Ottobre 1628, ottobre 2023:
395 anni sono passati dalla prima “grazia” elargita dalla Madonna di Fontanellato proprio a un fidentino.
Il “primo miracolo” si verificò, appunto, nell’ottobre 1628 quando un certo Gian Pietro Ugolotti di Borgo San Donnino, l’attuale Fidenza, di anni 65, colpito da febbre maligna continua, raccomandatosi alla Santissima Vergine di Fontanellato, ottenne immediata guarigione.
Il prodigio, rappresentato anche in un grande quadro votivo, venne riconosciuto come autentico dal Vescovo di Parma, e riportato poi insieme con altre grazie che i Padri Domenicani cominciarono a scrivere in appositi libri, su testimonianza dei devoti graziati.
Un po’ di storia.
San Domenico, originario della Spagna del sud, nel 1216 fondava l’Ordine dei Frati Predicatori, chiamati in seguito Domenicani. Si dice che due anni prima gli era apparsa la Madonna dalla quale aveva ricevuto un rosario come strumento per l’aiuto dei cristiani contro le eresie.
I religiosi vennero a Fontanellato nel 1512 su invito della contessa Veronica da Correggio, vedova da un anno di Giacomo Antonio Sanvitale.
Come si legge nei documenti di fondazione, essi vennero per pregare, celebrare le S. Messe, ascoltare le confessioni, evangelizzare il popolo, assistere spiritualmente gli ammalati che si trovavano nelle case sparse nelle campagne: in tal modo avrebbero procurato la “salus animarum”, la salvezza delle anime intesa dal Santo Fondatore.
Ebbero in dono un antico Oratorio dedicato a San Giuseppe - del 1397 - vicino alla Rocca, e il terreno su cui fabbricare il convento.
Nel 1521 il Ducato di Parma veniva occupato dalle milizie francesi, subito ricacciate dalle milizie imperiali: in poco tempo fu rovina dovunque. I frati, insieme con gli abitanti della campagna, si salvarono rifugiandosi nella Rocca.
Nel 1543, invaso di nuovo il Ducato, questa volta dall’esercito milanese, i Sanvitale furono costretti a demolire il convento per ricavarne pietre da usare in fortificazioni. Terminata la guerra, i religiosi ricostruirono, con immutata fiducia.
Nel 1566 venne eletto Sommo Pontefice il domenicano “osservante” Fra’ Michele Ghisleri, con il nome di Pio V. Questi riformò con esemplare fermezza la Chiesa secondo i Decreti del Concilio di Trento, finito tre anni prima.
La vittoria ottenuta dalle navi della Lega Cattolica contro la invadente flotta turca nelle acque di Lepanto, il giorno 7 ottobre 1571, venne attribuita, dal medesimo Papa, alla celeste intercessione della Beata Vergine del Rosario - della quale era devotissimo - invocata con la “corona”.
A perenne memoria dell’evento, l’anno seguente, il Pontefice istituiva la Festa della Madonna della Vittoria (che poi il successore, papa Gregorio XIII trasformò in festa della Madonna del Rosario, sempre il 7 ottobre), estendendola alla Chiesa Universale, che determinava la nuova iconografia della Vergine, e dava forma definitiva alla preghiera stessa.
La corona del Santo Rosario, indicata da Maria come ancora di salvezza anche nelle apparizioni di Lourdes e Medjugorje, rappresenta il “giardino delle rose mistiche” della Vergine stessa.
Furono i monaci cistercensi nel XIII secolo a definire questa nuova forma di preghiera che chiamarono “rosario” (dal latino rosarium: rosaio) comparandola ad una corona o ghirlanda di rose profumate donata alla Madonna, come era usanza medievale di adornarne le statue. La rosa è il fiore mariano per eccellenza.
I 165 grani, di legno, metallo, ambra, pietra o plastica, sono divisi in quindici decine; ogni gruppo di cinque decine ha i propri Misteri: Gaudiosi (della gioia), Dolorosi (del dolore) e Gloriosi (della gloria). I grani grossi rappresentano il Padre Nostro e il Gloria, i grani piccoli, l’Ave Maria.
La lunga corona del rosario (collana di grani) completa, è in uso solo tra i Frati e i Religiosi. I fedeli, invece, recitano le preghiere sgranando una comune corona composta dalla “Terza parte del rosario”.
Papa Giovanni Paolo II, nel 2002, ha aggiunto altre cinque decine, facoltative, con i Misteri Luminosi (della luce).
Il rosario come cerchio della completezza e del tempo, simbolo di eternità e di ascetismo, è tipico in ogni religione. Nel Buddismo è composto da 108 grani infilati nel cerchio (ruota della vita). Nell’Induismo consta di 32 o 64 bacche d’albero infilate nel cerchio (il tempo), ma può avere anche 108 grani di legno. Nell’Islamismo, i grani sono 99 (numero circolare); il centesimo grano può essere trovato solo in Paradiso.
L’Ordine Domenicano, tramite il Capitolo Generale celebrato nel 1592 a Venezia, disponeva che in tutte le proprie chiese venisse istituita la Congregazione o Confraternita del Rosario, con cappelle e altari propri, per curare e diffondere al massimo la devozione a Maria tramite detta preghiera. In tale contesto di fervida religiosità, il Convento di San Giuseppe in Fontanellato aveva trovato la sua specifica missione.
Nel 1615, analogamente a quanto avveniva negli altri santuari, i Padri Domenicani ordinavano ad un anonimo artista di Parma di intagliare in legno una statua della Madonna del Rosario e di rivestirla con preziosi abiti secondo la foggia del tempo, per esporla sopra l’altare della sua cappella alla venerazione dei fedeli.
L’immagine che regge un regale e benedicente Gesù Bambino e che offre la corona del Rosario, presentata ai fedeli con una solenne processione il 9 ottobre (festa di San Donnino) 1616, piacque moltissimo, e suscitò grande devozione tra il popolo.
Essa porge il Figlio, che è Dio, piccolo, tra le braccia, perché non ha voluto che i segni della sua passione fossero per noi un rimprovero.
I Padri Predicatori istruirono adeguatamente i credenti sul significato della sacra immagine, sul valore della sua corretta venerazione, sul dovere di imitare le virtù della Madonna e di rivivere attraverso i Misteri i momenti della sua vita intrecciati con quella del Salvatore.
La preghiera divenne così più fervida ottenendo grazie e prodigi senza numero, come riferiscono le cronache del tempo.
Dopo il primo miracolo con la guarigione improvvisa del borghigiano, altri devoti furono graziati. La notizia dei prodigi si diffuse in tutta l’Emilia e nelle diocesi limitrofe.
Il continuo e crescente afflusso di fedeli e pellegrini, richiese, per conseguenza, la costruzione di un edificio sacro più vasto e più degno.
La costruzione del nuovo santuario fu bloccata da due tristi avvenimenti quasi contemporanei: la peste scoppiata nel 1630, che raggiunse sia pure in forma meno virulenta anche Fontanellato, probabilmente per voto alla Madonna, e la guerra scatenata dal Governatore di Milano contro il Ducato di Parma.
Per salvare l’immagine miracolosa della Madonna del Rosario da temuti sacrilegi da parte della soldatesche, i Padri Domenicani la trasferirono nottetempo, in gran segreto, a Parma, per esporla nella chiesa dei loro Confratelli, detta di San Pietro Martire.
L’edificio, demolito nel 1813 dopo le soppressioni napoleoniche, era situato all’interno dell’attuale Piazza della Pace vicino al palazzo della Pilotta, dove ora una grande fontana ne ricalca il perimetro.
Dopo sette anni, ristabilita la situazione politica, la statua fu riportata a Fontanellato, questa volta in pieno giorno e in maniera trionfale, accompagnata da una moltitudine di fedeli in preghiera, passando tra due ali di folla che applaudiva.
Altri tempi...
Ripresero allora i lavori per la nuova chiesa che durarono quasi vent’anni.
La struttura architettonica si innalza sopra una pianta a croce latina con transetto e coro poco profondi, la vasta aula è ad unica navata, fiancheggiata da quattro cappelle per parte; il presbiterio è coperto da un’alta cupola che sovrasta l’altare maggiore, dietro il quale venne innalzata nel 1650 l’edicola o nicchia del trono per esporvi la Madonna.
Nell’agosto di dieci anni dopo, terminata la chiesa, il Vescovo di Borgo San Donnino Mons. Alessandro Pallavicino incoronò regalmente la sacra effigie. A ricordo di quella prima, di altre incoronazioni, il 15 agosto (Assunzione di Maria) rimase la festa più solenne di Fontanellato.
Nel corso del 1600 e nei primi anni del 1700, vennero collocati preziosi quadri nelle cappelle e nel transetto, e rivestiti gli altari di paliotti in scagliola policroma.
A tutti questi ornati si aggiunsero, nel tempo, migliaia di “ex voto”: cuori d’argento, quadretti e oggetti vari, che cominciarono a coprire i pilastri e le pareti del Santuario (ora collocati in ambienti adiacenti la sagrestia).
Diverse sono le pubblicazioni delle grazie e dei miracoli ottenuti per intercessione della Vergine. Abbiamo notizia della Raccolta curata da Padre L. Malaspina, 1630; da Padre T, Pallavicino, 1660; da anonimo Domenicano, 1741; e altri ancora in seguito. Molte altre grazie sono ancora inedite, consegnate a manoscritti conservati negli archivi. La maggior parte di esse, però, è nota solo ai fedeli che le hanno ricevute.
A pagina 232 e 233 dell’“Inventario degli Oggetti d’Arte d’Italia”, conosciuto come “Il Santangelo”, del 1934, abbiamo notizie dei dipinti su tela del Santuario di Fontanellato, e tra questi “l’ex voto riferito al primo miracolo del 1628”.
L’inventario è stato redatto dall’allora “Reale Sopraintendenza Arte Medioevale e Moderna di Bologna”.
“EX VOTO. Dipinto a olio su tela: misura metri 2,50 x 1. Opera di ignoto del sec. XVII. Nei cieli entro una gloria radiata di luce la Madonna di Fontanellato appare a un suo devoto rappresentato in basso a destra a mezza figura in atto di adorarla recando la mano destra al petto. Appeso alla parete destra della crociera di sinistra. Proprietà della chiesa.
L’opera va riferita al più antico dei miracoli compiuti dalla Madonna di Fontanellato: la guarigione improvvisa di un G. P. Ugolotti, avvenuta nell’ottobre del 1628. Sotto il quadro si leggeva infatti un tempo una iscrizione relativa a questo miracolo (cfr. M. T. Alfonsi. La Madonna di Fontanellato. Ferrara 1911, pag. 23, anche per riproduzione)”.
In un successivo inventario compilato sempre dalla Sopraintendenza, sotto la direzione di Augusta Ghidiglia Quintavalle nel novembre 1950, gli ex voto attribuiti a Pietro Rubini (Parma 1700-1765), autore anche degli affreschi della volta, sono indicati quasi tutti con un numero romano. Il “nostro” ha il numero XX.
Buona parte di questi quadri votivi è stata restaurata da Giuliano Brancaleoni, che diresse pure la pulitura e il ripristino della volta del Santuario negli anni 1991/92, anni in cui conducevo un lavoro di ricerca sugli ex voto con una classe della locale Scuola Media.
Il restauratore, trentino, esperto conoscitore del modo di dipingere di Rubini, mi disse che nella tela dedicata al primo miracolo, il volto della Madonna non è di mano del pittore.
L’uomo, inginocchiato e con le braccia conserte, vestito di nero con largo colletto bianco, rivolge lo sguardo a Maria che gli appare dolce, appena sopra, a grandezza naturale, in uno squarcio luminoso di nuvole da cui fanno capolino angioletti festanti. La Vergine con veste e sopravveste bianca decorata e profilata in oro, come quella del Bimbo, ha il mantello azzurro tenuto fermo dalla corona regale. L’iconografia è solita, ma tiene nella mano sinistra una grande rosa rossa.
Ora il dipinto molto annerito dal fumo delle candele è di difficile lettura in basso, dove, a sinistra sembra di vedere un cappello a larghe tese sopra un mantello, neri, appoggiati a un qualcosa coperto da un drappo rosso.
L’EX VOTO
L’ex voto (dal latino ex voto suscepto: secondo la promessa fatta) è un oggetto (dipinto, argento - a forma di cuore in particolare - , tessuto, strumento, ecc.) che il fedele lascia presso il santuario per ringraziare Dio, la Madonna o i Santi, di aver esaudito una preghiera, di aver ricevuto una grazia, o in adempimento di una promessa. Testimonianza viva di fede, come segno di gratitudine e riconoscenza, solitamente è unito alla sigla P. G. R., che significa “Per Grazia Ricevuta”.
Il Santuario della Madonna del Rosario di Fontanellato ne possiede parecchie migliaia.
Di tanto in tanto, nel corso dei secoli, i cuori d’argento sono stati fusi e trasformati in suppellettili liturgiche o riutilizzati a sostegno dei poveri.
Questo capitò anche nel 1970. In quell’anno, una notte, da una finestrella della sagrestia, entrarono i ladri. Saliti sull’edicola, allora aperta, si impossessarono del corredo in oro della Madonna: le due preziose corone regali, le rose, le catenine...
Il mattino seguente fu l’occhio esperto di fra Vincenzo della Pietra, friulano, sagrista per più di cinquant’anni, ad accorgersi subito dell’amara realtà.
Dopo lo sconcerto, i Frati diedero l’incarico a un gioielliere di rifare le corone e le rose, con l’argento di tanti cuoricini ex voto fusi, poi ricoperte da un bagno nell’oro.
Alla base delle corone sono riportate le scritte in latino “Regina del Santo Rosario di Fontanellato” e “Gesù Nazareno”, traforate nel metallo, che risaltano su fasce di velluto di raso porpora.
La Madonna e il Bimbo furono solennemente rincoronati alla presenza del Vescovo di Parma e lasciarono a fra Vincenzo l’onore e il vanto di adornare le teste delle due figure.
L’edicola venne chiusa con un pesante cristallo piombato e due lucchetti, e vennero messe le inferriate alle finestre.
Un tempo erano le Suore Claustrali Domenicane a prendersi cura della statua della Madonna e del cambio periodico dei vestiti, pulendoli dalla fuliggine delle candele e dalla polvere con la mollica di pane.
Esse, prima di trasferirsi nel monastero di San Sigismondo a Cremona, nel 2008, hanno istruito un gruppo di volontarie sul singolare compito, perché solo le donne, per tradizione, ne possono cambiare l’abito, e quando il santuario è chiuso.
La sacra effigie, secondo un culto che si ripete da tempo in molte parti del mondo, quello del pellegrinaggio mariano – Maria come una missionaria che porta la parola di Dio, e come mamma che va verso i propri figli anziché attenderli nel santuario - tante volte è stata portata in processione, e fatta sostare per giorni nei paesi della provincia, e in Parma, dove veniva esposta nell’edicola sopra il protiro del Duomo, visibile da tutta la piazza.
È giunta anche a Fidenza. Era il settembre 2016.
Il Vescovo emerito Mons. Carlo Mazza era solito il pomeriggio dell’8 settembre, festa per la Chiesa della Natività di Maria, portarsi con i fedeli in pellegrinaggio diocesano a Fontanellato e celebrare la Santa Messa per un atto di affidamento alla Madonna della Diocesi di San Donnino.
Quell’anno, invece, è riuscito a far venire la sacra immagine a Borgo. Giunta in camioncino entro una teca trasparente, fu esposta alla preghiera dei fedeli e ammirata da vicino nella nostra Cattedrale per cinque giorni.
Mi diceva il sagrista, che conosce molto bene ogni angolo del Santuario, che ormai da anni le parti in legno dell’architettura, degli altari, delle cornici, sono infestate dai tarli, arrivati fino alla nicchia del trono, e tutti gli ornamenti coperti di foglie d’oro sono pieni di buchi, ma la statua della Vergine, che ha più di 400 anni, lì vicino, pur dimostrando l’usura del tempo – i piedi in particolare avrebbero bisogno di un restauro - è perfetta, e non ha l’ombra di essere toccata dal tarlo!
Per quanto conosco, posso affermare che la sacra effigie della Madonna di Fontanellato intercede sempre generosa per chi invoca con fede il suo aiuto.
Riferimenti:
- “VOTO EX-VOTO segni devozionali nel tempo”, Scuola Media Statale “Luigi Pigorini”, Fontanellato, Classe III A T. P. a. s. 1991/92.
- “Santuario Madonna del Rosario Fontanellato”, Edizioni Studio Domenicano, Grafiche Dehoniane, Bologna, 2001.
- Un grazie doveroso al sagrista del Santuario, Fabrizio Barbarini, fidentino, Terziario Domenicano.
Fidenza 19 ottobre 2023 Mirella Capretti
Mirella, mi sorprendi sempre! Ho letto con gioia, sono appena stata al Santuario. Grazie di cuore per queste preziose informazioni.
RispondiEliminaGrazie cara Mirella per questo connubio di storia, arte e religione. Come sempre la tua grande preparazione ci regala una “chicca”. Sarebbe opportuno che i ragazzi delle scuole di Fontanellato riscoprissero la storia del paese, che non è solo Rocca
RispondiEliminaSempre notizie storiche interessanti e che non conoscevo. Grazie Mirella
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