Fig. 1 Francesco Lucchi, San Donnino, olio su tela, 1611 ca., Fidenza, Duomo. |
In questi giorni ho ritrovato Beatrice Marossa, carissima persona, che avevo conosciuto ai tempi di “Fidenza Scrive”, ormai bei tempi...
Il “Gruppo di scrittori fidentini” si era composto, su proposta di Alessia Gruzza, allora vicesindaco con delega alla Cultura e Turismo, del consigliere Giuseppe Rota, della maestra Franca Bandini Mambriani, della bibliotecaria Maria Monti, per conoscersi, farsi conoscere e fare cultura insieme...
Ci son venute in mente le bacheche nel cortile del Municipio con le foto delle copertine dei libri scritti dai fidentini: veramente tanti!
E anche la richiesta alle Librerie di Borgo di dedicare uno spazio nelle loro vetrine alle pubblicazioni locali. Cosa attuata per un breve periodo soltanto: è sempre difficile essere profeta in patria!
Ricordando appunto con piacere quel periodo, in particolare la bella idea di dedicare a San Donnino racconti, pensieri e rime in libertà, da parte dei componenti il Gruppo (2015),
Beatrice si rammaricava perché il lavoro fatto non è poi stato divulgato.
Mi è sembrato naturale proporle, in prossimità della Festa del Santo Patrono, di chiedere ad Ambrogio, sempre molto generoso, di farlo conoscere tramite il suo Blog, seguitissimo.
Ed eccomi qui, per lei.
Approfitto intanto anch’io per esprimere un desiderio: mi piacerebbe trovare vicino alle spoglie del Santo, in cripta, magari appesa al leggio con il Vangelo del giorno o anche sul gradino, la bella preghiera a lui dedicata che si trova dietro al santino (con caratteri non troppo piccoli); potrebbe essere letta con gaudio dai tanti pellegrini di passaggio sulla Via Francigena, e anche da qualche sporadico fidentino.
Fidenza 1 ottobre 2023 Mirella Capretti
Fig. 2 * Carlo A. A. Dal Verme, studio per la statua di San Donnino, 1779, acquerello grigio, cornice seppia, Fidenza, collezione privata. |
Premessa e racconto di Beatrice Marossa
Tutti conosciamo la storia di S. Donnino che fu decapitato perché non volle rinnegare la fede cristiana e tutti siamo a conoscenza dei miracoli che operò, ma come e perché si convertì non ci è mai stato tramandato.
Prima di narrare del Santo dovremmo forse capire come era l’Impero Romano a quel tempo.
Roma era in pericolo, erano stati eletti imperatori, detti illirici, venuti dalle terre dell’est per cercare di contenere le invasioni da quelle terre e per sedare le rivolte.
Scrive Giovenale:
“Io, o romani di Roma, questa nostra città piena di Greci non la posso più sopportare, di questa gente malfamata quanti ce ne sono? … E’ un pezzo che nel Tevere si sono scaricati tutti i fiumi della Siria, portando con sé la lingua di quella gente, i costumi. Al diavolo voi a cui piace vedere la lupa adornata alla maniera dei popoli orientali.”
L’Impero romano si stava sgretolando; i suoi vasti confini si restringevano sempre più, tanto che l’imperatore Diocleziano, per rendere più governabile l’impero, lo aveva diviso in due parti: occidentale ed orientale.
L’impero occidentale era stato assegnato a Massiminiano e la capitale era stata spostata da Roma a Milano.
Ma vi era un altro nemico per Roma: il cristianesimo, che con le sue credenze di fratellanza e di vita oltre la morte sovvertiva l’ordine delle cose.
Era finita l’epoca degli imperatori conquistatori che governavano il mondo, la ruota della storia girava alternando civiltà ad altre civiltà, come sempre è stato, come sempre sarà, ma non per questo era facile rassegnarsi al cambiamento.
Forse la trasformazione, il mutamento sono le condizioni che maggiormente spaventano l’uomo.
Ma torniamo a parlare di San Donnino. Non essendo pervenute fino a noi testimonianze circa una conversione miracolosa penso che Donnino sia giunto ad un cambiamento della sua vita per mezzo di una speculazione filosofica, ma che questi ragionamenti comunque siano scaturiti da un episodio particolare o da mille segni sparsi nella vita.
Io l’ho pensato in questo modo: Nessun bambino aspira a diventare Santo e neppure Donnino ci aveva mai pensato.
Era nato in epoca romana, quasi due secoli dopo Cristo, di religione pagana, sognava di diventare un soldato romano e già immaginava di indossare una bella corazza, anzi una lorica, molto più moderna e pratica, fatta di maglie di ferro e quindi non rigida ed un elmo bronzeo da addobbare con piume, in occasione delle parate militari.
Donnino desiderava tutto questo e la sua buona sorte era quella di essere nato in una famiglia aristocratica che poteva permettersi le spese per le armature, infatti queste non erano più a carico dello Stato, come una volta.
Donnino cresceva, mentre nell’Impero si respirava aria di crisi, lui però era fiducioso circa il suo futuro.
Era diventato quello che aveva sempre desiderato: un soldato romano, anzi la sua fortuna era stata maggiore delle sue aspirazioni, grazie alle sue doti e alla sua genealogia era diventato cubicularius dell’Imperatore Massiminiano, cioè colui che aveva l’incarico di custodire la corona dell’imperatore.
Inoltre Donnino di bell’aspetto, si comportava come un giovane alla moda, portava le ciocche dei capelli in forma elaborata, si profumava con unguenti e cannella, conosceva le danze alessandrine e spagnole e conquistava le fanciulle sussurrando cosucce alle loro orecchie e scrivendo bigliettini. Marziale fa questa descrizione dell’uomo alla moda dell’epoca e stupisce scoprire che è attuale anche ai nostri giorni.
Donnino era un uomo di mondo, viveva a corte, aveva amici, uno in particolare Aurelio, che considerava come un fratello.
Tanta buona sorte spesso porta invidia, infatti alla corte di Massiminiano c’era pure un certo Cassio che si sentiva offeso per essere stato scavalcato da questo giovane nell’onorevole incarico di cubicularius.
Un giorno Donnino stava galoppando a spron battuto con l’imperatore e la scorta quando, uscendo dal bosco per immettersi su un sentiero, il cavallo dell’imperatore travolse una bambina che camminava in compagnia del padre. Fu subito chiaro che la situazione era grave, la fanciulla non dava segni di conoscenza ed un rivolo di sangue le usciva dalla bocca. Il padre chino su di lei la supplicava chiamandola per nome: “Dora, mi senti? Dora rispondi, ti prego.”
Donnino tirò le redini per fermare il suo cavallo e saltò giù per avvicinarsi alla ragazza, ma Massiminiano lo richiamò subito: “Donnino, cosa fai? Invece di proteggere il tuo imperatore soccorri una femmina? Svelto monta a cavallo e andiamo.”
Egli ubbidì.
La notte però il sonno tardava a venire, Donnino invocava invano che il dio Morfeo lo accogliesse fra le sue braccia. La preoccupazione per la bambina travolta dal cavallo dell’Imperatore, lo teneva sveglio, lo inquietava, lo faceva stare male come non gli era mai capitato.
Sono un soldato, si ripeteva, io stesso darei la vita per il mio imperatore, quindi anche se la bambina plebea fosse morta, Massiminiano è salvo. Sarebbe stata una sciagura se nell’incidente avesse avuto la peggio l’imperatore. Io devo proteggere il mio Signore, io sono pronto a morire e a dare la morte per salvare il mio imperatore.
L’onore di un soldato, di un romano si basa sulla fedeltà alle istituzioni. Finalmente arrivò il sonno.
In sogno vide il viso esangue della piccola, i suoi occhi viola come la lavanda che proveniva dalle terre dell’ovest.
Sentì la voce della bimba che diceva: “Ti perdono.”
Si svegliò madido di sudore. Non era stato lui a travolgerla, perché lei lo perdonava?
Per cosa? Si, ma era solo un sogno. Però gli occhi di Dora, così l’aveva chiamata il padre, erano bellissimi, color viola. In realtà sarebbero potuti essere marroni o neri, quando lui si era avvicinato, subito dopo l’incidente, lei teneva gli occhi chiusi e suo padre la chiamava inutilmente per farglieli riaprire.
Il chiarore dell’alba si insinuava fra le tende della finestra della camera e formava stretti rettangoli di luce sul pavimento di marmo.
Cosa lo faceva stare male dentro? L’uomo è carne e ossa e non erano queste a dolergli e allora cos’è l’uomo? Onore? Passione? Sentimento? Ma queste qualità si esercitano, si perorano, si provano o sono parte di noi? Una parte imperscrutabile di noi, ma viva e dominante.
Era presto, aveva ancora tempo per presentarsi alla vestizione dell’imperatore. Decise di uscire. Salì a cavallo e galoppò prendendo una direzione a caso. Si ritrovò sul luogo dell’incidente del giorno prima.
Scese dal destriero e tenendolo per le briglie percorse a piedi un sentiero. Vide una casa. Un uomo seduto sua una panca esterna all’abitazione, fissava un punto all’orizzonte. Lo riconobbe, era il padre di Dora.
L’istinto lo fece voltare di scatto per andarsene, ma l’uomo lo apostrofò dicendo: “Io ti perdono e perdono l’imperatore anche se avete causato la morte di mia figlia.”
“E’ morta?” chiese Donnino.
“Si”. Rispose il genitore della piccola.
“Perché mi perdoni? Non è stato il mio cavallo, non sono stato io ad investire tua figlia.” si difese Donnino.
“Però ti senti ugualmente in colpa.” asserì il padre.
Donnino, con voce quasi irata “Perché dici questo?”
“Perché altrimenti non ti troveresti qui già alle prime luci dell’alba.”
“Ma tu perché perdoni? Non sei in collera con chi ha ucciso tua figlia? Non le volevi bene? Non sei straziato per la sua morte?”
“Si, l’amavo più della mia vita. Sua madre morì un anno fa e ora non mi rimaneva che l’affetto di mia figlia. La vedevo vivere e gioire era come un fiore a primavera.
Mi manca e mi mancherà per sempre, ma non odio nessuno. Ama il prossimo tuo come te stesso, così mi è stato insegnato.”
“Cosa dici?” si stupì Donnino “Non lo dico io. Lo disse Gesù.”
“Sei pazzo? Confessi di essere un cristiano? Ah, ho capito, sei stanco di vivere e cerchi un pretesto per essere ucciso.”
“La vita è un dono, ma dopo questa vita c’è un’altra vita, mia figlia ha chiuso gli occhi in questa esistenza, ma ha spalancato i suoi occhi viola nella vita ultraterrena.”
“Viola? Hai detto che aveva gli occhi viola?” si stupì Donnino.
“Si, Dora aveva gli occhi viola. Dora non è morta vive in un’altra vita. Questo mi dà conforto, per questo posso perdonare.”
Donnino se ne andò pensando agli occhi viola della bambina del sogno, al sentimento del perdono, a Gesù, al fatto che avrebbe dovuto denunciare quell’uomo per non perdere il suo onore di soldato. Ma le parole udite si insinuavano dentro di lui, come la punta di una lancia. Voleva evitare di pensare, voleva vivere sereno come sempre, ma il dubbio sull’esistenza del nuovo Dio, ormai stava scavando la sua mente.
Non appena avvenne in lui il cambiamento non fu più possibile nasconderlo. La fede lo obbligava a scegliere la vita sulla morte, la verità sulla menzogna. Sarebbe stato come scoprire i colori e continuare a vivere in un mondo in bianco e nero non era più possibile, ormai la luce faceva parte della sua percezione del mondo.
Fu l’invidioso Cassio a denunciarlo all’Imperatore, mentre l’amico Aurelio per difenderlo volle farlo passare per pazzo, ma Donnino confessò lui stesso la sua fede.
In fondo un Santo non è un eroe è solo un uomo che non può vivere contro la sua natura.
Ottobre 2015 Beatrice Marossa
Fig. 3 * Carlo A. A. Dal Verme, studio per la statua di San Donnino, 1779, inchiostro nero a penna e all'acquerello, Biblioteca Palatina di Parma, Manoscritto Parmense 3709, f.49. |
*Da “Il pittore Carlo Angelo Ambrogio Dal Verme 1748-1825” di Angela Leandri, 2007, pp. 113, 115, ultimo volume del Progetto triennale “L’Abate Zani e il suo tempo”.
Desidero esprimere il mio ringraziamento al dott. Ambrogio Ponzi che tanto si prodiga per diffondere la cultura e alla prof. Mirella Capretti, sempre pronta a impegnarsi per l'arte e le persone. Grazie Beatrice M
RispondiEliminaGrazie come sempre Mirella!
RispondiEliminaGrazie Mirella e complimenti all'autrice del racconto!
RispondiEliminaOttimo il racconto di Beatrice Marossa che coniuga alla perfezione elementi di carattere storico, con una narrativa scorrevole e piacevole
RispondiEliminaOttimo il racconto di Beatrice Marossa, che coniuga alla perfezione elementi di carattere storico con una narrativa scorrevole e piacevole
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