Il Consiglio Comunale straordinario “Il dialetto radice della cultura borghigiana. Approfondimento e analisi dalle sue origini ai giorni nostri” si è concluso da poco nella sala del Ridotto del teatro Magnani.
Era un momento atteso da tempo ed è stato onorato in modo degno da un pubblico partecipe ed attento e dalle testimonianze dei vernacolisti locali Adriano Gainotti, Germano Boschesi e Franco Giordani, assente Claretta Ferrarini per un infortunio che le ha impedito di partecipare. Presenti anche alcune classi della scuola media Zani.
Era un momento atteso da tempo ed è stato onorato in modo degno da un pubblico partecipe ed attento e dalle testimonianze dei vernacolisti locali Adriano Gainotti, Germano Boschesi e Franco Giordani, assente Claretta Ferrarini per un infortunio che le ha impedito di partecipare. Presenti anche alcune classi della scuola media Zani.
Ad aprire la seduta il saluto del Presidente del consiglio comunale, Amedeo Tosi. A seguire Luca Pollastri, Vicepresidente del consiglio comunale, che ha accompagnato i saluti con una vera e propria "lectio magistralis" che sotto proponiamo nella più fedele possibile delle trascrizioni.
Apprezzati gli interventi dal pubblico delle professoresse Lanzi e Dallospedale.
Sono poi intervenuti i Consiglieri Amoruso, Rigoni e Narseti.
Nelle parole di Alessia Gruzza, Vicesindaco con delega alla Cultura, e nelle conclusioni del Sindaco Andrea Massari la soddisfazione di aver potuto realizzare un obiettivo "storico" di rivalutazione della preziosa cultura popolare.
Il risultato dell'incontro è tuttavia sintetizzato in questo video in cui Luca Pollastri legge la proposta concordata dai capigruppo che dovrebbe essere approvata dal primo Consiglio Comunale deliberativo con voto unanime.
Il dialetto borghigiano è quello nato e vissuto entro la cinta muraria di Borgo San Donnino. Nel novecento ed ancor più oggi i piani regolatori hanno avuto l'effetto di creare una possibile area di maggior diffusione, d'altro lato i movimenti di popolazione hanno comportato non pochi rischi di contaminazione, ma questo è il destino di ogni "lingua viva" e lo scotto che deve pagare alla sua sopravvivenza.
«Fra
le tragedie che abbiamo vissuto (…) in questi ultimi anni, c’è
stata anche la tragedia della perdita del dialetto, come uno dei
momenti più dolorosi della perdita della realtà». Con
queste parole
Pier Paolo Pasolini, nel 1964, decretava
come avvenuta la morte delle parlate dialettali a vantaggio di un
italiano medio «tecnologico», modellato a misura della società
neocapitalistica.
Italo
Calvino, assumendo
in polemica con lui un punto di vista decisamente più «moderno»,
scrisse
che
l’italiano si giocava il suo futuro in rapporto alle lingue
straniere e che gli scambi con il dialetto erano superati: la nostra
lingua nazionale doveva porsi un problema di traducibilità.
Cinquant’anni
dopo,
chi dei due aveva ragione? Pasolini o Calvino? Probabilmente né
l’uno né l’altro, se è vero che entrambi davano per spacciato
il dialetto (Pasolini con angoscia, Calvino forse con sollievo),
mentre il dialetto anzi i dialetti, al plurale, resistono e si
rinnovano. Del resto, le lingue, come i popoli, sopravvivono solo se
sanno rinnovarsi e contaminarsi .
Il
dialetto non è il nemico della lingua nazionale, come spesso si
sente dire, è l’orgoglio delle nostre radici, è il linguaggio che
accoglie e facilita il confronto tra presente e passato.
I
dialetti non sono un’appendice dell’italiano perché non derivano
da esso. Sono lingue autonome. Il linguista Tullio
De Mauro
in tal senso diceva : “In
fondo la lingua italiana cos’è? E’ un dialetto più fortunato di
altri!”
L’uso
di un corretto italiano è sicuramente irrinunciabile ma ciò non
implica la perdita delle parlate locali la cui vitalità è
testimoniata anche dai numerosi “prestiti” concessi alla lingua
nazionale per renderla più vivace ed espressiva.
Dobbiamo
saper usare correttamente la lingua nazionale per farci comprendere
da tutti, ma dobbiamo anche conoscere il nostro
dialetto
per mantenere costumi, abitudini e tradizioni che ci rappresentano.
Purtroppo
il dialetto è stato vittima della mentalità distruttiva che, fin
dagli anni 60, lo aveva bollato come lingua da evitare se non
addirittura da eliminare in toto a favore dell'italiano .Pertanto
un'intera generazione ha perso il contatto con un mondo linguistico
così importante e ricco di storia. Vi sono state e vi sono eccezioni
e permangono, prevalentemente nei piccoli centri, zone in cui anche
tra i giovani il dialetto è piuttosto diffuso, ma in generale è
difficile incontrare persone non d'età che abbiano una certa
conoscenza del vernacolo.
A
Fidenza è in atto da molti anni un importante azione di RISCOPERTA
del dialetto .Molti cittadini di Fidenza alcuni dei quali sono qui
oggi hanno svolto un lavoro prezioso di recupero sono i nostri “
vernacolisti fidentini”.
Il
Consiglio Comunale oggi, in un'ottica positiva e propositiva , ha
posto al centro dei lavori della giornata odierna “il dialetto”nella
consapevolezza che vada
sviluppata l'azione di riscoperta già avviata in questi anni ed
intende unanimemente impegnarsi per un suo ulteriore sviluppo e
diffusione soprattutto tra i giovani.
Siamo
convinti che la scuola, debba favorire il recupero del dialetto e la
sua valorizzazione attraverso forme di attività che possano
sprigionarne tutta la ricchezza e la freschezza delle espressioni.
Esso è una miniera inesauribile di approvvigionamento culturale; è
un tesoro di cui, forse per malcelata ritrosia , ancora non si
apprezza del tutto l’enorme potenzialità educativa. Attraverso la
ricerca dialettale, le parole acquistano pregnanza e dignità; si
caricano di significati .
Il
dialetto fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta
sulle spalle e che è l’inevitabile segno che ci fa dire che
apparteniamo ad un certo luogo, ad un certo tempo e che ci identifica
e ci colloca nel posto preciso della nostra storia personale.
Mi stavo chiedendo che mezzi, a me ignoti, possano utilizzare coloro, e sono numerosi, che non sanno comunicare né in italiano, né in dialetto. Mi riferisco soprattutto a quei giovani virgulti, che, da qualche tempo, ricorrono a prolungamenti di mani e dita, chiamati iPhone e Smartphone. Ho notato compagnie, al bar o in pizzeria, che entrano come zombies, con il cellulare sotto il naso, avanzano come pipistrelli, usando un loro sonar particolare, si siedono, non si parlano, ma continuano a scorrere i polpastrelli, o quanto ne resta, sul minischermo, digitando cazzate, in silenzio. Il linguaggio è del tutto intrinseco ad una sub-cultura sui generis, composto da abbreviazioni e parole in libertà, imprecise e aliene da ortografia e grammatica. Sono sicuro che usino il cellulare anche durante l'amplesso, per trasmettere ad altri le sensazioni del momento, sempre con interiezioni abbreviate.
RispondiEliminaQuando negli anni 80 ero docente a Fidenza, la signora Claretta Ferrarini, veniva a insegnare il dialetto nelle nostre classi, sotto l'egida del Comune. La cosa piacque talmente tanto a docenti e studenti che la collega, Prof. Genziana Boni, chiese all'Assessore alla Cultura di poter usufruire con maggiore frequenza di questi interventi. Le fu risposto di mettersi in contatto direttamente con la dialettologa che era libera di agire come meglio credeva. Così fu fatto con grande profitto. Se leggo bene, pure tutti i libri della Ferrarini sono stati sponsorizzati dal Comune e recano la firma di ogni Assessore alla Cultura che si è succeduto nel tempo, mentre, poco anni fa, credo sia stata insignita di una benemerenza per il suo lavoro di dialettologa. Ora mi domando cosa significhi questo salto all'indietro, da parte del Comune di Fidenza, come se tutto dovesse ricominciare ab ovo e nulla fosse successo. Come se il lavoro dei docenti, del Direttore Didattico, del Preside, dell'assessorato alla Cultura di quegli anni, non fosse mai esistito o non fosse degno neppure di un accenno. Possibile che se lo sia dimenticato pure la Ferrarini? Tiziana B.
RispondiEliminaCommento molto apprezzato, copre un aspetto che non ho avuto modo di conoscere a suo tempo e tanto meno approfondire ora. Che Fidenza viva "come se tutto dovesse ricominciare ab ovo e nulla fosse successo" è molto vero.
EliminaGentile Tiziana, le assicuro che non ho dimenticato nulla dell'intensa attività vernacola, svolta nel periodo cui lei fa riferimento; altresì le garantisco d'aver insistito molto, con gli attuali amministratori, affinché il programma del Mese del Dialetto, venisse presentato come il prosieguo del lavoro svolto in precedenza. Ho stancato sette popoli continuando caparbiamente a puntualizzare che non si sarebbe trattato dell'inizio di un percorso, se mai, del "rinnovo di un Imprimatur" (mi si passi il termine). È palese ch'io non sia riuscita nell'intento. Chiedevo tutto ciò, per rispetto verso coloro che, fin dal 1980, hanno spalancato le porte al Dialetto: Assessori alla Cultura, Docenti, Direttore Didattico, Presidi, scolari, studenti con i loro famigliari, le radio e le Associazioni Culturali. In primis La Famiglia Fidentina. Negli anni che seguirono quel periodo, la presenza sempre più massiccia di bambini extracomunitari nelle scuole, frenò gli insegnanti, preoccupati ch'io parlassi di Natale, äd Sant'Äntòni del gugnén, da strulghén, äd cülätèll ecc. Solo poche, tra voi, hanno continuato a chiamarmi, ma, il dialetto trovò nuovi sbocchi, attraverso la pubblicazione di libri; la fondazione ufficiosa de L'Äcädemia del Rùmäl e la sequenza di serate dal titolo "LUNGO LE STRADE DEL DIALETTO BORGHIGIANO" organizzate da varie Associazioni e dove, dopo la storia, la grammatica e la sintassi della nostra Lingua, la chiosa era la declamazione di brani e poesie da parte anche di Loreni, Boschesi e Giordani. Ciò, doverosamente detto, Tiziana, almeno per chiarire con lei e con i lettori la mia posizione, ringrazio il Comune di Fidenza per tutto quello che sta facendo a favore del nostro Vernacolo e rinnovo la mia disponibilità.
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