Nella chiesetta a lui intitolata un affresco ritrae il povero Lazzaro coperto di piaghe
Tra la metà del Trecento e l’inizio del Quattrocento Fidenza conosce uno dei momenti più ricchi della sua storia: un periodo caratterizzato da notevoli realizzazioni e da una eccezionale fioritura artistica favorita dalla presenza di pittori “forestieri”.
Questo secondo aspetto emerge dalle carte d’archivio e soprattutto dalle opere rimaste, in particolare la lunetta e gli altri affreschi dell’oratorio di San Giorgio, ora presso il museo del Duomo, che rimandano a Bartolo e Jacopino da Reggio e, sempre nello stesso museo, la Madonna delle Grazie dell’ex-chiesa di san Michele, concordemente attribuita dalla critica a Tommaso da Modena.
Di questo periodo felice della pittura di Borgo non mancano fortunatamente altre significative testimonianze, a cominciare dagli affreschi tardogotici della chiesa di Cabriolo.
Si tratta, come è stato osservato, di pitture votive, databili a cavallo tra XIV e XV secolo, iconograficamente molto interessanti per la presenza di una rara raffigurazione della SS.Trinità, associata alle immagini di san Michele Arc., del Crocifisso con Maria e Giovanni e a una sequela di santi patroni, tra cui S. Caterina d’Alessandria, S.Cristoforo, S. Giovanni Batt., S. Antonio Ab., S. Pietro ap., S. Giacomo Ap. e S.Placido. Ma il dato che ci preme sottolineare in questa sede è la loro stretta vicinanza stilistica con un’opera coeva conservata presso l’oratorio cittadino di s. Lazzaro: ci riferiamo all’affresco staccato con l’immagine della Madonna in trono col Bambino, san Lazzaro e i due committenti, collocato dietro l’altare del piccolo oratorio da cui ha preso il nome l’omonimo quartiere a est di Fidenza.
Restaurato negli anni scorsi ma ancora quasi del tutto sconosciuto alla critica, questo antico dipinto proviene, come è noto, dalla primitiva chiesetta annessa all’antico ospedale dei lebbrosi fondato dalla famiglia borghigiana dei Faci o Fazi nel XII secolo e demolito nel 1915 per allargare l’attuale via Martiri della Libertà. L’esistenza di un analogo affresco, che purtroppo non siamo riusciti a rintracciare, è documentata da D.Soresina (1979) e da F.Castellani (1982).
Nell'immagine che qui pubblichiamo per la prima volta dopo lo scrupoloso restauro eseguito negli anni scorsi da Francesca Ghizzoni, il santo protettore dei lebbrosi (ma anche dei poveri e dei mendicanti, la cui ricorrenza liturgica è fissata il 21 giugno), è raffigurato secondo il modello iconografico tradizionale, che ha come riferimento la nota parabola del Vangelo di San Luca, ove si racconta del povero Lazzaro dal corpo coperto di piaghe, costretto a mendicare le briciole di pane cadute dalla mensa imbandita del ricco epulone.
L’ignoto pittore tardogotico mostra il santo lebbroso nelle sembianze di un giovane uomo dal fisico robusto, ritratto in posizione eretta, che indossa il solo perizoma con il corpo fittamente trapuntato dai segni della terribile malattia; ai suoi piedi sono raffigurati i committenti del dipinto in proporzioni ridotte, forse padre e figlio, vestiti di rosso con abiti dal taglio tipicamente quattrocentesco: l’atteggiamento orante dei due ignoti personaggi tende a sottolineare il valore della preghiera e il potere intercessorio di san Lazzaro qui presentato senza i consueti attributi identificativi del cane e della campanella. Da notare il tenerissimo atteggiamento materno della Vergine seduta in trono che riceve l’omaggio del santo lebbroso.
Quanto al confronto stilistico è invece da segnalare il contorno con pigmento rosso delle figure, come in una sinopia o in una miniatura: un tratto che rivela una scioltezza quasi calligrafica molto simile a quella che caratterizza i lineamenti dei personaggi di Cabriolo, ove ritroviamo la stessa caratteristica acconciatura a caschetto e lo stesso taglio sottile degli occhi e della bocca.
Altre analogie riguardano in particolare la sommaria anatomia del collo e delle clavicole di san Lazzaro, che ricordano quella altrettanto evidenziata di san Giovanni Battista, la cui figura magra e ossuta è facilmente riconoscibile al centro della teoria di santi patroni e taumaturghi della bella chiesetta romanica dedicata al vescovo martire s. Tommaso di Canterbury.
Da notare infine l’evidente somiglianza fisiognomica tra il santo lebbroso e il san Michele arcangelo di Cabriolo che con una lunga lancia infilza il drago- demonio mentre con la mano sinistra regge la bilancia per la pesatura delle anime.
Non ci sono dubbi sul fatto che gli affreschi di Cabriolo e di san Lazzaro, storicamente collegati a due insediamenti ospedalieri, siano opera dello stesso autore, forse un pittore borghigiano, un artista comunque legato a maestranze piacentine, come abbiamo ipotizzato in occasione dei recenti restauri: un problema che richiede uno studio più approfondito.
Quanto alla datazione del dipinto di San Lazzaro, a mio avviso di qualche anno posteriore rispetto agli affreschi di Cabriolo, essa potrebbe collocarsi intorno al 1421-25, anni in cui si pone mano alla riorganizzazione dei beni patrimoniali degli ospedali di Borgo: in parte accorpati al patrimonio della Collegiata di San Donnino per iniziativa del prevosto Antonio Bernieri, già canonico di Parma e futuro vescovo di Lodi, promotore secondo l’Allodi di una serie di opere di abbellimento e di restauro nella futura Cattedrale fidentina. Prof. Guglielmo Ponzi
Articolo pubblicato sul settimanale diocesano "il Risveglio" n° 19 del 19 maggio 2017
Bravo Mino, come sempre. Grazie.
RispondiElimina