Questa splendida pala del Tagliasacchi, firmata e datata 9 ottobre 1737, appartiene a una collezione privata francese, ove è stata individuata e pubblicata per la prima volta da Lucia Fornari Schianchi (“Tagliasacchi, Peroni, Callani: aggiunte al catalogo della pittura parmense del Settecento”, in Scritti di storia dell’arte in onore di Silvie Beguin, Napoli, 2001).
Secondo la studiosa si tratta della tela descritta dagli antichi inventari come “La Madonna dell’Aiuto e Santi”, commissionata da Enrichetta d’Este e data per perduta insieme ad altri quadri giacenti nello studio del pittore fidentino al momento della sua improvvisa morte avvenuta, come noto, nel dicembre dello stesso anno a Castelbosco piacentino, nella villa del marchese Fabio Scotti.
L’attribuzione è confermata da un preciso riferimento iconografico: infatti la figura della Vergine, dalla fronte velata, che come avverte la stessa Fornari Schianchi “sembra desunta da un più antico dipinto”, riproduce pari pari l’antica immagine affrescata, prodigiosamente ritrovata nel 1723 a Parma all’interno del complesso di San Cristoforo e trasferita nel 1811 nella vicina chiesa di San Quintino, dove è tuttora venerata sotto il titolo, appunto, di Madonna dell’Aiuto.
Nell’affollato “circolare gruppo di santi che si rivolgono alla Vergine” sono individuabili alcune figure tra le più rappresentative dei principali ordini religiosi, presenti a Parma nei primi decenni del secolo XVIII.
Per la grande famiglia francescana abbiamo, in piedi, sulla sinistra in alto, San Francesco di Paola, facilmente riconoscibile per il motto Charitas che il santo eremita, fondatore dei Minimi, esibisce nella tabella affissa sul bastone; allo stesso modo non da problemi l’identificazione di Sant’Antonio da Padova, per l’ampia tonsura, il volto glabro, il giglio e l’antico saio grigio dei Minori. Va però segnalata a questo punto una piccola imprecisione relativamente al terzo santo francescano, in piedi al centro della composizione: non si tratta, come si è finora ritenuto, di san Bernardino da Siena, bensì di san Pasquale Baylon, qui rappresentato secondo l’iconografia consueta che gli pone tra le mani l’ostensorio per ricordare la sua grande devozione verso l’Eucarestia.
Di fronte al frate alcantarino, che indossa il saio marrone dei Riformati, spicca dal lato opposto un nobilissimo San Luigi Gonzaga, i cui delicati lineamenti sono esaltati dall’alto colletto del nero abito talare coperto dalla cotta bianca e ricamata.
Ai tre francescani in estasi e al giovane gesuita assorto in preghiera, si affiancano sulla destra, altri due santi un tempo molto famosi anche nelle nostre contrade, appartenenti entrambi all’ordine domenicano e precisamente un alato San Vincenzo Ferrer, che, con la fiammella sul capo e il giglio, guarda verso di noi e ci addita la Vergine attorniata da una lieve gloria di angeli, e l’ascetico san Pio V, il papa di Lepanto, la cui magrezza è messa in evidenza dal volto scavato e dalla barba bianca che ne allunga il profilo. Il vecchio pontefice, con il camauro e il piviale, è assistito da un angioletto che sgambetta gioioso e mostra sorridente la preziosa tiara papale.
All’austera figura del papa domenicano fa pendant l’immagine di sant’Anna rappresentata, anch’essa molto avanti negli anni, ma che non ha smesso di meditare le sacre scritture, come rammentano il libro socchiuso e il dito che segna le pagine delle profezie: realisticamente ritratta, in primo piano a sinistra, l’anziana genitrice di Maria ha forse preso in prestito il volto e le fattezze della madre del pittore.
Tutto il quadro è pervaso da una bellissima trasparenza luminosa, con colori attenuati e vibranti che ricordano i modi del bavarese Ignaz Stern; ultimo lavoro a essere compiuto e firmato, questa tela costituisce non solo un’ affettuosa testimonianza di devozione alla Madonna della vedova dell’ultimo Farnese, ma anche il testamento artistico e spirituale di Giovan Battista Tagliasacchi, imprevedibile pittore “grazioso” che scioglie le estasi in immagini trascoloranti e i cui santi sorridono sempre con soave dolcezza.
Guglielmo Ponzi
Grazie!
RispondiEliminaMi lascia molto perplesso la santità attribuita a Pio V, persecutore degli ebrei e inflessibile inquisitore. Mandò al rogo e impiccò ilkustrimumanisti e letterati, come Aonio Paleario, Carnesecchi e Niccolò Franco. Mai mi rivolgerei a un simile santo nelle mie preghiere.
RispondiEliminaCon il metro di oggi in cui la guerra non è mai giustificata, da un pezzo trovo discutibile anche la santità di Giovanna d'Arco.
RispondiEliminaLa santità del resto non è un dogma di fede. Spesso è legata al tempo e alla storia in cui vive quella persona e a quali valori del momento si è adeguata. Penso che sia il caso anche per Papa Pio V al secolo Antonio Ghislieri (1504-1572)
Rimango dell’idea che santo non è chi perseguita e sopprime coloro che hanno opinioni diverse ideologiche o religiose. Che sia poi un omarino della strada o un pontefice. Esiste il comandamento divino Non uccidere, valido per tutti, da millenni.
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