Il 21 agosto 1940, ottantacinque anni fa, alle sette e venticinque della sera, moriva in un ospedale di Città del Messico Lev Trotsky, organizzatore dell'Armata Rossa e predicatore della Rivoluzione Comunista.
Ventisei ore prima la picozza di un sicario, agente della Ghepeù stalinista, si era abbattuta con furia bestiale sulle spalle del vecchio Compagno di Lenin, fracassandogli il cranio.
Era l'ultimo grande della vecchia guardia bolscevica, uno di quei combattenti della Comune Rossa di Pietroburgo e di Mosca che la controrivoluzione Stalinista aveva condannato a morte.
Il 1934 fu l'anno che aprì l'epoca del terrore e delle repressioni violente contro l'opposizione della Sinistra Comunista Internazionale, impegnata nella denuncia e nella lotta alle deviazioni e all'aperto tradimento del marxismo rivoluzionario.
Tradimento che ebbe il suo drammatico epilogo nel 1939 con il patto Molotov-Ribbentrop, firmato tra Unione Sovietica e Germania nazista nel 1939 che prevedeva un accordo di non aggressione e, segretamente, la spartizione della Polonia e di altri territori dell'Europa orientale tra i due paesi: il nazionalcomunismo era ormai dominante nell'Unione Sovietica.
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