IL GIORNO DEL RICORDO
Lo Stato italiano ha voluto onorare solennemente, con un provvedimento legislativo del marzo 2004, le drammatiche vicende legate ai “Massacri delle Foibe e all’Esodo Giuliano-Dalmata”, istituendo il “Giorno del Ricordo”, come ricorrenza da celebrarsi il 10 febbraio di ogni anno; una data che è stata scelta perché, in questo stesso giorno del 1947, a conclusione ormai avvenuta dell’altrettanto drammatica vicenda della Seconda Guerra Mondiale, venivano firmati i trattati di Pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia, l'Istria, il Quarnaro, la città di Zara, con la sua provincia, e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell'Italia, dal 1920.
LE FOIBE
Con il termine “foiba”, si indicano quegli inghiottitoi naturali, tipici delle aree carsiche, che vennero largamente utilizzati, durante la seconda guerra mondiale e nel dopoguerra, per liberarsi dei corpi di coloro che erano caduti, a causa degli scontri tra nazifascisti e partigiani, e soprattutto per occultare le vittime delle ondate di violenza di massa scatenate a due riprese - dapprima nell'autunno del 1943 e successivamente nella primavera del 1945 - da parte del movimento di liberazione sloveno e croato e delle strutture del nuovo Stato jugoslavo creato da Tito. Furono principalmente i cadaveri di vittime delle fucilazioni a essere gettati nelle foibe e in altre cavità artificiali, quali, per fare un esempio, le cave di bauxite dell'Istria, oppure il pozzo della miniera di Basovizza, ma in alcuni casi nell'abisso furono precipitate anche persone ancora in vita.
Talvolta infatti i condannati venivano fatti allineare sull'orlo della foiba e legati fra loro con filo di ferro; successivamente, coloro che venivano colpiti dalla scarica trascinavano giù, insieme a loro, gli altri. Particolarmente note sono la “foiba dei colombi” di Vines, in Istria (nella attuale Repubblica di Croazia), dalla quale vennero recuperati, nel 1943, ben 84 corpi, e il pozzo di Basovizza, nei pressi di Trieste, divenuto poi monumento nazionale, in cui nel 1945 venne gettato un numero imprecisato di persone.
Non tutte le vittime delle due ondate di violenza hanno però trovato la morte nelle foibe, anzi, buona parte degli scomparsi perì in altro modo, soprattutto nelle carceri e nei campi di concentramento jugoslavi. Sarebbe quindi più opportuno, al fine di comprendere meglio, tanto le dimensioni, quanto il significato delle violenze di massa, fare uso dell'espressione “stragi jugoslave”, al cui interno rientra anche la modalità specifica dell'infoibamento. Quanto alle dimensioni del fenomeno, le stime sono rese problematiche dalla natura delle fonti.
Le ipotesi più attendibili parlano di circa 600-700 vittime, per il 1943, quando a essere coinvolta fu soprattutto l'Istria, e di più di 10.000 arrestati - in massima parte, ma non esclusivamente, di nazionalità italiana -, alcune migliaia dei quali non fecero ritorno, nel 1945, quando l'epicentro delle violenze fu costituito da Trieste, Gorizia e Fiume. Nel complesso, un ordine di grandezza tra le 4000 e le 5000 vittime sembra essere attendibile; cifre superiori si raggiungono soltanto conteggiando anche i caduti che si ebbero, da parte italiana, nella lotta antipartigiana.
LA PRIMA ONDATA DI VIOLENZE
La prima ondata di violenze si ebbe dopo l'8 settembre del 1943. Crollate le strutture dello Stato italiano, i tedeschi occuparono in un primo momento soltanto i centri strategici di Trieste, Pola e Fiume, mentre, nell'interno rurale dell'Istria, il potere venne assunto dal movimento di liberazione jugoslavo. In un quadro di generale confusione, insorsero i contadini croati, affluirono le formazioni partigiane operanti nell'entroterra croato e ovunque vennero instaurati dei “poteri popolari”. Subito cominciarono gli arresti.
Accanto a squadristi e gerarchi locali vennero prelevati podestà, segretari e messi comunali, carabinieri, guardie campestri, esattori delle tasse e ufficiali postali: un segno questo della diffusa volontà di spazzare via chiunque potesse far ricordare l'amministrazione italiana.
Nell'insurrezione, però, i connotati etnici e politici si saldavano inestricabilmente con quelli sociali; in tal modo, bersaglio delle retate divennero anche i possidenti italiani, vittime dell'antagonismo e dell’odio di classe, che coloni e mezzadri croati avevano accumulato nei confronti dei proprietari italiani. Sorte simile venne riservata anche a molti dirigenti, impiegati nonché capisquadra di imprese industriali, cantieristiche e minerarie.
Ben presto però, il campo delle violenze si allargò fino a coinvolgere tutte le figure maggiormente rappresentative delle comunità italiane (dagli avvocati alle levatrici); nel clima di selvaggia rivolta contadina, con la sua commistione di rancori etnici, familiari e di interesse (in cui trovarono posto anche casi di distruzione dei catasti, di linciaggio e di violenze sessuali), si innestò dunque la violenza programmata.
Fonti croate del tempo confermano come uno dei compiti prioritari affidati ai poteri popolari in Istria fosse proprio quello di “ripulire” il territorio dai “nemici del popolo”: una formula questa che, nella sua indeterminatezza, si prestava a comprendere tutti coloro che non collaboravano attivamente con il movimento di liberazione.
LA SECONDA ONDATA E L’ESODO
La seconda ondata di violenze di massa ebbe inizio nei primi giorni di maggio del 1945, quando le truppe iugoslave giunsero nella Venezia Giulia. Appena cessati i combattimenti, infatti, centinaia di militari della Repubblica Sociale Italiana, caduti prigionieri, furono passati per le armi (lo stesso accadde a quelli tedeschi), e migliaia di altri furono avviati verso i campi di prigionia (fra i quali particolarmente famigerato fu quello di Borovnica), dove fame, violenze e malattie mieterono un gran numero di vittime. Contemporaneamente, le autorità jugoslave diedero il via a un'ondata di arresti che diffuse il panico tra la popolazione italiana, soprattutto a Trieste e Gorizia. Parte degli arrestati venne subito eliminata, molti di più vennero deportati e perirono spesso in prigionia.
Obiettivi delle retate, oltre ai membri dell'apparato repressivo nazifascista, ai quadri del fascismo giuliano, e ad elementi collaborazionisti, furono anche partigiani italiani, che non accettavano l'egemonia iugoslava e molti cittadini privi di particolari opinioni politiche, tuttavia di chiaro orientamento filoitaliano. Molti italiani fuggirono, quando fu loro possibile, dalle zone occupate militarmente dagli jugoslavi, ma questa massa di profughi, che si rifugiò un po’ in tutta Italia, dovette spesso subire un’accoglienza fredda, se non ostile.
LE INTERPRETAZIONI STORIOGRAFICHE
Il complesso tema delle foibe, dell’esodo istriano-dalmata e dei profughi giuliani ha suscitato, fino agli ultimi anni del ‘900, un limitato interesse, nella storiografia, nel ceto politico e nell’opinione pubblica italiana, e ciò per almeno due ragioni.
In primo luogo, la generale disattenzione per le vicende del confine orientale, su cui pesavano gli echi di una stagione di conflittualità fra Italia e Jugoslavia che, a partire dagli anni Sessanta, appariva del tutto superata e che si preferiva quindi non ricordare. In secondo luogo, la rimozione compiuta da parte della storiografia di sinistra, che scontava sull'argomento le difficoltà derivanti dal sostegno offerto nel 1945 dai comunisti giuliani all'amministrazione iugoslava responsabile degli eccidi, dalla politica tutt'altro che lineare tenuta dal PCI sulla questione di Trieste, e dalla diffusa ammirazione per il “modello jugoslavo” di Tito.
Ad ogni modo, nel corso di un sessantennio, si sono succedute svariate proposte interpretative, sia di tipo “negazionista” (già dominanti nella storiografia jugoslava), sia impegnate a sostenere la tesi del “genocidio nazionale” degli italiani (tesi che certo riproduce la memoria diffusa dei protagonisti del tempo, ma che non è mai riuscita a dimostrare la strumentalità diretta delle stragi rispetto a un preventivo disegno di 'pulizia etnica').
Maggior spessore hanno certamente alcune valutazioni elaborate negli anni Settanta del ‘900, che hanno consentito di inserire gli episodi del 1943 e del 1945, all'interno di una più lunga vicenda di oppressione e di violenze, iniziata con la politica “snazionalizzatrice” del fascismo, nei confronti degli sloveni e dei croati, proseguita con l'aggressione italiana contro la Jugoslavia e culminata con la repressione nazifascista contro il movimento partigiano jugoslavo. In tale prospettiva, le stragi sono apparse un fenomeno di reazione largamente spontaneo, una sorta di brutale e spesso indiscriminata “resa dei conti” da parte di popolazioni esasperate nei confronti dei loro persecutori.
Si è così pervenuti a una prima storicizzazione del fenomeno, con l'individuazione delle responsabilità del fascismo, nello scoppio della crisi che travolse l'italianità adriatica. Questa valutazione ha però trascurato gli elementi di “programmazione”, pur esistenti nella repressione avviata dalle autorità jugoslave e legati non tanto a una volontà “barbarica” di sterminio degli italiani, quanto a una ponderata strategia di annichilimento del dissenso.
Quest'ultimo aspetto è stato invece esplorato a partire dalla fine degli anni Ottanta in una serie di contributi (uniti dalla formula interpretativa dell’ “epurazione preventiva”, che hanno posto in luce il rapporto esistente tra le violenze del 1943-45 e il più generale processo della presa del potere in Jugoslavia da parte di un movimento rivoluzionario, a guida comunista, protagonista di una guerra di liberazione, che era anche guerra civile diretta all'eliminazione fisica degli avversari; un progetto che era al tempo stesso nazionale ed ideologico, dal momento che era imperniato, oltre che sulla lotta di classe rivoluzionaria, anche, e soprattutto, sull'annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia.
Grazie, Ambrogio.
RispondiEliminaCome sempre, tempestivo ed esauriente.
Un grazie particolare a Beatrice per l'importante e intensa lezione di storia, di cui non si parlava quando andavo a Scuola io.
RispondiEliminaHa esposto in modo chiaro e documentato le motivazioni del "Giorno del Ricordo" ricostruendo con precisione la complessa e drammatica vicenda dei fatti.
Mi auguro che il suo appassionato impegno serva a formare una coscienza di pace, fratellanza e convivenza comune, almeno nei suoi alunni.
Grazie, Mirella.
RispondiEliminaNon merito tanto e, per questa lezione, ho chiesto consiglio ed aiuto, trattandosi di tema spinoso.
Però, sì, ho nutrito, in tutti questi anni, intensa passione per il mio lavoro... Grazie ancora.