domenica 26 gennaio 2025

“La donazione di Rino Sgavetta al Comune di Castelvetro Piacentino”.



Chiedo ospitalità ad Ambrogio, nel suo Blog, per un mio articolo sul pittore Sgavetta apparso su “Strenna piacentina 2024” del dicembre scorso.
La “Strenna piacentina” è una rivista d’arte, curata e diretta dal Cav. Prof. Alessandro Malinverni che presenta interventi che spaziano dall’arte antica a quella contemporanea - architettura, scultura, pittura, arti minori - argomenti di storia e temi che si legano a Piacenza e al suo territorio.
Nel Comitato per la Strenna figura la Dott.ssa Angela Leandri, di origine piacentina da parte di padre, la quale mi aveva proposto, ancora l’estate scorsa, di dare un mio contributo alla pubblicazione annuale suggerendomi uno scritto sulla donazione di Rino Sgavetta al Comune di Castelvetro Piacentino, suo paese natale, di cui aveva notizia. Ho accettato contenta di ricordare il pittore che ho conosciuto e apprezzato in vita.

Ecco il testo, purtroppo ridotto per esigenze editoriali, con le foto di alcuni dipinti:
“C’è un legame invisibile, un filo immaginario ma resistente che ci lega al luogo natìo, avvertito ancora di più da chi ha dovuto “migrare”
anche se tutta la nostra vita scorre lontano, rimane per quel luogo una gratitudine intima, un debito di riconoscenza inconscio, che a volte si manifesta.
Credo che la raccolta di venti quadri donata dal pittore Rino Sgavetta al Comune di Castelvetro Piacentino nel 2017, pochi anni prima di andarsene, ne sia l’espressione più sincera.
Ho avuto il piacere di conoscere il pittore e ho avvertito il suo legame con le proprie opere, quanta passione vi riversava. Non dipingeva per il guadagno ed era molto difficile entrare in possesso di un suo lavoro. Penso che un po’ del suo cuore, con questa donazione, sia ritornato a Castelvetro per restarvi. Un uomo generoso – Sgavetta – che ha ricordato, attraverso altri lasciti di dipinti e sculture Fidenza, dove ha vissuto più a lungo.

A questa donazione è stato dato risalto attraverso l’allestimento di una mostra nella Sala Consiliare, inaugurata alla presenza delle autorità: il sindaco Luca Quintavalla, il critico d’arte Eugenio Gazzola, l’assessore provinciale alla cultura Stefano Perrucci, l’assessore comunale alla cultura Pier Luigi Fontana, che ringrazio per la documentazione e le foto dell’evento. Al termine dell’esposizione i dipinti sono stati collocati nei vari uffici del Comune.

Ho scritto diverse volte di Sgavetta, con l’intento di promuovere la sua arte: su “il Risveglio”, il settimanale della città e della diocesi di Fidenza, sul blog di Ambrogio Ponzi e nel volume Rino Sgavetta Il puro canto delle forme (2012), a cura di Marzio Dall’Acqua, ho ripercorso la sua carriera e sottolineato la sua concretezza e onestà, la considerazione e il rispetto che aveva per la natura e per quello che possedeva.

Vita e formazione

Sgavetta nasce il 23 novembre 1927 a San Giuliano Piacentino, frazione del Comune di Castelvetro Piacentino, in una famiglia di contadini. Dopo un primo trasferimento nel parmense (Polesine e Busseto) negli anni ’40, la famiglia approda in terra fidentina nel decennio successivo.
La sua vita, come quella di tanti coetanei, è intrisa di povertà e privazioni. Lavora nei campi fin da ragazzo, ma sente forte il desiderio di dedicarsi alla pittura.

I genitori, però, si oppongono, e così deve dipingere di nascosto, di sera, in soffitta, con la lucerna a petrolio. Impasta terra e colori di fortuna (polveri di imbianchino, mattoni macinati, foglie, bacche) con resine e olio frusto da motore, che spalma con le dita su tavole di recupero, cartone o carta da pacco, prima di costruire lui stesso pennelli con il crine dei cavalli o dei buoi (più fine), tagliato di nascosto. Un’esperienza che gli sarebbe rimasta impressa, aiutandolo ad apprezzare tutti gli aspetti della realtà circostante, che verranno trasferiti sulla tela con notevole carica espressiva.

Tra le sue prime opere vi è una Madonna col Bambino seguita dal grande ritratto di Giuseppe Verdi; dipinge dal vero scene di lavoro nei campi e vedute di Fidenza; ritrae sui muri della casa colonica nella frazione di Castione Marchesi, dove abita, i personaggi del cinema e i campioni di ciclismo del momento.

Negli anni ’60 viene assunto come operaio in una Ditta appaltatrice dell’Enel. Giunto alla pensione può dedicarsi a tempo pieno alla sua grande passione ed esprimere liberamente «quella cosa che viene dal cuore», secondo le sue parole. A Fidenza si stabilisce poi in via Palme 8, dove un giardino con sculture, realizzate con i materiali più disparati, introduce al suo eterogeneo mondo, e dove si conclude la sua lunga vita a 93 anni, il 31 maggio 2021.

Inizia come pittore autodidatta, per breve tempo disegna e dipinge con Oreste Emanuelli (Priorato di Fontanellato 1893 - Fidenza 1977), che gli fornisce i rudimenti del mestiere e convince i genitori a lasciarlo fare, restando suo amico per tutta la vita, fino a ritrarlo a carboncino sul letto di morte.
Nel 1978 a Salsomaggiore Sgavetta riceve la nomina ad Accademico con medaglia d’oro per l’attività svolta nel settore delle Arti; frequenta in seguito un corso serale di figura con il Gruppo Artistico Leonardo di Cremona, negli anni 1981-82.

Noto per i suoi paesaggi e le immagini di ciclisti, ha saputo farsi interprete sensibile anche di nature morte, e ha frequentato con buoni risultati la scultura. Nel tempo, ha tralasciato il disegno e l’uso del pennello, modellando direttamente a spatola (larga anche dieci centimetri) il colore a olio spesso e granuloso da lui stesso composto su una tela di juta a grossa trama. 

La sua espressione artistica.

Fig. 1 Paesaggio in collina, olio su juta a spatola, 1983.

Sono di una semplicità estrema, prive di figure umane, ma di ampio respiro le sue “vedute” (fig. 1), dipinte rigorosamente dal vero, nelle quali è protagonista per lo più la Valle Padana dalla Bassa fino alla collina. 
Lo spazio è dilatato, l’ora del giorno si protrae all’infinito ed esalta un evento naturale, l’emozione di un momento, un’atmosfera che sembra sempre uguale, ma sempre irripetibile. Si avverte il suo amore per questi luoghi, emerge un animo incline alla meditazione e alla solitudine, alla ricerca di libertà, silenzio e pace: la neve, la nebbia, lo scorcio di un fossato, il digradare di un monte, una casa abbandonata, una frana, un campo di grano con papaveri, i colori caldi degli alberi in autunno, un tramonto...

Nella sua vita ha rappresentato di tutto (fiori, frutti, animali, figure, barche, ciclisti, composizioni astratte, sculture), ma è nelle vedute che ha saputo dare risalto a una natura incontaminata, lontana dai rumori dell’uomo: guardando le sue tele si avverte il fruscio del vento, lo scorrere dell’acqua, il canto degli uccelli. Sgavetta si fa interprete sincero del sentire della terra da lui tanto amata, conosciuta attraverso il duro lavoro.

Fig. 2 Natura in posa, olio su juta a spatola, 1985.

Notevoli sono pure le nature morte, dove elementi semplici e umili come una zucca o le bucce di arancia o qualche pomodoro acquistano un’importanza da dipinto “di storia”. Cose di poco valore oggi, ma essenziali un tempo per la sopravvivenza, alle quali Sgavetta conferisce una certa nobiltà, giocando con i valori cromatici (fig. 2).

Fig. 3 Gozzi liguri, olio su tela a spatola, 1980.

Rilevanti le “barche”, silenziose e vuote, ma di grande fascino, riprese di prima mattina sull’arenile (fig. 3), come i due Gozzi liguri in secca sulle assi, in attesa dei pescatori, dai colori che rispecchiano il cielo.

Fig. 4 Due capre al pascolo, olio su juta a spatola, 2009.

Anche gli animali, sempre ripresi dal vero, di una freschezza contagiosa, sono stati al centro della sua riflessione: sembrano uscire dal quadro, come le caprette che pascolano e pare di sentire il rumore dell’erba brucata (fig. 4).

Fig. 5 Lettore di giornale, olio su juta a spatola, 2009.

A questi soggetti si deve aggiungere la figura umana, nuda o vestita, colta in momenti di grande quotidianità, come il Lettore di giornale, preso dal basso, immerso nella lettura, come isolato dal mondo circostante (fig. 5).

Fig. 6 Autoritratto, olio su compensato, 1980. Foto Tiziano Bellini

Diversi e incisivi i suoi autoritratti, realizzati nel corso degli anni, dai quali emerge tutta la tenacia, la costanza e l’energia interiore che hanno contraddistinto il suo cammino artistico (fig. 6).

Un discorso a parte meritano i suoi ciclisti: in gioventù ha ammirato la bicicletta come mezzo di trasporto che non si poteva permettere; nel tempo ha seguito con passione le gare ciclistiche. 
Sempre affascinato dalla velocità, dalla “volata” del gruppo, dall’andatura del solitario, dai colori, dai suoni, dai rumori, dalle voci: tutte emozioni che rivivono nelle sue composizioni. Un tema molto sentito, ripreso più volte con sempre maggior essenzialità e scioltezza, fino ad arrivare al movimento puro, a un tutt’uno dell’uomo con la bicicletta, dell’uomo con la ruota, della ruota sola.
I ciclisti disegnati o appena abbozzati sulla carta (tantissimi, visti di fronte, di profilo, in salita, in curva, soli, in coppia, in gruppo), o acquerellati, i più immediati, spontanei, i più prorompenti, dove sembra di sentire il fruscio delle ruote... e sono già passati!

I ciclisti dipinti, con colori pastosi della sua tipica tavolozza, frenano forse la corsa, ma rendono più umano e più faticoso il correre. Quelli più recenti, brillanti e velocissimi, risolti con collage di vivaci stoffe decorate, su fondo colorato di tela sottile o lino che affiora, dove poche e straordinarie spatolate fondono lo sportivo con l’aria che attraversa. I ciclisti realizzati con i ferri, grandi, neri, rossi, arrugginiti, dove l’effetto delle ruote che si rincorrono e sovrappongono riesce a dare il senso di un movimento velocissimo.

Già avanti negli anni si è dedicato, infatti, anche alla scultura con produzioni prevalentemente di legno. Nel calendario per “il Risveglio” che composi nel 2009 con foto di sue opere, su richiesta del direttore Don Mario Fontanelli, presentando una scultura nel mese di agosto, provai a descrivere la sua capacità di immaginarla all’interno di un detrito, e la determinazione a liberarla.

L’albero, il suo legno: una risorsa della natura che accompagna la vita dell’uomo, dalla culla alla tomba, esaltata per i credenti dalla Croce. Un ceppo, un tronco, un ramo abbandonato, scarnito dal passare del tempo all’aperto o imbevuto d’acqua per anni o secoli e poi riemerso dal fiume.
La visione: un’emozione unica per l’artista! E già tutto il corpo in fremito per raccoglierlo, per portarlo a casa, per trovargli un posto... e poi le notti insonni per la smania di intagliarlo e il tormento di dargli la forma, appena abbozzata su pezzi di carta, che è nella sua mente.
Lavoro e sacrificio di mesi, tra la polvere e il rumore degli attrezzi, riguardando il pezzo da tutti i punti di vista e poi la cura per lisciarlo e lucidarlo conferendogli un nuovo splendore.

Sgavetta ha abbracciato anche l’astrattismo: la sua pittura che già è scultura nello spessore dell’amalgama a olio, si arricchisce utilizzando materiali di recupero, inserti di legni, stoffe, metalli, filo di ferro e carta stampata. L’essenzialità che emerge dai suoi quadri è profonda e ricca di significati, e non è frutto di improvvisazione: nasce da una rielaborazione sofferta, legata a un senso religioso che ammanta il creato.

Con tanta emozione nell’ottobre del 2019 ritirò a Parma il Primo Premio alla Mostra di Selezione promossa dal CIAC (Centro Internazionale di Arte Contemporanea), per la XIII Edizione della Biennale Internazionale di Roma. Purtroppo la Biennale, programmata per la primavera del 2020, fu annullata per Covid.

Il dipinto che gli aveva guadagnato l’ambito premio aveva per titolo Il cantiere:
«è il ritratto di Rino, che non si ferma, ma continua a rielaborare... I suoi colori, sempre più brillanti e vivi, le sue larghe spatolate, il suo spessore dell’impasto, le sue tonalità calde e terrose, la sua tela che affiora, i suoi temi inconsueti... non hanno bisogno di firma»”.

Aggiungo l’elenco dei rimanenti quadri della collezione:
  • Rustico, olio su juta a spatola, 1978,
  • Le mie rose, olio su tela a spatola, 1980,
  • Inverno a Villanova, olio su tela a spatola, 1981,
  • Autunno a Tabiano, olio su tela a spatola, 1984,
  • Anziano in attesa, olio su juta a spatola, 1984,
  • Nevicata ai Due Ponti Colombarone, olio su tela a spatola, 1985,
  • Inverno a San Giuliano, olio su tela a spatola, 1985,
  • Campo di papaveri, olio su tela a spatola, 1987,
  • Il frantoio, olio su juta a spatola, 1988,
  • Autunno a Carpaneto, olio su tela a spatola, 1990,
  • Battello a San Daniele Po, olio su juta a spatola, 1991,
  • Resti di una barca, olio su juta a spatola, 1992,
  • Paesaggio, olio su juta a spatola, 1992, 
  • Paesaggio a Ponte Taro, olio su juta a spatola, 1997.
Dai titoli dei dipinti possiamo capire quanto Rino Sgavetta fosse legato con affetto ai luoghi del territorio padano che conosceva e in cui ha vissuto, diventati i temi delle sue opere.

Mirella Capretti 
Fidenza 25.01.2025 

2 commenti:

  1. Mirella dalle mille risorse. Brava!

    RispondiElimina
  2. Sempre emozionante leggere i tuoi approfondimenti, così ricchi di particolari! Grazie Mirella

    RispondiElimina