A completamento della succinta cronaca da noi pubblicata riprendiamo integralmente dal sito web Tracce.it questo commento alla "Lectio magistralis" che Don Julián Carrón ha tenuto nella nostra Cattedrale il 20 maggio scorso.
L'articolo è di Teresa Milella professoressa all'istituto cittadino Paciolo- d'Annuzio.
La tenerezza che ridesta il cuore
di Teresa Milella
23/05/2016 - Don Julián Carrón per la "Lectio magistralis" che conclude la Scuola diocesana di formazione. A tema, lo scopo del Giubileo e il compito del cristiano moderno: «Porsi nella realtà con l'amore con cui si è amati da Lui»
Venerdì, 20 maggio, ore 20.30. La splendida Cattedrale romanica di Fidenza, fondata sulle spoglie del martire Donnino, è affollata da centinaia di persone venute ad ascoltare la tradizionale Lectio magistralis che ogni anno conclude la Scuola diocesana di formazione. Il tema di quest’anno, “Per Cristo, con Cristo e in Cristo. Per un nuovo umanesimo”, è affidato a don Julián Carrón, invitato dal vescovo Carlo Mazza e da don Luigi Guglielmoni, direttore della Scuola diocesana di formazione.
Dopo un canto iniziale e la preghiera salmodica, monsignor Mazza saluta don Carrón con queste parole: «La sua presenza è un dono, testimonianza, riconoscimento. Ci conferma nella gratitudine di un incontro che intende rafforzare la nostra perseveranza nella fede. Ciò che giustifica l’invito è il senso della sua vita spesa tutta per riportare Cristo al centro della nostra umana avventura».
Segue il saluto di don Guglielmoni, che sottolinea come l’invito fatto a don Carrón si situa in un tradizionale susseguirsi di lectionesaffidate a relatori di elevato spessore, da Joseph Ratzinger al cardinale Angelo Scola, da monsignor Rino Fisichella a padre Rainero Cantalamesssa, al priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi. Quello che il Presidente della Fraternità di CL si trova davanti è un popolo: parrocchie, movimenti, religiosi, sacerdoti e tanti giovani, seduti sui gradini perché non ci sono più sedie libere. Don Carrón ricorda papa Francesco nel Duomo di Firenze, quando ha fatto sollevare a tutti lo sguardo verso la cupola: Ecce Homo, questo è quello che si deve intendere per nuovo umanesimo, la centralità di Cristo.
Tutta la Lectio sviluppa il tema del metodo che Dio ha scelto per farci diventare uomini: un Dio che diventa grande abbassandosi, umiliandosi fino alla morte, che vuole arrivare all’umanità solo attraverso la fede dei testimoni. È lo stile di Dio, che non vuole sopraffare, ma vuole suscitare la libertà perché «una salvezza che non fosse libera non sarebbe salvezza». Molti prendono appunti. Sono tante le citazioni, da Benedetto XVI a Francesco, da Hannah Arendt a Dostoevskij, con quella famosa domanda: «Può un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, credere, credere proprio, alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?».
Il cristianesimo ha bisogno di incontrare l’umano che è in noi e la Chiesa può essere riconosciuta credibile in nome di una corrispondenza, di una pienezza di vita che «l’uomo non può ottenere con le sole sue forze». A chi interessa questo? Solo a chi ha a cuore la sua pienezza. Ma qual è la domanda che l’uomo di oggi ha? È il bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi, bisogno di grazia e di perdono. Questo lo scopo del Giubileo: arrivare a tutti attraverso la Chiesa per arrivare a quell’umanità ferita che pensa di non poter essere guarita perché manca l’esperienza concreta della misericordia.
Don Carrón, citando ancora lo scrittore russo, si chiede se sia «da ingenui credere che si possa cambiare il mondo, schiacciandolo con la misericordia». Pensiamo a ciascuno di noi: quando qualcuno ci schiaccia con la sua misericordia è il metodo vincente, perché ridesta in noi tutto il desiderio di vivere. La tenerezza di Dio è capace di ridestare il cuore dell’uomo. Possiamo diventare misericordiosi come il Padre, non perché più buoni, ma perché sommersi dalla sua misericordia.
Ma qual è il compito del cristiano oggi, di fronte alle sfide quotidiane, alla crisi della famiglia, alla crisi economica, al crollo delle evidenze? Carrón ne conosce uno solo: «Testimoniare la fede, nella famiglia, nel luogo di lavoro, ovunque ci troviamo, perché per questo siamo stati scelti». Per affermare che la salvezza è già presente e che Dio va incontro alle ferite dell’uomo attraverso di noi, la Chiesa.
L’esempio di papa Francesco rivela che «un cristiano che vive davvero da cristiano diventa un bene per tutti». La discussione sulle radici dell’Europa si è rivelata sterile, mentre la testimonianza del Pontefice per una nuova Europa ha fatto breccia nel cuore delle persone e nelle istituzioni.
Don Carrón ha concluso spiegando che «molto del futuro dipende dalla nostra disponibilità ad assumere il “metodo di Cristo”: porsi nella realtà con l’amore con cui si è amati da Lui». Al termine, monsignor Mazza, guardando la Cattedrale, segno della maternità della Chiesa nel tempo, ha esclamato: «Sono un vescovo felice. Ora sta a noi mettere in pratica quanto abbiamo ascoltato».
Segue il saluto di don Guglielmoni, che sottolinea come l’invito fatto a don Carrón si situa in un tradizionale susseguirsi di lectionesaffidate a relatori di elevato spessore, da Joseph Ratzinger al cardinale Angelo Scola, da monsignor Rino Fisichella a padre Rainero Cantalamesssa, al priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi. Quello che il Presidente della Fraternità di CL si trova davanti è un popolo: parrocchie, movimenti, religiosi, sacerdoti e tanti giovani, seduti sui gradini perché non ci sono più sedie libere. Don Carrón ricorda papa Francesco nel Duomo di Firenze, quando ha fatto sollevare a tutti lo sguardo verso la cupola: Ecce Homo, questo è quello che si deve intendere per nuovo umanesimo, la centralità di Cristo.
Tutta la Lectio sviluppa il tema del metodo che Dio ha scelto per farci diventare uomini: un Dio che diventa grande abbassandosi, umiliandosi fino alla morte, che vuole arrivare all’umanità solo attraverso la fede dei testimoni. È lo stile di Dio, che non vuole sopraffare, ma vuole suscitare la libertà perché «una salvezza che non fosse libera non sarebbe salvezza». Molti prendono appunti. Sono tante le citazioni, da Benedetto XVI a Francesco, da Hannah Arendt a Dostoevskij, con quella famosa domanda: «Può un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, credere, credere proprio, alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?».
Il cristianesimo ha bisogno di incontrare l’umano che è in noi e la Chiesa può essere riconosciuta credibile in nome di una corrispondenza, di una pienezza di vita che «l’uomo non può ottenere con le sole sue forze». A chi interessa questo? Solo a chi ha a cuore la sua pienezza. Ma qual è la domanda che l’uomo di oggi ha? È il bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi, bisogno di grazia e di perdono. Questo lo scopo del Giubileo: arrivare a tutti attraverso la Chiesa per arrivare a quell’umanità ferita che pensa di non poter essere guarita perché manca l’esperienza concreta della misericordia.
Don Carrón, citando ancora lo scrittore russo, si chiede se sia «da ingenui credere che si possa cambiare il mondo, schiacciandolo con la misericordia». Pensiamo a ciascuno di noi: quando qualcuno ci schiaccia con la sua misericordia è il metodo vincente, perché ridesta in noi tutto il desiderio di vivere. La tenerezza di Dio è capace di ridestare il cuore dell’uomo. Possiamo diventare misericordiosi come il Padre, non perché più buoni, ma perché sommersi dalla sua misericordia.
Ma qual è il compito del cristiano oggi, di fronte alle sfide quotidiane, alla crisi della famiglia, alla crisi economica, al crollo delle evidenze? Carrón ne conosce uno solo: «Testimoniare la fede, nella famiglia, nel luogo di lavoro, ovunque ci troviamo, perché per questo siamo stati scelti». Per affermare che la salvezza è già presente e che Dio va incontro alle ferite dell’uomo attraverso di noi, la Chiesa.
L’esempio di papa Francesco rivela che «un cristiano che vive davvero da cristiano diventa un bene per tutti». La discussione sulle radici dell’Europa si è rivelata sterile, mentre la testimonianza del Pontefice per una nuova Europa ha fatto breccia nel cuore delle persone e nelle istituzioni.
Don Carrón ha concluso spiegando che «molto del futuro dipende dalla nostra disponibilità ad assumere il “metodo di Cristo”: porsi nella realtà con l’amore con cui si è amati da Lui». Al termine, monsignor Mazza, guardando la Cattedrale, segno della maternità della Chiesa nel tempo, ha esclamato: «Sono un vescovo felice. Ora sta a noi mettere in pratica quanto abbiamo ascoltato».
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RispondiEliminaCaro Franco c'è odor di sentenza nel tuo commento.
EliminaNo.c'è odore, forte, di informazione sui personaggi citati; o quando si tratta di monsignori, costoro vanno sempre, ovunque e comunque non commentati? Se fossero stati nominati personaggi laici, tipo i nostri parlamentari, tutti, avrei scritto le medesime "sentenze".
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