Sono molti, oltre una cinquantina, gli animali, reali, fantastici o mostruosi, intagliati sulle pietre del Duomo fidentino.
Nessuna lettura iconografica si è finora soffermata su di essi, ma le loro immagini, distribuite sulla facciata, ma anche sui capitelli del loggiato, nell'abside e in cripta, meritano di essere osservate con attenzione.
Di notevole interesse sono soprattutto le decorazioni dei due portali minori e, in particolare, lo zooforo dell’archivolto del portale meridionale, dove si concentra la maggior parte delle testimonianze iconografiche.
Partiamo con i grifi scolpiti sulla chiave di volta del portale. I due superbi animali affiancano un albero stilizzato, sormontato da una mostruosa testa di felino con corna di capro; da questo albero, come si può vedere, si sviluppano verso il basso due rami per parte, che si intrecciano in due serie di otto anelli ciascuna, dove spuntano altrettanti animali (cavalli, asini, leoni, capri, pecore, pantere, orsi e cinghiali) disposti in modo perfettamente simmetrico e speculare. La datazione del portale istoriato, che ricorda da vicino i protiri nicoleschi del Duomo di Piacenza e di Vigoleno, oscilla tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo (Y. Kojima,2002).
Il motivo dei grifi affiancati all'albero riflette, come noto, un antichissimo schema iconografico di antica derivazione orientale, ampiamente diffuso nell'arte medioevale: un esempio tipico di questa rappresentazione simbolica è dato dai grifi che custodiscono l’Albero della Vita scolpiti a traforo in un oculo situato nell'atrio della Abbazia di Pomposa databile agli inizi del XII secolo, ma lo stesso motivo compare anche in numerosissimi altri rilievi, capitelli e mosaici romanici (Otranto, Lucca, Torino), senza tuttavia dimenticare l’iconografia presente nei tessuti, tra cui il famoso telo serico di San Ciriaco di manifattura mediorientale del X secolo (Museo Dioc. di Ancona).
Quanto alla simbologia del grifo, che dopo il cavallo e il leone è l’animale più spesso rappresentato a Fidenza, le principali fonti letterarie assegnano a questo essere leggendario, metà aquila e metà leone, la funzione tradizionale di guardiano di tesori. Come custodi del sacrum i grifi sono sovente raffigurati negli ingressi delle chiese: da ricordare, i grifi stilofori del protiro della basilica romanica di S. Giustina a Padova, della metà del sec. 12° e del portale ovest del duomo di Verona, opera di Niccolò del 1139.
Tornando ai grifi della chiesa di Borgo, va osservato che la loro presenza nei rilievi del portale a sud è riferibile non tanto all'Albero della Vita, come è stato scritto finora, ma bensì all'Albero della Conoscenza del Bene e del Male.
Al secondo albero del paradiso, da cui scaturisce il peccato di Adamo ed Eva, rimanda infatti un dettaglio iconografico molto significativo, ma finora trascurato anche dagli osservatori più attenti: si tratta del serpente la cui testa spunta tra le corna del mascherone sovrastante il tronco dell’albero, un’evidente l’allusione a Satana e al peccato originale. Come a voler esorcizzare il maligno, i grifi tentano di colpire col becco adunco questo essere serpentiforme.
All'ingresso della chiesa di San Donnino i due mitici animali sembrano dunque svolgere la funzione di guardiani del Paradiso perduto. Ma la loro forza allusiva è tale che si potrebbe pensare anche ad una prefigurazione della redenzione di Cristo e quindi della missione della Chiesa, simboleggiata dall'immagine di vescovo scolpita sul timpano del portale.
L’eccezionalità iconografica dei rilievi emerge anche da un altro particolare solo apparentemente marginale: il doppio tronco dell’albero, che fa pensare alla natura stessa dell’Albero della Conoscenza, improntata dalla dualità tra Bene e Male, e anche, ma solo come lontana ipotesi, a due alberi accostati, ovvero l’Albero della Vita e l’Albero della Conoscenza, che nel racconto della Genesi sono entrambi collocati al centro del Paradiso.
In effetti è proprio l’albero il vero fulcro della composizione: la sua simbologia, forse troppo ampia per essere affrontata in questa sede, andrebbe approfondita, a mio avviso, in relazione alla collocazione del primitivo fonte battesimale, ubicato, come risulta da uno studio del 1976, in corrispondenza del portale, all'altezza della prima campata della navata destra (“Il problema della collocazione dell’antico fonte battesimale nella cattedrale di Fidenza”, in RAVENNATENSIA VII e “Cristo discende agli inferi”, in “Il Risveglio, 2012).
Altri grifi, sempre collegati al tema della giustizia divina, li vediamo in volo con le ali spiegate, tra le arenarie della vicina torre del Trabucco, nella celebre formella con l’ascensione di Alessandro Magno, solitamente intesa come allegoria del peccato di orgoglio e superbia commesso da Adamo ed Eva, e nel, non meno famoso, splendido altorilievo scolpito dell’intradosso dell’arco, col Grifo che rapisce il cervo, probabile allegoria della grazia celeste, a conferma l’ambivalenza simbolica di questi misteriosi esseri alati.
Veniamo ora all'iconografia degli altri sedici animali che abitano tra i rami intrecciati dell’albero paradisiaco: una sorta di piccola arca di Noè, con otto coppie di quadrupedi domestici e selvatici, le cui immagini, caratterizzate per il realismo e la resa dei dettagli, sembrano uscire dalle pagine di un bestiario.
E’ davvero difficile dissociare queste figure di animali, viste finora come generiche allegorie di vizi o peccati capitali (“ da una parte il vizio e dall'altra l’effetto da esso prodotto”, così ad esempio D.Soresina ma anche G. Laurini e G. de Francovich sulla scorta delle osservazioni avanzate un secolo prima dal Ronchini), dall'idea dominante dell’Albero che ricorda il peccato di Adamo ed Eva.
In assenza di iscrizioni, si potrebbe pensare di primo acchito ad una allegoria dello stato primitivo della creazione e della perdita di innocenza seguita alla trasgressione del precetto divino, un tema sostanzialmente analogo a quello ipotizzato da Chiara Frugoni per le 75 formelle del grande zooforo che cinge esternamente il Battistero di Parma (“Nel battistero i soggetti delle singole formelle sono facilmente descrivibili, ma rimangono misteriosi quanto al significato generale che li lega.
Vi si riconoscono anche animali dal sicuro significato negativo, come i grifoni e i basilischi. Potrebbe essere un invito a varcare la soglia dell’edificio sacro per assumere la salvezza del battesimo” (“Il battistero di Parma”, 2007, p.192).
In questa interpretazione in chiave paradisiaca e battesimale (si noti la successione numerica 2-4-6-8) rientrano sicuramente anche i sei grandi frutti, simili a grappoli d’uva, pendenti dai rami dell’albero: sono i frutti proibiti dell’albero che resero Adamo ed Eva consapevoli del peccato (Gen. II, 17 – III, 17-18), riducendoli, come scrive Sant'Agostino, alla condizione degli animali, soggetti alla morte e alla concupiscenza.
Questo passo del suo commento alla Genesi (XI,32-42) sembra infatti applicabile al nostro piccolo zooforo:
“…il loro corpo assunse la proprietà di essere esposto alla malattie e destinato alla morte, che è anche insita nel corpo degli animali e per questo furono soggetti allo stesso movimento a causa del quale c’è negli animali il desiderio d’accoppiarsi in modo che a coloro che muoiano ne succedano altri che nascono”.
Scimmia che cavalca il cavallo sellato |
Ma veniamo adesso ad un altro curioso, seminascosto, elemento iconografico. Ci riferiamo alla scimmia che cavalca il cavallo sellato, raffigurata nella prima formella in alto a sinistra: una scena grottesca che lascia trasparire l’impronta demoniaca del peccato originale, per ricordare la necessità per tutti della redenzione operata da Cristo.
La scimmia, ritenuta “turpissima bestia”, simboleggia infatti l’inganno ma anche lo stesso diavolo.
La sua influenza negativa sembra estendersi agli altri animali.
Si spiega così l’insistenza sulla rappresentazione dei genitali del cavallo e dell’asino, che potrebbe in effetti alludere alla lascivia, mentre alla violenza e ancora alla lussuria rimandano per la loro natura selvatica e feroce la pantera, l’orso, il capro e il cinghiale. Più vaghi e contraddittori sono invece i significati attribuibili al leone (contrapposto, secondo C. Saporetti, ad una leonessa) e alla pecora.
Difficile trarre delle conclusioni definitive: poiché resta ancora molto da indagare sul punto nodale, rappresentato, come è stato già detto, dal possibile legame esistente tra questa rigogliosa decorazione fito-zoomorfa che racconta del paradiso perduto e l’iconografia tradizionalmente associata al sacramento che ci libera dal peccato originale.
Al battesimo celebrato almeno fino al 1513, nell'antico fonte situato all'ingresso della navata di destra, sono tuttavia riferibili altre importanti figure simboliche con animali. Oltre a quelle dello zodiaco scolpito nell'archivolto abbiamo infatti il Grifo che rapisce il cervo, già citato come allegoria della Grazia redentrice di Cristo, il Fortis Hercules, Ercole con la pelle del leone di Nemea, che prende il posto del biblico Sansone, come personificazione della virtù della fortezza cristiana e soprattutto il motivo degli alberi carichi di frutti e di uccelli (otto) che adorna la lunetta del portale: una classica iconografia cristiana e battesimale che esprime la gloria e la gioia eterna del Paradiso.
(Prof. Guglielmo Ponzi)
Pubblicato dal settimanale diocesano "il Risveglio" del 20 aprile 2013
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