del capitolo della cattedrale, vicario
generale, fu canonico prevosto di Busseto dal 1845 al 1856, anno della sua
morte, largamente compianto dalla popolazione. Le benemerenze dell’illustre
prelato sono ricordate in una lapide commemorativa posta nella chiesa
collegiata di San Bartolomeo. Cfr. EDF.,
I, p. 133, III, p. 418.
[9] Cavalli Giuseppe Maria. Nato a San
secondo P. se nel 1808; ordinato sacerdote nel 1826 da mons. Carlo Francesco
Caselli, predicatore di fama; archivista della Cattedrale di Parma, diventò poi
cappellano di corte (1838); giunse a Fidenza (1843) al seguito del vescovo Basetti del
quale è vicario generale fino al 1853, anno in cui rinuncia all’incarico per
diventare il 22° prevosto di San Secondo, dove muore nel 1892. Cfr.
EDF., III, p.1291.
[10] V. Chiapponi – T. Corradi, Ciao borgo, Piacenza,
1987.
[11] V. Chiapponi - E. Ponzi, Buräg Dü ovverossia Borgosandonnino, tra cronaca e costume in «Quaderni
fidentini» n° 13, Parma, 1980, p. 49.
[12] Cfr. Il seminario. Cenni
Storici, (senza autore), Fidenza, 1936, p. 17.
[13] Cfr. Il mondo Illustrato.
Giornale universale, anno secondo, n°.18, 6 Maggio 1848, p. 277.
[14] Cfr. Bollettino ufficiale
della Diocesi di Fidenza, marzo- luglio 1949.
[15] A. Aimi -A Copelli, Storia di Fidenza,
Parma 1982, p. 175.
[16] Cfr. M. Lori, Fidenza nel Settecento, 1984, pp.
87-122; in particolare, pp. 90-91; 94. Solo qualche esempio: la parrocchia
della Cattedrale contava 5 canonici, 38 sacerdoti e 37 chierici; quella di san
Michele Arcangelo: 21 sacerdoti e 16 chierici; quella di S. Pietro: 25
sacerdoti; quella di San Giovanni Battista : 4 canonici, 24 sacerdoti e 15
chierici.
[17] Cfr. M. Guasco, Fermenti nei seminari del primo ‘900,
Bologna, 1971, pp. 89-90.
[18] In merito alla situazione dei seminari per regioni, aggiornata al
1908, cfr. D. Schiappoli, Il riordinamento dei Seminari in Italia,
in «Rivista di Diritto Pubblico »12 (1910),parte I, pp. 529-563 e A. Battandier, Annuaire Pontifical Catholique, XIIa Année, Paris, 1909.
Cfr. anche M. Guasco, op. cit., pp. 241-248.
[19] E’ difficile, al riguardo,
fornire notizie certe poiché, coll’ edificio
del vecchio Seminario, andò distrutta o dispersa molta parte della sua
documentazione archivistica.
[20] A partire dagli inizi degli anni ’60 del
‘900, ebbe inizio la fase più acuta della crisi dell’istituto religioso
borghigiano e, più in generale, di tutta Italia. Oggi, a distanza di poco più
di tre secoli dalla
fondazione, il seminario di Fidenza registra la presenza di 2 seminaristi,
ospitati dal Collegio Alberoni di Piacenza. Non diversa la situazione di Bologna, tanto per mantenere il
termine di confronto già citato, ove il pontificio seminario regionale
flaminio, su un totale di 14 seminaristi provenienti da otto diocesi, ne conta,
oggi, solo quattro della diocesi bolognese, a fronte dei 265 dell’inizio del
secolo scorso.
[21] V. Plateretti (a c. di M. Galli – G. Ponzi ) Memorie per servire alla storia dello stato attuale di Borgo san
Donnino (1802), in «Quaderni
fidentini»,N. 23,
Fidenza 1983, p. 23.
[22]
Donetti Antonio. Nato a Busseto nel
1821; ordinato nel 1845 da mons. P.C. Basetti; arciprete dal 1851 a Siccomonte,
dove morì nel 1885. Cfr. EDF, III, p. 1114.
[23] Demaldè Pietro. Nato a Busseto nel 1822 è il
nipote di don Giuseppe Demaldè; ordinato sacerdote nel 1845; can.co della
chiesa di Monticelli d’Ongina, curato parroco, quindi vicario perpetuo, a San
Pietro in Corte dal 1851 fino alla morte. (1894). Parroco benemerito, molto
attivo nell’esercizio del ministero pastorale e nella cura della sua chiesa: a
lui è stata dedicata la Scuola materna del paese, mentre una lapide posta sul
campanile ne ricorda i lavori di rifacimento (in honerem titularis turrim hanc
ad meliorem formam reductam) e l’inaugurazione del 23 ottobre 1892. Cfr.
EDF, III, p. 1067.
[24] Marco antonio Demaldè, nato a
Busseto nel 1824, canonico parroco del capitolo collegiale della Chiesa di San
Bartolomeo. Sacerdote di grande pietà e cultura (pietate et doctrina insignis), animato da grande amore per gli
ultimi (pater pauperum et solacium miserorum),
si spese con grandissima dedizione (tenacissime)
per i malati di colera (indica lue
infectis) durante l’epidemia del 1854. Morì, a Busseto, nel 1891. Figura
assente dall’Enciclopedia diocesana
fidentina di D. Soresina, le
brevi note sono state desunte dalla lapide posta nel cimitero urbano di
Busseto.
[25] Bellingeri Giovanni Battista. Nato
a Busseto nel 1814, ordinato nel 1837, dopo una breve esperienza come insegnante nello stesso seminario vescovile e
di vicario cooperatore a Monticelli d’Ongina, venne nominato, nel 1840,
-arciprete di S. Pietro Apostolo, parrocchia nella quale rimase per cinquantasette
anni, segnalandosi, soprattutto, per la forte resistenza nei confronti
dell’anticlericalismo liberal-massonico che, nel 1860, giunse a trasformare la
sua chiesa in magazzino di foraggio per i cavalli delle truppe governative.
Prefetto dei sacerdoti urbani, muore a Borgo nel 1897. Cfr. EDF, III, p. 331.
[26] Laurini Carlo, nato a
Roncole il 21-6- 1811, ordinato nel 1834 dal vescovo Luigi Sanvitale, rettore a
Ragazzola dal 1848 al 1849, dove muore il 31-03-1849. Cfr. EDF, III, p. 876.
[27] Il distretto di Busseto, comprendeva, oltre a quello del capoluogo,
i comuni di Polesine, Zibello, Castione, Roccabiannca e Soragna. La Commesseria
distrettuale venne abolita il 9 giugno 1831 e il comune passò a dipendere da
quella di Borgo S. Donnino. L’ultimo commissario governativo fu Lorenzo
Corbellini, passato poi alla sede di Montechiarugolo. Cfr. C. Soliani,
Nelle terre dei Pallavicino. Dalla
soppressione dei feudi all’unità d’Italia 1802-1869, Parma 2011, p.14.
[28]E. Seletti,
La Città di Busseto, 1883,
II, p. 97.
[29] Sui moti del 183I e la loro ripercussione
nei nostri luoghi, si veda C. Soliani,
op. cit. pp. 11-43; qui vale la pena ricordare
soltanto che Giaccchino Levi fu tra gli ispiratori bussetani di questa breve
stagione insurrezionale.
[30] Il quadro di
questa intellighenzia ed altri “
filosofi invisibili” (B. Spaventa, F. Fiorentino, Florenzi Waddigton….) usciti
da tempo dall’ orizzonti degli studiosi, sono riportati oggi al centro
dell’attenzione da B. Copenhaver e Rebecca Copenhaver, Filosofia in Italia ( 1800-1950). Uno
sguardo dall’esterno, Firenze 2023.
[31] Va pure ricordata un’altra questione che sarebbe diventata
cruciale nella seconda metà dell’Ottocento: i programmi del ciclo secondario
difficilmente corrispondevano a quelli della scuola pubblica, creando notevoli
difficoltà agli studenti che avessero voluto acquisire un titolo legale di
studio. Solo col piano di riforma del Programma
generale di studi, varato nel 1907 da Pio X, si dispose che i seminari
nazionali adottassero i «programmi vigenti in Italia». Ma in quello di Borgo
sanDonnino, per iniziativa del vescovo G.C. Guindani (1873-79), in continuità
con l’azione innovatrice di G. Buscarini, suo predecessore, l’equiparazione ai
programmi governativi era già in atto da almeno trent’anni, suscitando la stima
e l’elogio di accademici e, più in generale, delle pubbliche autorità
scolastiche. Cfr. EDF, I, p. 213.
[32]
La biblioteca del seminario vescovile di
Fidenza, originata dalla cospicua donazione libraria dal vescovo Alessandro
Garimberti ( 1776-1813) e arricchita nel tempo da numerosi lasciti, tra cui
quello dell’Abate Zani e del vescovo Luigi Sanvitale (1817-1836), venne
inaugurata nel 1833 dallo stesso vescovo Sanvitale, come attestava l’iscrizione
collocata sulla porta della biblioteca nell’antico palazzo del seminario:
BIBLIOTECAM/ AB ALEXANDRO GARIMBERTI / HEIC SACRORUM ANTISTITE/ CLERICORUM
COMMODO / PRAECIPUE DITATAM / A PETRO ZANIO / IN ARTIBUS INGENUIS COGNOSCENDIS
/ CELEBRATISSIMO /CARITATE IN PATRIAM EXIMIO/ SELECTIS LIBRIS ADAUCTAM/ALOYSIUS
SANVITALIUS / ITEM DE SUO ADDITIS ORNAVIT DEDICAVITQUE /ANNO MDCCCXXXIII.
Devastata e, in parte, distrutta dal bombardamento del 1944, oggi, la
biblioteca del seminario, dedicata a mons. A. Garimberti e ubicata nella sede
di Via Palestro, conta circa 70.000 volumi con un fondo antico di circa 18.000
volumi.
[33]
Cfr. Angela
Leandri, Momenti di Festa a Borgo
San Donnino nel Settecento, Fontevivo 2005, p. 124.
[34]
Ead. Pietro Zani e l’idea enciclopedica, Fontevivo 2006, p. 22
[35]
Fontana Carlo Maria , nato a Fontanelle di Parma nel 1812 , arrivò
«ancora piccolo» nella città di Busseto: «coetaneo e compagno di scuola di G.
Verdi»,[…] «compiuti gli studi letterari nel ginnasio bussetano» sotto la guida
del Can. Seletti, entrò poi nel seminario di Piacenza, allora «in grande stima
per la soda istruzione che vi si impartiva». Completato il curriculum filosofico-teologico e, conseguita la « laurea
dottorale» con «esame pubblico» […], «venne nominato», nel 1835, da Mons. L.
Sanvitale, vescovo di Borgo san Donnino, «professore di dommatica» nel locale
seminario diocesano, cattedra che mantenne per 50 anni. Ricoprì l’ufficio di
canonico teologo nel capitolo della cattedrale, fu poi Rettore, vicario
Generale di tre vescovi (Buscarini,Guindani, Manicardi), prelato domestico di
papa Leone XIII. Morì a Borgo nel 1885. Cfr. G.
M. Giacopazzi, Discorsino funebre
in elogio di Mons. Carlo Maria Fontana , prelato domestico di S.S ecc. Milano, 1885, pp. 18, passim .
[36]
Giuseppe Buscarini , nato a Peli
(Coli) in Val Trebbia, nel 1819, compì il suo percorso ecclesiastico nel
seminario di Piacenza, dove fu ordinato nel 1842. Passato alla diocesi di Borgo
san Donnino nel 1845 come docente di filosofia, fu poi canonico arcidiacono
della cattedrale e vicario generale del vescovo Basetti alla cui morte (1857)
venne eletto vicario capitolare, carica che mantenne fino a quando nel novembre
del 1871 divenne vescovo diocesano. Precursore, assieme al canonico Fontana, del
neo-tomismo assai prima dell’enciclica leonina Aeterni patris (1879), fu autore, tra l’altro, di un corso di
filosofia – Discussioni di filosofia
razionale, Milano 1856 - che ben presto adottarono molti seminari
italiani e stranieri. Il suo episcopato de
iure fu brevissimo, ma de facto
guidò la diocesi per circa tre lustri. Morì improvvisamente nel 1872, a soli 53
anni, durante l’annuale pellegrinaggio mariano al santuario di Fontanellato
(PR). Cfr. EDF, III, pp. 84-87.
[37] Cfr. Il seminario. Cenni storici, op. cit. p. 23.
[38] Regolamento
pel Venerando Seminario di Borgo san Donnino,
Parma 1843, art. 21, p. 10. Questo regolamento, licenziato dal Palazzo
Vescovile il giorno 11 Ottobre 1843, approvato da M. Luigia con Sovrano
Rescritto del 31 Ottobre 1843 N. 3274-3069 e vistato dal presidente
dell’interno E. Salati, il giorno 3 Novembre 1843, risulta declinato in 78
articoli di ordine formativo-disciplinare (Del Rettore, Del Prefetto, Dei
Seminaristi); chiude un’ Appendice di 20 art. di ordine
economico-amministrativo (Dell’Economo). Con questo atto, il
vescovo diocesano si propone di «raccogliere in corpo le diverse disposizioni
mano mano date fuora alla occorrenza dei casi», sulla base delle «varie
ordinazioni» emanate dai suoi Antecessori, a partire da quanto «prescrive per
il Seminario l’ultimo Sinodo Zandemaria» (1719-1731), aggiungendovi qualche
inevitabile e necessaria attualizzazione. Cfr., ibidem, pp. 3-5. Ora, proprio per questo sostanziale recepimento
della normativa pregressa cui si vuole dare adeguata sistemazione, il Regolamento del 1843 può ritenersi la
“via maestra” che, almeno nelle sue linee-guida, ha regolato la formazione
anche di Annibale Viola, benché sia stato varato solo due anni prima della
conclusione del suo percorso seminaristico.
[39]Il Regolamento prevede
il numero e le pratiche di pietà, la periodicità della comunione e della
confessione; dà direttive precise per lo studio, la ricreazione , i pasti. Non
solo, ma descrive il modo in cui il seminarista deve vestire, giocare,
camminare per strada, nel cortile del seminario e nei corridoi, come deve
rapportarsi ai suoi compagni coi quali è proibito, per es., «darsi del Tu sì in
pubblico che in privato» o «il parlarsi in due o tre» (art.68-69): tutto sotto
la sorveglianza di un Prefetto, la cui «scelta» è riservata «unicamente» al
Vescovo (art. 23). Precisa inoltre l’atteggiamento che deve tenere quando parla
coi superiori, come deve comportarsi quando, per strada, incontra un sacerdote
o quando può usufruire delle brevi permanenze in famiglia. Dopo le orazioni
della sera, le porte delle camerate o delle camere vengono chiuse «fedelmente»
dal prefetto, dall’esterno, il quale «ne terrà presso di sé la Chiave per ogni
occorrenza straordinaria nella notte» (art. 35). Ma forse la norma estrema che
dà la misura della rigidità del regolamento, al di là della censura della
corrispondenza o dell’ispezione delle valigie in entrata ed in uscita (art.
15), è quella che riguarda i rapporti con l’esterno, soprattutto nella
dimensione affettivo - familiare: [Il Rettore] «sarà rigoroso in non permettere,
che persone di sesso diverso mettano piede in Seminario: e nel caso che le più
strette parenti vengano a visitare i Seminaristi, ciò non sarà loro concesso
che nella Camera detta Foresteria. Nell’occasione che i Seminaristi siano
domandati da persone estranee alla loro Famiglia, non si concederà mai di
parlare a soli a soli, ma in presenza del Rettore, o del Prefetto, o di alcuno
de’ Superiori del Seminario»
(art. 7). E ancora, in modo quasi ossessivo: «Non si accorderà mai ad
alcuna persona l’entrare nelle Camerate, e molto meno nelle Camere dei Seminaristi, eccettuato
il solo caso di malattia, pel quale potrà concedersi licenza al Padre,od al
altri più stretti congiunti di visitare l’Infermo. Per riguardo alla Madre, od
ad altre Parenti, se ne dovrà sempre ogni volta ottenere una speciale
permissione da Noi» (art.8), cioè dal Vescovo: il soggetto-autore la cui
presenza centripeta catalizza ogni articolo del Regolamento.
[40]
A tal proposito, basti l’art. 78: [I
Seminaristi] « Riguardino il Rettore come un loro Padre, a cui debbono mostrare
tutta la loro confidenza, e ricorrere in ogni occorrenza; eseguirne prontamente
gli ordini; sottostare ai castighi meritati, e soffrirne anche le ripulse,
sicuri che mai non si prende di mira che il loro bene. Il rispetto medesimo e
la ubbidienza presteranno a tutti gli altri Superiori, i quali sono da Noi
destinati pel seminario».
[41]
Cfr. Archivio del Seminario Vescovile di Fidenza.
Registro degli Alunni. Da qui in
avanti: ASVF, R A.
[42]
Cfr. Spoglio
del Registro delle Dozzine degli Alunni del Seminario di Borgo S. Donnino dal 1
ottobre 1837 a tutto il 15 ottobre 1843 in Archivio storico della Diocesi di Fidenza, AV, Atti diversi
antichi, b. 292.
[43] ASVF,RA.
[44]
Francesco Tommaso Giovanetti, nato a
Casaselvatica di Berceto (Parma) nel 1748, compì gli studi nel seminario di
Parma nel cui ateneo conseguì la laurea in sacra teologia. Arrivò a Borgo san
Donnino chiamatovi dal parmense A. Garimberti, vescovo della diocesi
borghigiana dal 1776. Docente di dogmatica fino al primo quarto del sec. XIX,
divenne rapidamente una delle figure più rappresentative del clero diocesano :
vicario generale, canonico arcidiacono, prelato domestico di Pio VII,
professore emerito. Morì a Borgo nel 1832. Cfr. EDF, I, pp. 198-99.
[45]
Cfr. EDF, I, p. 87.
[46]
Cfr. ASVF,RA.
[47]
V. Plateretti (a c. di M. Galli – G. Ponzi ) Memorie per servire alla storia dello stato attuale di Borgo san
Donnino (1802), in «Quaderni
fidentini», N. 23,
Fidenza 1983, p. 23. Più d’ un
secolo dopo abbiamo la conferma ex post
del carattere non particolarmente salutifero della Casa del seminario, quando,
contro «gli
aristarchi» che ne criticavano i lavori di ampliamento,
si scrive: «Chi ricorda le ristrettezze della cappella, l’angustia e la
infelice ubicazione delle aule scolastiche del ginnasio; chi ricorda il solo
cortile di cui disponeva il seminario; certamente dovrà convenire che santa e
salutare idea fu quella di acquistare
un’area vastissima» per avere «cortili spaziosi, camerate, dormitori, aule arieggiate
e vaste». Cfr. Il seminario. Cenni
Storici, op. cit. pp. 27-28.
[48]
V. Plateretti (a c. di M. Galli – G. Ponzi), op. cit. pp. 48-49;54-61.
[49]
Tornato alla sua terra il 20 gennaio 1937, «le solenni esequie di suffragio»
furono celebrate, il giorno dopo, «nella nuova Chiesa del Seminario», dal can.
Mons. Dino Carisi, rettore del seminario (1929 - 1960), presente il vescovo
mons. Mario Vianello. Le sue spoglie riposano nel cimitero di Fidenza nella
cappella di famiglia, accanto allo zio, don Guglielmo Laurini (1869 - 1948),
illustre storiografo e giornalista del Risveglio.
Cfr. G. Cremonesi, I° anniversario della morte del giovane
seminarista Antonio Laurini, Fidenza 1937.
[50]
Cfr. ASVF, RA
[51] Cfr. Registro degli
ordinati da Monsignor Vescovo di
Borgo san donnino don P. Crisologo
Basetti dal 23 Settembre 1843 al 4
Aprile 1857 in ASDF.
[52]
Cfr. ASDF, AV, Sacre Ordinazioni, b.190.
[53]
Così l’autore dei Promessi Sposi nell’epigrafe per la figlia Matilde, morta
ventiseienne di tisi, non diversa, nella sorte, dalla Silvia leopardiana «da
chiuso morbo combattuta e vinta» (A
Silvia, 1828) o da Maria in Fede e
bellezza (1840) di N. Tommaseo, fino alla Signora delle Camelie (1848) di A. Dumas che rivivrà, poi, nella Traviata verdiana. Ma l’impotenza della
scienza, anche nel nuovo secolo, risalta tutta quanta nell’ironia struggente di
Guido Gozzano il quale, peraltro, non era privo di mezzi economici per curarsi
: «Sono i dottori. / Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali
segni, / m’auscultano con li ordegni il petto davanti e di dietro. / E senton
chi sa quali tarli i vecchi saputi… A che scopo ? / Sorriderei quasi, se dopo
non bisognasse pagarli. (Alle soglie,
1907).
[54]
Masini Antonio. Nato a Rocca
Sigillina di Filatteria ( MS) nel 1810; incardinato in diocesi nel 1845, fu
cappellano a Roncole (1845-1847), vicario economo a Bersano (1847-1848) ed ivi
parroco fino alla morte (1848-1893). Cfr. EDF,III, p. 378.
[55]
Cfr. Registro dei Defunti in Archivio della parrocchia di Roncole Verdi
(PR).
[56]
Giovanni Fulcini, nato a Roncole il 7 Settembre
1832, entrato in seminario nel 1845, ordinato sacerdote il 2 Giugno 1855, nella
Cappella di San Gaetano confessore del Palazzo vescovile, fu «rettore zelantissimo» dell’oratorio della Beata
Vergine del Po’», nella giurisdizione della parrocchia di Pieve; «visse riverito e amato anni XC, entrando
nell’eterno riposo addi 13 Aprile 1922». Autore delle Memorie storiche di Pieveottoville e
delle Ricordanze roncolesi, fu, in
qualche modo, anche “autore verdiano” con le Memorie della commemorazione centenaria del grande maestro Giuseppe
Verdi, nato alle Roncole di Busseto, 10 ottobre 1813, raccolte ed ordinate dal compaesano Fulcini don Giovanni Canonico,
dove, alle commemorazioni verdiane nelle diverse città d’Italia, fa seguire una
«serie interminabile di poesie dedicate a Verdi da parte di poeti ignoti e
notissimi, umili o famosi». Cfr. A. Rossi,
Roncole Verdi, Fidenza 1969,
pp. 57-65; EDP, III, p. 826-836; vd. anche l’iscrizione commemorativa nel
cimitero di Pieveottoville (PR) che, sostanzialmente, abbiamo qui riportato in
maiuscoletto virgolettato.
[57]
Così scrive il parroco delle Roncole, don
Pietro Montanari, a nome del padre «del bravo giovine», facendosi garante degli studi già compiuti a
Busseto, del «trasporto per il servigio della Chiesa » e dell’autenticità del
consenso espresso dalla famiglia. Cfr. ASDF, AV, ibidem.
ho letto con vero interesse l'articolo : complimenti è molto bello!
RispondiElimina