Riproponiamo oggi un perfetto esempio della produzione grafica di Giovan Battista Tagliasacchi (Borgo San Donnino 1696 - Castelbosco Piacentino 1737): il disegno autografo segnato Gio. B. Tagliasacchi Fidentino, appartenente alle collezioni della Pinacoteca Ambrosiana di Milano, dove è stato catalogato da Robert R. Coleman come A Saint Intercedes sto the Virgin and Child on Behalf of a multitude (cat. n.7396).
Come già sanno i lettori del
“Risveglio”, settimanale della diocesi di Fidenza, si tratta di uno schizzo
preparatorio, una sorta di prima idea compositiva per una pala d’altare rimasta
sconosciuta o forse non dipinta, il cui soggetto attende di essere chiarito in
maniera definitiva. I dubbi riguardano in primo luogo l’identità del “santo
intercessore”, rappresentato nelle sembianze di un vecchio penitente che
procede a piedi nudi tra la folla con una pesante croce sulle spalle, mentre
con la mano sinistra distribuisce il pane a gente affamata: l’insolito episodio
è ambientato presso la porta d’ingresso d’un’antica città, su cui il sant’uomo
sembra invocare la protezione della Vergine, che appare in cielo con il Bambino
ed il consueto seguito di angeli.
In
un precedente articolo abbiamo proposto un parallelo con il noto episodio di
Eraclio che riporta la Santa Croce a Gerusalemme, ricordato dal calendario
liturgico, il 14 settembre, in occasione della festa dell’esaltazione della
Santa Croce. Si deve, tuttavia, ammettere che l’ipotesi pur suggestiva, non
regge a una più approfondita analisi, anche in considerazione del fatto che in
tutta la scena è assente ogni riferimento esplicito alla regalità, come la
corona, il manto e il cavallo, ai quali l’imperatore bizantino, su invito di un
angelo, aveva rinunciato in segno di umiltà, prima di varcare sulle orme di
Gesù la soglia della città santa.
Quasi
una sorta di piccolo rebus iconografico: il problema può, tuttavia, essere
finalmente risolto grazie a questa stampa raffigurante il Beato Raimondo
Palmieri (Piacenza 1140-1200), incisa nel 1612 da Oliviero Gatti (Piacenza
1579-1648) e inserita nella prima edizione della vita del santo scritta da P.
M. Campi (Piacenza 1618).
Venerato
compatrono della città e diocesi di Piacenza, San Raimondo Zanfogni, detto il
Palmerio o Palmeri per il viaggio compiuto in Terrasanta - le foglie di palma
portate a casa ne erano il simbolo (palmarius) -, divenne presto famoso non
tanto per i suoi frequenti e avventurosi pellegrinaggi (Roma, Compostela,
Gerusalemme, Vienne), quanto per l’impegno verso i più poveri e diseredati, per
i quali fondò a Piacenza l’ospizio dei XII Apostoli, che in seguito prese il suo
nome. L’incisione del Gatti, da cui derivano altre immagini a stampa fra Sette
e Ottocento, lo mostra, scalzo con l’abito penitenziale, il rosario, la croce
sulle spalle e il cesto del pane: proprio come l’ignoto personaggio al centro
della vivace composizione ideata dal Tagliasacchi.
Ma
a sciogliere ogni possibile dubbio sull’identità del vecchio penitente è il
confronto con la pala raffigurante San
Raimondo che dispensa il pane ai poveri (figura 2), dipinta da Antonio Balestra nel 1739 per la chiesa
piacentina di San Raimondo e resa nota da Ferdinando Arisi, cui si deve una
prima ampia rassegna iconografica dedicata al santo piacentino (id., Santi piacentini, 1987).
Come si può vedere la scena descritta dal pittore veronese corrisponde
del tutto a quella delineata da Tagliasacchi, cioè la Vergine col Bambino in
alto sulle nubi nella gloria degli angeli e in basso san Raimondo porta-croce
che porge il pane ai poveri. Altro particolare che accomuna le due opere è la
figura del pellegrino, in primo piano a sinistra nel disegno, e quasi al centro
nella composizione del Balestra, forse un richiamo simbolico a Gerusalemme, che
Raimondo Zanfogni visitò con la madre all’età di quattordici anni e da dove
ebbe inizio la sua radicale conversione, che lo porterà a donarsi totalmente ai
poveri.
Quanto
alla datazione,
possiamo
far riferimento a due pregevoli dipinti tra quelli rimasti nello studio del pittore, dopo
l’improvvisa sua scomparsa, avvenuta il tre dicembre 1737 a Castelbosco
Piacentino: la B.V. dell’aiuto con vari santi, firmata e datata nove ottobre 1737, assieme al
Cristo in croce e Sant’Agostino, che lo
Zaist ricorda tra le opere non ancora ultimate.
Nella
prima tela, dall’affollato circolare gruppo dei santi che si rivolgono alla
Vergine, si distingue l’austero san Pio V, vestito con gli abiti pontificali,
il camauro e la tiara posata accanto: ha lo stesso volto scavato e il profilo
adunco di san Raimondo, mentre nello slancio ascetico di san Vincenzo Ferrer
non è difficile ritrovare lo stesso atteggiamento che caratterizza la figura di
giovane sulla destra del foglio (cfr. L. Fornari Schianchi, 2011).
Ancora
più marcata è la “parentela” con la seconda tela per la straordinaria
somiglianza dei volti di Raimondo penitente e di sant’Agostino che
contempla il crocifisso; il dipinto, riemerso negli anni Settanta del secolo
scorso dai depositi dell’ex collegio gesuitico di Borgo San Donnino, fu oggetto
d’ una interessante controversia tra gli eredi del pittore , che ritenevano
l’opera non finita e quindi non cedibile, e il committente che ne rivendicava
la proprietà, avendo anticipato il pagamento di tela e colori.
Alla fine degli anni Trenta del XVIII
sec., Gianbattista Tagliasacchi, molto vicino al vescovo Gherardo Zandemaria, è
attivo principalmente a Piacenza ove raggiunge l’apice della fama di pittore:
non è da escludere un suo coinvolgimento nell’ideazione della pala per l’altare
maggiore della erigenda chiesa di san
Raimondo, che, come si è detto, venne consegnata dal Balestra, circa un anno
dopo la morte del giovane ma già famoso pittore fidentino.
Sul piano prettamente iconografico,
il disegno dell’Ambrosiana può essere
accostato ad un’altra singolare testimonianza “fidentina”, il “RAIMVNDINVS
VILIS” scolpito nell’acroterio del portale di destra del Duomo di Borgo san
Donnino, forse la più antica immagine esistente di Raimondo Zanfogni, connotato
con l’aggettivo vilis:
una sorta di cognomen acquisito sul
campo, a significare proprio la scelta
di vita di questo santo laico il quale
si fece carico degli “scarti” della società, cioè della “gente di poco conto”(vilis) e, per questo , sempre
“disprezzata” nella “bassezza” (vilitas)
della sua marginalità.
L’intrepido
amico dei poveri e diseredati, “pauperum
pater”, che, come ricordano i suoi biografi, non esitava a scagliarsi
contro i soprusi dei potenti e
l’avarizia dei ricchi («Aiutateci, cristiani duri di cuore e crudeli…»), è qui
rappresentato senza la croce, apparentemente accovacciato sul tetto di un
edificio a capanna, forse una chiesa-santuario in ricordo dei suoi
pellegrinaggi, avendo come semplici
attributi l’abito con cappuccio dei pellegrini medievali, il bastone da viaggio
e la gerla del pane sulle spalle, simbolo quest’ultimo della carità
ardentissima che animò l’esemplarità della sua vita.
Canonizzato
ufficialmente nel 1602 da Papa Clemente VIII - gli stessi anni, tra l’altro,
dell’erezione a diocesi della chiesa di Borgo San Donnino -, ma venerato come
santo subito dopo la morte, si giunse ad esaltarne il carisma della povertà perfino coi grafemi del suo stesso nome,
proprio come si desume da BEATUS RAIMUNDUS PALMERIUS con l’anagramma UT MANU DARES PABULUM MISERIS ( Cura fuit Raimunde tibi gestare canistros ut
manu dares pabulum miseris, pauperum pater): tutte iscrizioni che
accompagnano l’immagine incisa nelle pagine della seicentesca Vita di S. Raimondo Palmerio, opera
dello storico piacentino Pietro Maria Campi, fonte iconografica e letteraria
cui verosimilmente G.B.Tagliasacchi ha attinto per il suo vaporoso e guizzante
bozzetto
Guglielmo Ponzi
Pubblicato in “Il Risveglio”, settimanale della città e Diocesi di Fidenza, il
10 aprile 2009, riveduto il 10 Aprile 2024.
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