Claudia Koll recita al Magnani nella Natività scritta da Sartre nel 1940 in un campo di prigionia nazista
Un grande evento quello vissuto dal pubblico fidentino il 5 gennaio scorso al Magnani.
“È l’inizio di una programmazione teatrale diversa dal passato” ha detto in apertura il vicesindaco Alessia Gruzza “che accanto all'intrattenimento vuole offrire anche momenti di riflessione”.
Obiettivo raggiunto grazie all'interpretazione appassionata di Claudia Koll, voce recitante nel dramma Bariona o il figlio del tuono, racconto di Natale scritto dal filosofo Jean-Paul Sartre per cristiani e non credenti. Accanto all’attrice (nel ruolo della madre) Raffaele de Vincenzi nella parte dell’incredulo Bariona: una visione cupa dell’esistenza umana che nel finale viene rischiarata da un raggio di sole.
Ma una citazione a parte va fatta per gli intensi intermezzi musicali offerti dal coro “Juvenes Cantores della Cattedrale di Fidenza”, diretto dal maestro Luca Pollastri e dalle note, ora dolci ora dolenti, dell’arpa di Carla They.
Al termine applausi meritatissimi per i protagonisti della splendida serata. Il ricavato sarà devoluto alla “Hope Clinic Parma Kumba” in Camerun grazie all’associazione Onlus “Leggend’Aria”.
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Sartre scrisse il testo teatrale dal titolo Bariona nel 1940, all'interno del campo di prigionia nazista di Treviri, su invito di alcuni sacerdoti reclusi con lui per dare ai prigionieri, nei giorni delle festività natalizie, l’occasione di trascorrere momenti di serenità. Venne lasciata a Sartre l’assoluta libertà di scelta sul da farsi. Sartre accolse l’invito con entusiasmo pensando a una rappresentazione teatrale che coinvolgesse con lo stesso interesse credenti e non credenti: la storia di una ritrovata speranza in una società più giusta e libera, motivata dall'incontro con Gesù Bambino. Un tema, insomma, capace di rafforzare il senso di solidarietà tra i prigionieri e la loro fiducia in un domani migliore.
Un testimone racconta così l’evento: “Per il Natale del 1940 s’improvvisa autore teatrale come altri diventano animatori culturali in occasione di un soggiorno di gruppo e sotto la strana pressione delle circostanze [...] In sei settimane scrive rapidamente il testo, sceglie gli attori, li fa provare e imparare la parte, crea la messa in scena, fabbrica scene e costumi [...] I suoi amici preti lo interrogano inquieti, sbalorditi dall'audacia della scommessa [...] Sartre annuncia orgoglioso il soggetto [...] un mistero di Natale [...] Sartre è presente a tutte le prove e la sera del 24 dicembre tutto è pronto”. L’opera venne rappresentata nel teatrino del campo. Dopo la recita Sartre partecipò attivamente ai canti di Natale.
La rappresentazione di Bariona fu seguita dai compagni di prigionia del filosofo con grande partecipazione emotiva così da determinare la conversione al cristianesimo di un prigioniero, toccato dalla recitazione “sincera, ardente, bruciante di fede” di Sartre che interpretava, in maschera, la parte di uno dei tre re Magi: il nero Baldassarre. Che Sartre abbia, in quella occasione, anche recitato non deve meravigliare.
Né deve meravigliare il fatto che Sartre inserisse nell'opera Bariona momenti musicali: amava sin da ragazzo la musica, suonava Schumann e Mozart, cantava delle arie d’opera o operetta con una buona voce da baritono. Venti anni dopo dirà: “La Natività mi era apparsa il soggetto capace di realizzare l’unione più larga tra cristiani e non credenti.
Per me l’importante in questa esperienza era che, prigioniero, potessi rivolgermi agli altri prigionieri ed evocare i nostri problemi comuni. Il testo era pieno di allusioni alla situazione del momento e perfettamente chiara a ognuno di noi”. Bariona nasce da una profonda esigenza interiore.
L’intensa esperienza vissuta nel Natale del 1940 porrà in seguito a Sartre il problema di chiarire il senso dell’opera e del suo impegno nel farla rappresentare.
È però possibile ipotizzare una vera e propria parentesi nel pensiero sartriano?
Non v’è dubbio che l’idea svolta nella storia di Bariona lo abbia affascinato: l’incredulo si libera dalla disperazione e si apre alla Speranza. Abbandona la diffidenza verso il Messia e si impegna nella realizzazione del progetto di liberazione del suo popolo dopo la visione di Gesù Bambino. Certamente la suggestione della storia da lui stesso raccontata e rappresentata fu eccezionalmente forte: calato il sipario, Sartre corre a cantare i canti della mezzanotte di Natale nel coro del campo.
E’ il segno di un vissuto profondo, di una esperienza mistico-religiosa che nessuna affermazione successiva in senso contrario dello stesso Sartre potrà mai annullare.
M.F.
RispondiEliminaQuesto lavoro teatrale è rimasto in un secondo piano,mai inserito a pieno titolo nel teatro di Sartre, forse per il carattere anomalo e perfino discordantenel contesto dell'opera sartriana. Una prima risposta si trova nella lettera che precede il testo, datata 31 ottobre 1962, in cui Sartre precisa: "Se ho preso il mio soggetto nella mitologia del Cristianesimo, ciò non significa che la direzione del mio pensiero sia cambiata, fu un momento, durante la cattività. Si trattava semplicemente, d'accordo con i preti prigionieri, di trovare un soggetto che potesse realizzare, in quella sera di Natale, l'unione più vasta di cristiani e di non credenti".
Questa avvertenza indica in modo esplicito una chiara presa di distanza dal testo. Si dovrà aspettare fino al 1962 perché Sartre autorizzi l'edizione di Bariona limitata a 500 copie fuori commercio e destinate in gran parte ai suoi compagni di prigionia; poi ce ne sarà una seconda, nel 1967, anch'essa fuori commercio.
Nella nostra sempre più cattolica Italia, la pièce è stata prontamente recensita dal Corriere della Sera e da Famiglia Cristiana - con titoli quali "Sartre, l'ateo che decise di inchinarsi a Gesù" o "L'ateo che scoprì la Speranza" -, leggendo in questo libro ciò che più volte Sartre stesso ha esplicitamente negato. "A vedermi scrivere un mistero, alcuni avranno potuto vedere che attraversassi una crisi spirituale. No! Un medesimo rifiuto del nazismo mi legava ai preti prigionieri nel campo." Questo è il movente che lo porta a scrivere una pièce su "un soggetto della mitologia cristiana" come dirà con evidente distacco negli anni Sessanta.
Sartre non ha mai avuto un'opinione molto alta della sua pièce, la considerava un lavoro non riuscito, scritto in pochi giorni e in circostanze molto particolari: "la pièce non era né buona né ben rappresentata: un lavoro di dilettanti, direbbero i critici, e non è stato altro che il prodotto delle circostanze". Sono proprio le "circostanze" che portano Sartre a scrivere Bariona, dalla quale ne ricaverà un'interessante esperienza per il futuro: "attraverso le luci mi sono rivolto ai miei compagni per parlare della loro situazione di prigionieri, li ho visti all'improvviso attenti e silenziosi e mi sono reso conto di ciò che era il teatro: un grande fenomeno collettivo, religioso."
E' noto come Sartre sia sempre stato molto critico con se stesso e i suoi lavori.
La scarsa considerazione riservata a Bariona ne è una prova, forse eccessiva. Se quel testo fosse stato scritto nel suo appartamento parigino, sarebbe stato sicuramente diverso, più rifinito e più libero, ma il bisogno, urgente e prevalente, di consegnare un messaggio di libertà ai suoi compagni di prigionia ha prevalso sulla forma e la cura del testo. Nell'introduzione italiana alla pièce Antonio Delogu indica un punto fondamentale che lega la stesura di Bariona all'insieme dell'opera sartriana, l'impegno, inteso dal filosofo francese "come una missione da vivere con la stessa onestà con cui un cristiano viveva la propria vocazione". Due diverse vocazioni, due impegni fusi nella lotta al nazismo