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domenica 21 ottobre 2012

Clemente Ruta: la Vergine Maria appare a San Bernardo



Questa piccola ma preziosa pala d'altare, custodita presso il Museo del Duomo, proviene dal distrutto oratorio di san Bernardo, come testimonia il medico Vincenzo Plateretti, all'inizio dell'800. Egli scrive in proposito: "S. Bernardo, che all'altare maggiore ha due quadri, uno più grande di S. Bernardo cui apparisce la Beata Vergine con il Bambino Gesù ed uno picciolo di S. Benedetto figura di sola faccia: buone opere dell'accreditato pittore Clemente Ruta Parmigiano, che passò poi al serviglio del Re di Napoli".
Fondato intorno alla metà del '300, il complesso conventuale delle monache cistercensi di s. Bernardo si estendeva tra la Cattedrale e s. Pietro, essendo delimitato dalle attuali vie Goito Bormioli e Frate Gherardo.
Alle cistercensi si deve anche quello straordinario capolavoro di ricamo, costituito dalla famosa pianeta istoriata di s. Bernardo, tuttora esistente presso la sagrestia della nostra Cattedrale, alla quale fu donata dalle stesse monache. Con infinita pazienza e probabilmente sulla base di disegni elaborati da un pittore locale, le industriose monache hanno abilmente intrecciato i fili di seta, ora e argento per raffigurare, nel rovescio della pianeta, gli antenati della Vergine, secondo la tradizionale iconografia dell'albero di esse; e nel diritto, come in III ramificato albero genealogico, la famiglia dei cistercensi, che spunta dalla figura coricata di s. Bernardo.
Alla realizzazione del prezioso manufatto iniziato nel 1687 le monache attesero per ben quarantatré anni, apponendo infine sul dorso della pianeta la data: 1730.
In seguito alle soppressioni napoleoniche e al conseguente in incameramento dei beni ecclesiastici e religiosi, l'antico complesso conventuale venne trasformato in laboratorio (vi trovò sede il nucleo originario dell'industria vetraria Bormioli). 
Dell'antica dimora delle cistercensi di Borgo San Donnino sopravvive oggi solo un'ala superstite dell'ex convento, identificabile nel robusto corpo di fabbrica cinquecentesca che si affaccia sul lato sinistro di via Frate Gherardo, un tempo significativamente denominata contrada di s. Bernardo.
La tela, che riflette un diffuso schema devozionale, ha per soggetto l'apparizione della Vergine a s. Bernardo, il grande teologo e mistico, che la Chiesa riconosce con con il titolo di "doctor mellifluus", in ragione della sua particolare devozione, dolce e tenerissima, alla Madonna.
Vediamo pertanto s. Bernardo in atteggiamento adorante ai piedi di Maria seduta sulle nubi con in braccio il Bambino. Il santo regge la corona di spine, mentre variamente distribuiti sulla scena compaiono gli altri simboli della Passione, tra cui appunto la croce, la lancia, il vaso del fiele, la spugna, il martello, la tenaglia, i chiodi e i dadi. Accanto ad essi, posati sul piano, figurano inoltre la mitra, il pastorale e il libro, che sono da ritenersi invece tra gli attributi specifici del santo, in quanto rammentano la sua triplice rinuncia all'investitura vescovile, la sua potestà di abate e la sua profonda dottrina. 
Colpisce inoltre la presenza nelle mani del santo di un fascio di rovi, forse rami di rosa, fiore che - come è noto - è da sempre associato alla Vergine. Esso in questo caso potrebbe richiamare la celebre definizione: Eva spina, Maria rosa; oppure l'allegoria mariana, per cui Bernardo paragona Maria a una rosa bianca per la sua verginità e a una rosa rossa per l'amore. Quanto agli strumenti della passione, va ricordato che tali simboli non sono infrequenti nelle immagini del santo di Chiaravalle, che sul tema del sacrificio della croce ha scritto pagine sublimi affermando "d'averli raccolti in fascio per poter portare sul cuore le sofferenze di Cristo" .
La tela pervenuta alla Cattedrale, ove è rimasta per lungo tempo senza una collocazione definitiva, è stata incautamente attribuita dalle guide locali al parmense Pietro Rubini. Ma è fuori di dubbio, date le evidenti concordanze stilistiche, che l'autore è il parmigiano Clemente Ruta (1685-1767), proprio come sostiene il Plateretti, notoriamente ben informato sulla storia e sulle cose d'arte della sua città. 
Tra le altre opere del Ruta vanno senz'altro segnalate in ambito lo locale l'Immacolata della chiesa parrocchiale di Samboseto. Non va poi dimenticato il legame di amicizia esistente tra il pittore di Parma e un notevole artista fidentino, quasi del tutto sconosciuto in patria: il bravissimo Francesco Aliani (1712-1780) o Liani o Lianos che insieme a Clemente Ruta si trasferì, forse nel 1739, a Napoli come pittore al seguito di Carlo III di Borbone. Ma nella grande città partenopea fu soprattutto il nostro Aliani ad avere notevole fortuna come ritrattista di corte e autore di grandi composizioni sacre.
Opere che ora vediamo - esposte nel Museo Nazionale di Capodimonte e in altre importanti collezioni pubbliche e private, in chiese e palazzi non solo della Campania ma anche nelle residenze reali e nei musei di Madrid e Copenaghen.

Guglielmo Ponzi
(Dal settimanale diocesano  il Risveglio)


Clemente Ruta nasce a Parma nel 1685. Nella sua carriera artistica, collocabile temporalmente nel primo quarto del XVIII secolo, troviamo la maggior parte delle opere prodotte nella provincia natia (Parma). Vanno ricordate però, anche alcune opere, come gli affreschi nell'appartamento di Carolina Bonaparte situate a Portici. Il pittore parmigiano morirà  nel 1767 , all'età di 82 anni.



Il fabbricato dell'ex convento di San Bernardo a Fidenza oggi.




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