Sono ritornata sui ponteggi della facciata della Cattedrale. Rimarrà un'esperienza irripetibile, non mi sarà certamente più concesso.
Si sono ripetuti meraviglia e stupore. Non sono un'artista, non sono una restauratrice, ma mi appassiona l'anima delle persone che sanno creare, che sanno interpretare e trasmettere messaggi di conoscenza.
L'occhio vede delle forme, delle figure, cerca di leggerle: ancora più importante, senza dubbio, ritengo sia capire che cosa le ha ispirate.
Ciò che oggi è davanti ai nostri occhi spesso distratti è paragonabile alla musica che scaturisce dalla sintonia degli strumenti di un'orchestra.
Anche per i restauratori si sono ripetuti studio e ricerca. La pietra , sottratta alla protezione del sottosuolo, ormai da secoli è esposta ad eventi e climi che variano. L'edificio poggia su un terreno ricco di acqua, che seppur imbrigliata e nascosta continua a permeare le fondamenta.
All'apparenza le sculture restano come le conoscevamo, ma sottile e delicato è stato il lavoro di interpretazione e provenienza dei materiali, meticolosa la ricerca delle tracce di degrado della pietra stessa e appassionato l'intento di entrare nel mondo di conoscenza di quei lapicidi che hanno dato anima ed espressione a figure emergenti dall'arenite e dalla calcoarenite.
È possibile rilevare fatture ed abilità diverse, come diversi sono i tempi di collocazione di certi personaggi, chiara ed evidente è la mano antelamica in certi raffinati decori, riconducibili a quelli di Parma.
Oggi è possibile l'utilizzo di resine, lana di vetro, acciaio, ma è stato fondamentale intervenire per salvaguardare senza modificare, ricercare fessure, incrinature e sfaldature della pietra per suturare e saldare, sanare per garantire la durata di questo capolavoro.
Dal timpano del portale meridionale la figura di un vescovo mitrato con pastorale e mano benedicente continua a guardarci benevolo con le sue pupille di piombo.
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